Dichiarazione finale del Terzo Congresso Mondiale contro il Neoliberismo Educativo

Un documento scritto collettivamente dai partecipanti al Terzo Congresso Mondiale contro il Neoliberismo Educativo che si è tenuto in Brasile

di

Traduzione della Dichiarazione finale del Terzo Congresso Mondiale contro il Neoliberismo Educativo.

Operatori dell’educazione, educatori popolari e studenti dell’America Latina e del mondo, riuniti dall’11 al 14 novembre 2024, presso le strutture dell’Università Statale di Rio de Janeiro, Brasile, proclamano l’irriducibile volontà in difesa dell’educazione pubblica, faccia a faccia, libera, popolare, scientifica, laica, democratica, femminista, antirazzista, ecologica e trasformativa della realtà sociale.

Per quattro giorni abbiamo discusso dell’importanza delle questioni razziali, di genere e di classe per la costruzione di un’educazione emancipatoria, nella cui costruzione le corporazioni e i sindacati dei lavoratori dell’istruzione e il movimento studentesco organizzato svolgono un ruolo centrale. Abbiamo discusso e denunciato i rischi di una digitalizzazione accelerata dei sistemi scolastici e universitari che non è accompagnata dall’equità sociale e dall’aumento del finanziamento pubblico dell’istruzione. Siamo convinti che l’istruzione ibrida, senza che lo Stato finanzi la connessione a Internet e la fornitura di apparecchiature di connessione per i lavoratori dell’istruzione e gli studenti, sia un nuovo modello di privatizzazione dell’istruzione. Abbiamo inoltre analizzato i rischi di trasformare l’intelligenza artificiale in un regime di verità umana, nonché i problemi causati dalla disumanizzazione della didattica a distanza attraverso formati di apprendimento esclusivamente virtuali e standardizzati.

L’analisi dell’impatto dei progetti conservatori sull’educazione è stata una delle principali preoccupazioni di questo congresso mondiale, ancora di più quando i loro paradigmi cercano di imporsi sui sistemi scolastici e sulle università. La difesa della laicità, della libertà di idee, dell’educazione sessuale completa, del diritto di decidere liberamente del proprio corpo, del riconoscimento della diversità sessuale, etnica e nera, è seriamente minacciata dal neoconservatorismo educativo. L’unico modo per scongiurare questo pericolo è con più democrazia e pensiero critico nell’istruzione. E’ così che l’abbiamo intesa e ratificata.

Ciò pone nuove e rinnovate sfide per il sindacato e il movimento studentesco nel campo dell’istruzione. La prospettiva di classe è potente nella misura in cui approfondisce la democrazia partecipativa, il controllo sociale e la rotazione delle posizioni, principi che abbiamo ereditato dalla Comune di Parigi.

Abbiamo molto da imparare dai movimenti sociali del 21° secolo, in particolare dal femminismo e dall’ambientalismo che hanno trovato le chiavi per mobilitarsi e contestare l’egemonia. Per questo osiamo sognare una giornata mondiale di mobilitazione per il diritto all’istruzione, un’utopia per la quale stiamo lavorando e impegnandoci. Stiamo avviando un dialogo globale affinché l’8 ottobre 2025 sia l’inizio di convergenze che riuniscano energie, coscienze e idee per mobilitarsi in tutto il mondo per un’istruzione pubblica al servizio del popolo e non del capitale.

Abbiamo ascoltato i nostri fratelli e sorelle di diversi territori del mondo, che ci hanno mostrato come il neoliberismo assuma migliaia di maschere per cercare di imporre la mercificazione, la privatizzazione e la cultura valutativa neoliberista.

Ci è diventato chiaro che ovunque la costruzione della resistenza anti-neoliberista è stata efficace nella misura in cui siamo riusciti a creare ampi fronti sociali di sostegno che convergono nella mobilitazione. In questo orientamento, volontà, conoscenza e consapevolezza critica si combinano per poter andare avanti.

Non c’è movimento sindacale e studentesco al di fuori del movimento pedagogico e della disputa delle idee. Si tratta di dinamiche intrecciate che fanno parte di un altro modo di concepire l’educazione, l’apprendimento, la rivendicazione della conoscenza che contribuisce alla giustizia sociale. Per questo motivo, ci siamo impegnati ad accompagnare, promuovere e rafforzare il movimento pedagogico all’interno delle nostre corporazioni e sindacati, in modo che dalle loro riflessioni e idee sia possibile costruire proposte alternative coerenti e radicali.

Creeremo il nostro sistema formativo, editoriale e di comunicazione, basato sull’esperienza di Altre Voci nell’Educazione e su quelle che ogni sindacato ha sviluppato nel tempo. Ricerca, Formazione, Comunicazione e Organizzazione (INVEDECOR), hanno lavorato insieme, come paradigma del lavoro che svolgeremo in questo campo. Nel 2025 lanceremo la nostra iniziativa editoriale, formativa e di comunicazione che si affianca al lavoro che svolgiamo nei territori.

La nostra storia di confluenza è solo all’inizio. Abbiamo deciso di incontrarci di nuovo nel 2026, al Quarto Congresso Mondiale contro il Neoliberismo Educativo, invece di quello che annunceremo nell’aprile 2025. Nel frattempo, avanzeremo nella realizzazione delle Conferenze Internazionali di Classe e del Unionismo Autonomo insieme al Movimento Pedagogico e Studentesco che si terranno nell’aprile 2025 in Messico, un’altra nell’ottobre dello stesso anno virtualmente e una terza, di persona, a Quito, in Ecuador. Allo stesso modo, promuoveremo la Scuola Sindacale Internazionale e il Congresso Pedagogico di Educazione Popolare nella prima metà del 2026. Con gioia e impegno raddoppiato proclamiamo che continueremo a incontrarci su tutte le strade, a raccogliere e tessere resistenze antineoliberiste e anticapitaliste, che ci permettano di continuare a progredire nell’educazione dei popoli, con libertà, giustizia sociale, solidarietà e amore per la vita.

https://www.lacittafutura.it/cultura/dichiarazione-finale-del-terzo-congresso-mondiale-contro-il-neoliberismo-educativo

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TQG, Metapolítica y sociedad

Luis Bonilla-Molina

“Si amas sin despertar amor, esto es, si tu amor, en cuanto amor, no produce amor recíproco, si mediante una exteriorización vital como hombre amante no te conviertes en hombre amado, tu amor es impotente, una desgracia.“ (Carlos Marx, Manuscritos filosófico-económicos de 1844, Tercer Manuscrito)

  1. Amor, pasión y música en Latinoamérica y el Caribe

En las últimas semanas los medios de comunicación, redes sociales y el chismorreo público ha estado invadido por el melodrama de las rupturas de dos parejas de farándula, Shakira y Gerard Piqué, Karol G y Annuel. Debo confesar que mis simpatías son por las mujeres que han gritado a los cuatro vientos su desilusión, rompiendo los “buenos modales” que mandan a “sufrir en silencio”.

En Latinoamérica y el Caribe, quien no haya llorado un desamor, al ritmo de una canción, por lo menos, es un personaje atípico. Las rancheras no son melodías, sino invitaciones a hurgar en lo más profundo del amor o su antítesis, ya sea de la mano de José Alfredo Jiménez deseando “que te vaya bonito, dejando claro con Vicente Fernández que todas son Mujeres Divinas, eso sí, advirtiendo que Ya te olvidé como lo vociferaba Rocío Durcal, teniendo recaídas que llevan a decir que “Te sigo Amando” al son de Juan Gabriel,  hasta tomarse “El último Trago” con Chavela Vargas.

Es común despecharse “por Mujeres como tú” de Pepe Aguilar, pensando que “Si no te hubieras ido” como lo declama Marco Antonio Solis, podrías “Échame a mí la culpa” en tono de Gabby Villanueva, anunciando con Amanda Miguel que “El viernes se acaba todo”.

¿Quien no transito un barranco amoroso de la mano del Tango, sintiéndose que va “Cuesta Abajo” junto a Carlos Gardel, porque el dolor te hace nublar la razón como si estuviera con Piazzolla y Goyeneche en medio de una “Balada para un Loco”, impactado por las “Nostalgias” que declara Victoria Escudero.

Cuantas noches, los amores de militantes de izquierda no han terminado en una callejuela, tarareando con Aute “una sonrisa, una blasfemia y dos derrotas”, por “tu forma de ser, tu forma de decir .. tu palabra sonrisa” dibujada por Silvio, intentando hacer más soportable “el breve espacio en que no estas”  porque como me contó Pablito Milánes no sabemos si volverá, porque es un amor como el de Alí “en tres tiempos”, al cual Ana Belén le pide “toca otra vez viejo perdedor”.

Como no voy a decirlo”, si a grito lo dijo Luis Silva, militantes sociales hemos tenido un amor prohibido con rostro de “Señora” retratada por Otto Serge y Rafael Ricardo, ante el cual nos preguntamos “Cómo te olvido” al son del Binomio, porque sin que lo supieran Los Panchos “tus besos se llegaron a recrear aquí en mi boca”.

Latinoamérica y el Caribe es un territorio en el cuál la conciencia está a flor de piel, a ritmo de vallenato, milonga, ranchera, tango, música llanera, salsa, bolero, música social; somos desvergonzadamente apasionados.

Por eso, cuando Shakira y Bizarrap nos dicen “Sorry, baby, hace rato que yo debí botar ese gato”, nuestros subconscientes nos llevan a la última decepción sentimental y, no … no nos extraña que Karol G y la Barranquillera nos recuerden que “la que te dijo que un vacío se llena con otra persona te miente, porque es como tapar una herida con maquillaje”.

Esa pulsión de amor y desamor, de desahogo y quiebre de la sindéresis, de ruptura de la “madurez de lo correcto”, nos identifica como pueblo que valora enormemente la autenticidad y sabe lo mucho que duele una ruptura.  Eso sí, el despecho no nos dura mucho porque lo desahogamos rápidamente.

2. Un digno ejemplo para analizar: la trinidad Karol G, Shakira y Bizarrap

La genialidad es imposible de ocultar y este fenómeno mediático ha hecho confluir a tres grandes inteligencias que saben colocarse en sintonía con el subconsciente colectivo, conectarse con las emociones, narrativas e imaginarios del común, haciéndose accesibles, que en el fondo es el secreto de todo(a) buen(a) comunicador(a) político(a).

Bizarrap es un DJ, productor y compositor argentino de apenas veinticuatro años, quien patentó su anonimato, al ocultar su rostro detrás de unas amplias gafas y gorra deportiva, acuñando que quiere que se le conozca por lo que hace y no por su cara. Conocí su trabajo cuando lanzó la “Music Sessions # 1” mostrando su genialidad musical, como compositor, desarrollador de imágenes, productor, relacionista público y sobre todo, al identificar el estilo underground, no solo de su generación, sino de varias.

Mostrando una versatilidad abrumadora, para pasar de la interpretación urbana vanguardista, al ritmo del hip hop, rap y reggaetón, Bizarrap es un maestro del sonido y las nuevas musicalidades, aunque no haya escrito artículo alguno para Scopus o JCR. Su integración de narrativas y ritmos lo colocan en diálogo con multitudes, mostrando lo que sabe hacer, más que limitarse a decirlo.

Su pluma como productor y la calidad sonora de lo que produce en la BZRP Music Sessions #53 realizada con Shakira, se muestra en la combinación de colores (autoridad-azul, feminismo-violeta, renacer-verde, tecnología-gris, lo oscuro-negro atrás) desde la primera toma, pasando por la degradación en grises cuando habla que “no está pa´ tipos como tú”.

Después su aparición juvenil, convierte a la cantante en una imagen veinte años menor, una revitalización a la Shakira quien acaba de ser desplazada por una fémina veinteañera. Shakira, rejuvenecida, con una expresión corporal (manos y rostro) que suavizan el rostro cuando suelta una de las frases más fuertes: “mastiques y tragues, tragues y mastiques”, es acompañada con gestos que indican subliminalmente que la traición le produce arcadas, ganas de vomitar.

Al Bizarrap alzar los brazos, de espalda, con las manos abiertas e interactuando los dedos (masas), vestido con una chaqueta azul (obedezcan), acompañando a la cantante cuando dice “las mujeres ya no lloran, las mujeres facturan”, sugieren invitación a la ovación, la empatía, la fusión de emociones.

La degradación musical (tonos más severos) cuando menciona la frase “clara..mente” es una trasmutación sonora a un golpe cognitivo contundente y certero. Al final, Bizarrap  da la “cara”, señalando que se acaba el tema, firmando visualmente la producción.

Shakira es colombiana, cantante, compositora, bailarina y empresaria, con casi cincuenta años, lleva treinta años de éxitos, actualizándose permanentemente. La conocimos en 1990 con “pies descalzos” y nos sorprendió años después, pues siendo políticamente conservadora, la escuchamos cantando “la maza” a dúo con la Negra Mercedes Sosa, mostrándonos que su proyecto musical procura abarcar todos los públicos, incluido el de la izquierda política y los movimientos sociales alternativos.

Éxito tras éxito, Shakira ha evidenciado ser un “animal político”, capaz de captar e interpretar el signo de tres décadas. En la lógica de las nuevas generaciones, ha convertido su vida privada en un tema público, haciendo que la opinión ciudadana, entre lanzamiento de uno y otro éxito musical, se preocupe por su cotidianidad, llenando de lentejuelas y luces de neón sus noviazgos, rupturas, maternidad y gustos.

Como pocas artistas, Shakira ha mantenido enamorado a su público, monetizando casi todo lo que hace. Su ruptura con Piqué, el padre de sus hijos, le permitió componer y lanzar cuatro éxitos musicales en los cuales desnuda sus sentimientos; primero «Te felicito», luego “Monotonía” junto a Ozuna, “Pa´ tipos como tú” con Bizarrap y, más recientemente, “TQG” con Karol G .

Si analizamos, la última de estas canciones, (TQG), encontramos una fina creatividad en cada milímetro de su contenido. El nombre es una especie de reverso al acrónimo popular de “Te Quiero Mucho” (TQM), confirmando que hubo amor, pero ahora solo quedan cenizas y el otro es el que pierde.

Luego, de lo que parecía insuperable, la sincronización artística con Bizarrap, Shakira logra un ensamble espectacular, con otra figura femenina que pasa por un drama parecido, Karol G”. La colombiana lanza a los cuatro vientos su frase “el infierno tiene un lugar reservado para las mujeres que no son solidarias con su género”, parafraseando a Mateo 12:30, colocando en el subconsciente colectivo la idea de “conmigo o contra mí”.

Juntarse en el despecho, coloca en evidencia que el drama que cada una vive (Shakira & Karol G) es más común de lo que cualquiera piensa, invitando a que cada quien recuerde la tragedia sentimental similar de alguien cercano, despertando la solidaridad colectiva con su situación. En fin, la genialidad de Shakira reside en su capacidad de colocar a flor de piel emociones y eclipsar el imperio de la razón.

Aunque inicio su carrera en 2007, con solo 16 años, fue en 2012 cuando conocimos su trabajo, de la mano de Reykon, mediante el trabajo titulado “301” que se difundió rápidamente por las redes sociales, internet y la radio. Karol G, colombiana, de 32 años, ha tenido una carrera intermitente, signada por ataques públicos por su performance latino y sus rasgos afroamericanos.

Es una cantante que ha sabido conectarse con las nuevas generaciones a través del hip hop y el reguetón, siendo conocida popularmente como la “bichota”, por sus atributos físicos. Sus videos clip, “Gatúbela”, “Provenza” y “Mi cama”, entre otros,  son explosiones de erotismo, sensualidad y corporalidad que conectan con el hedonismo cultural de una parte importante de la sociedad actual.

En TQG (Te Quedé Grande) Karol G & Shakira vuelven a la combinación de la teoría del color, con la rítmica musical matemática, expresión corporal atada a lo sensorial, letras simples conectadas con la emocionalidad y escenarios disímiles que permiten varios niveles de conexión cognitiva.

Karol G inicia en TQG con un contraste de rojo y grises, que expresan el amor por encima de la traición, lanzándose al vacío mientras canta “lo que ella no sabe es que tú todavía me estás viendo todas las historias / Bebé que fue, ¿Qué haces buscando melao? Si sabes que yo errores no repito”. Es la mujer que se libera y desafía públicamente, que se niega a ser víctima sin dejar por ello de mostrarse sensible y herida.

Justo cuando menciona “por hombres no compito” aparece el cuerpo desplomado de Shakira, quien salta levemente mientras flota, como sacudida por un impacto. A continuación  Karol G, vestida de rojo y grises (pasión y traición) sigue cayendo, en contraste aparece Shakira de pie, vestida de azul eléctrico, arrecostada a una pared de hielo, donde emergen las ramas congeladas de un árbol (¿muerte?), cantando sin emocionalidad en el rostro “verte con la nueva no dolió”. Luego, la de los pies descalzos se desplaza lentamente, recorriendo con los dedos de la mano su cuerpo, mostrando la esbeltez del mismo, diciendo “estoy puesta pa´ lo mío”.

Sin mostrarse vulgar, sino firme, Shakira va moviendo el cuerpo, de la cintura hacia abajo, como evocando el sexo, mientras canta: “lo que vivimos se me olvidó”; “la vida me mejoró” es una frase en la cual se alternan los cuerpos de Shakira (autoridad) y Karol G semi desnuda (pasión).

La frase “estoy más dura dicen los reportes” comunica la idea de un cuerpo que está despertando nuevas pasiones, incentivando los celos residuales de sus exparejas.

Los cuerpos erotizados, vestidos con telas en colores pastel, que interactúan con el fuego de fondo y luego al frente, hablan del despertar, de pasar la página y de futuro (pulsiones de muerte y vida), elementos que despiertan el morbo colectivo por los rostros del mañana.

El canto a coro entre Karol G y Shakira señalando que “te fuiste y me puse triple M”, “más buena, más dura y más level”, mientras la barranquillera saca su lengua para acariciar sus labios, es un desafío de sensualidad que promueve la evocación y el arrepentimiento sin destino, algo que todo amante despechado ha pensado en algún momento. Al final los cuerpos de las mujeres vestidas de negro indican la muerte de un amor, de una pasión.

Se podrían detallar mucho más cada uno de los encuadres de los videoclip de las cantantes y el artista, pero nos interesa destacar solo algunos elementos que muestran la capacidad de conectar con la emocionalidad del sentido común, la superación del juicio racional, y la empatía con quien se levanta de una traición.

Al final, no hay víctima ni victimarios, sino respuestas activas desde el centro de las emociones, algo que caracteriza a la metapolítica en la tercera década del siglo XXI. Por ello, estudiar este fenómeno cultural es aproximarnos a la crisis de la comunicación política actual.

3.Eros y Tánato territorializados y el ocaso de la privacidad

En “Eros y Civilización “ (Marcuse,1953) al abordar de las teorías de Freud sobre la dimensión “metapsicológica” de la cultura de masas y el sentimiento de culpa, que implicaba el monopolio del placer y el poder por el hombre (patriarcado), explica de manera nítida las consecuencias sociales de las rupturas, algunas de las cuales significan una reapropiación del placer, goce y poder (Eros), mediante la rebelión y subversión (Tánatos) del orden vigente.

En un tiempo histórico de ruptura del feminismo con el patriarcado, existen distintos niveles de quiebre y reapropiación del goce, placer y poder, siendo el más difundido el instintivo, que nos lleva a sintonizarnos con las formas verbales (letras), expresivas (musicales) y corporales (bailes, expresión corporal, gestual), contenidos en relatos como el de la trinidad artística (Bizarrap, Shakira y Karol G) que expresan el imperio de Eros en diálogo dialéctico con Tánatos, donde el amor se rompe (revolución) dando paso al desencanto (muerte), despecho, revancha (vida) y olvido como máxima expresión de venganza.

Hacernos parte del sentimiento “liberado” por otros(as), nos hace tener empatía respecto a las rupturas y culpas, convirtiendo a las melodías y video clip en fenómenos de consumo de masas, de ruptura de la esfera privada de las pasiones y de hegemonía de la vida transparente que requiere el capitalismo cognitivo en la transición a la cuarta revolución industrial.

Se trata de una tensión permanente entre instintos de vida y muerte (Freud, El malestar de la cultura,1930), donde la civilización, la idea del civilizado se fundamenta en la represión de los instintos, algo que ahora emerge como anacrónico. Los instintos y las emociones liberadas son sinónimo de felicidad, pero entender la emocionalidad se convierte en un secreto que cada vez procura menos, ser liberado.

El capitalismo oscurantista del siglo XXI pareciera querer liberar los instintos para poder encarcelar la razón, evitando la toma de conciencia de la clase trabajadora como clase en sí, elemento indispensable para cualquier intento de construcción de justicia social en los albores de la cuarta revolución industrial. Esto no es nuevo Luckacs lo denunciaba a mediado del siglo XX en el “Asalto a la razón”, pero ahora adquiere el brillo de lo digital-virtual.

Por ello, el complejo industrial cultural produce o promueve mercancías que contienen claves disipativas del civilizado y, el emerger absolutamente liberado de las emociones. Con la redes sociales y, en menor medida con la televisión de la farándula, las emociones pasan a tener cada vez más centralidad, paradójicamente -y esquizoidemente- en un mundo cada vez con más normas y controles.

Al final, esas emociones se convierten en fórmulas, pócimas de control social, alienación de natural enfrentamiento entre seres que hasta hace poco compartían un destino común, distracción expresada en cederle a otras el desquite que no termine de hacer tan visible en lo cotidiano.

4. Agotamiento de la política clásica y el complejo industrial cultural

El capitalismo articula varios lugares de enunciación para reproducir-se. En distintos momentos históricos, le ha correspondido a uno y otro el protagonismo central, anteayer las religiones y las familias, ayer las escuelas y universidades, hoy el complejo industrial-cultural.

Eso no significa que sean momentos estancos, sino que ahora el protagonismo central lo tienen los grandes aparatos de construcción de imaginarios, narrativas y estilos de vida, auxiliados por la fe, la normatividad cotidiana y los sistemas escolares.

Al agotarse la democracia como ideal liberal burgués (Berardi, 2017), y resurgir el autoritarismo como rasgo disciplinar social predominante, los partidos políticos que representan a las burguesías como clase social, están pasando a ser actores de reparto, mediaciones de transición para el pase a la democracia de la elección basada en las emociones, inmersa en un eterno presente, sin otro proyecto estratégico que no sea el consumo incesante de emociones, en medio de la terrible precarización salarial que precede al desmantelamiento del mundo de trabajo que conocimos en las tres primeras revoluciones industriales.

Los partidos políticos modernos, tienen dificultad para entender este cambio. Los partidos de derecha y centro, construidos a partir del modelo maquiavélico del poder, siguen anclados en su auto percepción de eslabón fundamental para la gobernabilidad, entre la superestructura ideológica y la estructura funcional social; consideran que basta con construir imágenes y relatos de futuros para controlar a las masas, cuando la propia ideología capitalista ha masificado la idea del presente como único futuro posible.

Los partidos de las izquierdas, que se han ido convirtiendo, a través del tiempo, en distintos esfuerzos y grados de adaptación a la gobernabilidad burguesa, sosteniendo la idea de revolución cada vez más asociada a la lógica electoral y menos a la revuelta que inauguraron los comuneros de París, llegaron al “entendimiento” que la única forma de seguir existiendo es convertirse abiertamente en socialdemócratas, como lo ha entendido el progresismo, y los menos que su existencia está signada por el imperativo de volver a la radicalidad de los partidos insurgentes que acompañan realmente a la clase trabajadora, con el drama que la cuarta revolución industrial desdibuja la idea de proletariado industrial y consolida una noción más amplia de proletarios.

Este agotamiento de la política clásica y las representaciones, no inaugura una época anárquica, sino por el contrario una transición ordenada al reino de las emociones como centralidad de lo político. Es decir, la ideología ya no entra por la razón como lo plantearon los liberales burgueses, ni por la conciencia como lo postuló el pensamiento socialista, sino por  la puerta cognitiva de las emociones asociadas a realidades concretas.

No pretendo decir que debemos abandonar la idea de la conciencia de clase para sí, sino que la conciencia en sí, tiene nuevos determinantes que condicionan lo político: las emociones. Y estas emociones son trabajadas, difundidas, diseminadas, controladas, liberadas, recogidas, conducidas y hasta dispersadas por las mercancías del complejo industrial cultural.

Los problemas de la escuela y universidad presencial tienen que ver con esto, su incapacidad para entender el nuevo marco de la educación capitalista y las enormes posibilidades de lo virtual-digital para educar, es decir para concretar políticas educativas. Por supuesto, que esta transformación digital de la educación conlleva una visión del cerebro como máquina y el aprendizaje como tecnología, lo cual intenta romper de manera esquizoide con el aprendizaje social, el aprendizaje a partir del encuentro humano. Esta visión neurótica pretende trasladar al individuo la responsabilidad de su aprendizaje, “éxito escolar” y “desarrollo profesional”, como preámbulo a nuevas formas de privatización que se van construyendo a partir de la externalización (privada) de cada uno de los procesos educativos, como si los procesos de enseñanza-aprendizaje fueran mercancías objeto de outsourcing.

Esta “recuperación instrumental” de las emociones para lo político, implica una apropiación de la genialidad creativa de las artes como vehículo de orientación de las emociones que construyen nuevas identidades políticas, donde se mezclan espíritu conservador y rebeldía revolucionaria, fuego sagrado y laberintos del averno.

Es lo que ocurre con Bizarrap, Shakira y Karol G, cuya genialidad creativa en materia de comunicación de emociones, es capturado por el complejo industrial cultural y, sirve como instrumento para construir nuevos “sentidos comunes”, nuevas identidades políticas, pensadas en clave de eterno presente.

Más importa la tormenta de pasiones, propias de la separación de Shakira y Piqué, Annuel y Karol G, que la guerra en Ucrania, el calentamiento global, las ciudades de 15 minutos, el desempleo potencial que traerá la cuarta revolución industrial o la financiarización de la economía.

Un nuevo oscurantismo y pérdida de racionalidad científica se está imponiendo, donde no importa comprender sino sentir, poco vale saber las causas y estructura de los problemas contemporáneos sino como actuar (guiado por las emociones) mirando para otro lado, en los espacios, realidades y fenómenos que antes eran centros de gravitación de nuestras preocupaciones, porque soñábamos con intervenir para cambiar nuestra cotidianidad.

La precariedad laboral ha elevado exponencialmente las dificultades de las parejas, que tienen poca capacidad de entender lo estructural de sus problemas, más allá de la fenomenología concreta de las crisis (infelicidad, infidelidad, incapacidad de resolver los problemas materiales de la convivencia) y ruptura (separación, divorcio, aceptación esquizoide de la unión infeliz).

Por eso, su problema no son las emisiones de CO2, ni la burbuja financiera, sino su situación sentimental personal, lo cual limita su potencial rebelde y creador, en cuyo sentido el drama mediático funge como anestesia cognitiva y estimulante emocional.  Por años sostuvimos la idea que la explotación generaba resistencias anticapitalistas y algunas formas de toma de conciencia, hoy esas certezas se diluyen ante la falta de instrumentos políticos revolucionarios que medien con los lenguajes, imaginarios y narrativas del presente.

Consciente de ello, el complejo industrial cultural se apropia de la genialidad creativa (plusvalía ideológica) de estos artistas y los promueve para consolidar un sentido común, que tiene como lugar de enunciación y límite de expansión la emocionalidad.

“Mi cotidianidad” se ve reflejada en los problemas de las parejas de la farándula y la crisis estructural del sistema mundo capitalista se muestra como un asunto más cognitivo, más de “echarle coco”, que de emociones que movilizan.

La política debe volver a encontrar los puentes entre racionalidad y emociones, permitiendo el diálogo entre Eros, Tánatos, Prometeo y Minerva, a pesar que los discursos académicos no lo recomienden, La política tiene que volver a sus bases éticas, despertando las emocionalidades por lo justo, aprendiendo a comunicarlo con los avances de la teoría del color, las mezclas musicales asociadas a los resortes de la movilidad y el performance propio del cambio en el presente.

5. Clara-mente la ideología salpica

Divide hasta las últimas consecuencias, que reinarás sin que nadie construya la unidad para vencerte, pareciera ser la consigna central del manejo mediático de este mach de parejas de la farándula.

La familia nuclear fue parte del proyecto social del capitalismo industrial, con su moral burguesa patriarcal. Ello era indispensable para construir al obrero industrial tensionado entre la rebeldía que genera la explotación para generar plusvalía y las necesidades de ahorrar, consumir e invertir para garantizar el funcionamiento del hogar.

Estas tensiones, en medio de la ideología del consumo incesante, arrastraron al/la trabajador(a) a la extensión de sus jornadas laborales, cada vez más hacia la inhumana frontera del desgaste irracional y el emerger de confusas emocionalidades.

Por ello, la pulsión de fuga se mostraba recurrentemente cada fin de semana en formato de licor barato, marihuana o crack, como derecho a evadirse unas horas del sentimiento de máquina que le invadía.

Con la llegada de la tercera revolución industrial, el postfordismo y el ocaso del Estado de Bienestar Keynesiano, aumento la precarización laboral y el desempleo, lo cual exigió debilitar la matriz científica de los aparatos escolares (escuela y universidad), las respuestas racionales y la creación de nuevas narrativas neo-metafísicas (fin de la historia, posmodernidad, ruptura de la dialéctica de lo global y lo local).

El papel de las emociones volvió a colocarse en primer plano y ello implicó un desplazamiento del centro de nuevos aprendizajes sociales de lo escolar a las mercancías y medios del complejo industrial cultural. Poco a poco se fue imponiendo el paradigma anti científico que “no importa saber como se construye o funcionan las cosas, sino para que sirven”.

En ese contexto llega la cuarta revolución industrial, que implicará la más importante destrucción de puestos de trabajo en la historia del capitalismo industrial. Como lo advertíamos en 2017, cuando escribimos “todo el mundo cabe en una casa”, señalando que el capitalismo preparaba una encerrona en casa, para alfabetizarnos en lo digital virtual en los planos del comercio, consumo, teletrabajo, educación y relaciones sociales, el capitalismo de la cuarta revolución demanda re-pensar y re-estructurar el papel del hogar en su reproducción biopolítica.

La casa, anterior espacio de lo privado y el hogar, pareciera ser el centro de interés de la reproducción, acumulación y ampliación de la ganancia en la cuarta revolución industrial, convirtiéndola en espacio de trabajo, educación y sociabilidad.

Esta reestructuración puede generar nuevos tejidos de resistencia que tienen que ser disipados por la supremacía de las emociones sobre la racionalidad. Los conflictos entre parejas, como procesos constantes de disipación de la energía social que puede oponerse a la reproducción del sistema, se convierten en el ariete de la sociabilidad burguesa en la cuarta revolución industrial. Competencia, conflicto y confrontación de baja y media intensidad entre parejas, vecinos y comunidades para disipar el riesgo de unidad para la rebelión.

Ese es el meta mensaje de la masificación del conflicto de las parejitas de farándula, normalizar la disputa, pues no es ya la pasión y el dolor que invitan a la reconciliación o pasar la página para reconstruir la vida, sino la extensión al máximo del conflicto personal para que las heridas sean lo más profundas posibles y reine la división.

6. Conclusión

El boom de las peleas entre Shakira y Piqué, Karol G y Annuel, no puede ser vistas como un evento comunicacional o de mera propaganda, sino como un acto cultural ideológico del capitalismo cognitivo.  No digo con ello, que estos artistas estén alineados con una política cultural del capitalismo, sino que ellos mismos son mercancías, talentosas y virtuosas, que coadyuvan al sostenimiento de la biopolítica del sistema mundo de dominación y control

Lista de referencias

Bonilla-Molina, L (2017) Todo el mundo cabe en una casa, Publicado en Otras Voces de la Educación

Berardi, B (2017) Fenomenología del fin. Ediciones La Pirateca. España.

Freud, S. (1930) El malestar de la civilización. Ediciones Pardos. Venezuela

Marcuse , H (1953). Eros y Civilización, Ediciones Sarpe. España

Marx, C (1844) Manuscritos económicos y filosóficos. Ediciones Fondo de Cultura Económica. México.

TQG, Metapolítica y sociedad

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ChatGPt y el trabajo pedagógico

Luis Bonilla-Molina[1]

  1. Introducción

La llegada de la inteligencia artificial ha desatado una ola conservadora en el mundo en materia educativa. Unos hablan de la destrucción de lo escolar, otros, aprendices de brujos, parecieran querer exorcizar a las instituciones educativas, volviendo a la “pureza pedagógica” de lo manual y analógico.

Por otra parte, las empresas tecnológicas y las corporaciones que adelantan los procesos de privatización educativa, a diferentes escalas y niveles, se han apresurado a plantear el desarrollo de los algoritmos como la panacea para aprender conforme a los requerimientos del mercado.

Estas dos posiciones, aún con discursos críticos y en otros casos funcionales al sistema, terminan alineándose con el nuevo oscurantismo escolar, la pérdida de la episteme científica de la escuela y la universidad.

En las últimas décadas se ha instalado el paradigma que hay que aprender a hacer funcionar los cacharros tecnológicos, y no importa saber que principios, leyes y desarrollos hacen posible su aparición. Si se les pregunta a estudiantes, docentes de primaria e incluso profesores universitarios que no sean del área tecnológica como funciona un control remoto, la freidora de aire o los video juegos, seguramente titubearan para dar una respuesta, porque lo que importa es ganar dinero para comprarlos y tenerlos en casa, no saber la ciencia que hay detrás de eso.

Y ahora resulta que llega la inteligencia artificial, que hace algunas tareas más rápido y preciso que nosotros y nos asustamos. Una absoluta desconfianza sobre la enorme capacidad del ser humano, interactuando y construyendo, resuena como las Santamarías de un negocio cerrando sus puertas. Por el contrario, desde la perspectiva educativa estamos en un tiempo desafiante en el terreno político, económico, social, cultural, tecnológico y pedagógico para re-pensar la escuela pública presencial, gratuita, popular, democrática, crítica y creativa, como una institución para que los y las hijas(os) de la clase trabajadora puedan acceder al conocimiento del momento histórico, con criterio propio, autonomía y capacidad para aprender a aprender.

  • ¿Qué es ChatGPT?

A partir de los robots, los software, hardware y algoritmos se construyen los chatbot, que son desarrollos de inteligencia artificial, construidos con modelo de lenguaje ajustado y técnicas de aprendizaje autónomo supervisado, que usan las técnicas del refuerzo para seleccionar caminos y opciones de respuestas.

Una parte importante de estos avances se deben al conocimiento del cerebro humano y la sinapsis cerebral, eso sí vistas como máquinas en funcionamiento (neurociencia) y no en la enorme capacidad de crecimiento permanente de la inteligencia humana. Algunos de estos chatbot contienen interfaces, que les comunican con otros, para intentar replicar el aprendizaje social.

Lamentablemente, la ética es una frontera para la cual le falta mucho camino por transitar a los análisis de metadatos, para comprenderla pues responde al espíritu humano, mediado por interacciones de conciencia y emociones, que el algoritmo aún no puede entender ni replicar. Es decir, ChatGPT es solo tecnología desprovista de la condición ética humana y así la debemos entender.

Ciertamente el ChatGPT puede hacer un artículo como éste, en solo unos minutos, pero lo que no puede es modelar las palabras conforme a las emociones que ello causará en el público al que va dirigido. ChatGPT está diseñado para la lógica del consenso y las probabilidades y la vida humana tiene una lógica difusa, contingente, cambiante, diversa, plural, que es lo que nos hace humanos.

Pero es justo decirlo, el ChatGPT puede ayudarnos a hacer la vida más dinámica y usar nuestro potencial mucho más focalizado en lo extraordinariamente creativo de nuestras capacidades y habilidades.

La razón por la que las escuelas y universidades, guardianes de la ciencia, investigación y generación de conocimiento, están temblando por la llegada del ChatGPT, es porque sabemos que algo está cambiando y que en el corto plazo tendremos que dar un giro de 180 grados en la forma de enseñar y aprender. Que eso sea mejor o peor dependerá en buena medida de la mirada que escojamos, la correlación de fuerzas sociales que construyamos y el sentido humano y de clase que le demos a este giro.

  • Los estilos de enseñanza y la cuarta revolución industrial

La escuela y universidad de la primera revolución industrial estuvo signada por los salones, pupitres estáticos, pizarrón, profesor y libros como depositarios del saber. El profesor sabía y el estudiante aprendía (o se pretendía).

El conocimiento estaba lleno de reglas (sociales, ortográficas, gramaticales), fórmulas (matemáticas, físicas, químicas) y contenidos resultantes de la evidencia científica.  La calidad del conocimiento estaba asociado a la capacidad docente para actualizarse y explicarlo. La educación disciplinar, frontal y bancaria fue su retrato.

La escuela y la universidad de la segunda revolución industrial recibió el impacto de los modelos de gestión empresarial (Taylorismo, Fayolismo, Fordismo) y desestructuró la pedagogía para convertirla en técnicas replicables en cada salón como si el sistema en su conjunto se tratara de una cadena de producción.

El currículo adquirió un papel central haciendo que el resto de los elementos gravitaran (al menos declarativamente) a su alrededor. Se suponía que los enfoques didácticos, evaluativos, de planeación y gestión se correspondieran a lo previsto en el currículo, pero en realidad se dio inicio a un Frankenstein educativo, por ejemplo, con modelos curriculares que se auto definían como constructivistas que se desarrollaban con didácticas memorísticas, evaluación punitiva, planificación central predefinida y gestión basada en resultados (aprobado-reprobado).

La curricularización de las pedagogías, amplió la identidad disciplinar, frontal y bancaria de la enseñanza y el aprendizaje (cuando lo había). Los laboratorios de ensayo y la dotación de instrumental científico (microscopio, tubos de ensayo, modelos anatómicos, etc.) como el desafío. Nos convirtieron a los y las docentes en administradores curriculares.

La tercera revolución industrial implicó una aceleración inusitada de la innovación que hizo que el capitalismo considerara que había que sacarle el mayor provecho al aprendizaje, concibiendo al cerebro como una máquina y al docente en el alimentador de insumos, controlador de las dinámicas y garantizador de la calidad de la mercancía final (perfil de egreso).

Las taxonomías, especialmente las de Bloom y compañía, se convirtieron en herramientas claves para ello, la noción difusa de calidad educativa en el sello contingente. Ante las demandas del centro capitalista de cambio paradigmático, las instituciones asumieron el cumplo- y-miento, pues se decían transdiciplinarias, pero seguían siendo disciplinares.

Se generó un espíritu conservador en lo escolar, especialmente con la llegada del computador personal, internet, redes sociales, bloques de datos y algoritmos. Lo tecnológico pasó a ser una cajita más (laboratorios de informática) en vez de colocar encima de cada pupitre un computador; a diferencia de periodos anteriores en los cuales los y las docentes pelearon por una biblioteca en cada aula para que todos los estudiantes dispusieran de un libro, esto no ocurrió con las computadoras, ni con la conexión de banda ancha en cada escuela.

La factura social a esta inconsistencia sistémica fueron los resultados escolares de la pandemia que generaron un nuevo modelo de privatización educativa (familias, estudiantes y docentes asumiendo los costos de la transformación digital), estratificación escolar (dependiendo del acceso y uso a la internet y equipos de conexión remota) y exclusión (quienes no pudieron tener ningún vínculo pedagógico durante la pandemia).

Muchos docentes tienen la ilusión que, superada la fase de cuarentena de la pandemia, todo volverá al mundo analógico de lo escolar, quedando lo digita-virtual como un complemento. Nada más alejado de la realidad, el capitalismo tecnológico está pujando para hacer de lo virtual-digital la centralidad de lo educativo.

En ese contexto de precariedad y resistencias comienza la transición a la cuarta revolución industrial con el internet de las cosas, la inteligencia artificial, los bloques de datos, análisis de metadatos, metaversos y los chatbot.

Y nuestras escuelas y universidades tienen problemas de electricidad, agua, suministros, laboratorios, muchas no cuentan con computadoras ni para los registros administrativos, ni que decir de conexión a internet que posibilite el uso escolar de la inteligencia artificial o los chatbot.

Esto forma parte de la reingeniería social para llevar a su mínima expresión o hacer desaparecer la educación pública presencial. De manera cínica el New York Times dice que lo virtual-digital es educación para pobres, mientras guarda silencio sobre la desinversión educativa, los modelos de neo privatización y la estratificación escolar que impuso –para quedarse- la pandemia. Lo cierto es que la mayoría de nuestras escuelas y universidades no están en capacidad material y paradigmática, para asumir los desafíos pedagógicos que impone la transición a la cuarta revolución industrial, de la cual el ChatGPT, es solo la punta del iceberg.

  • El problema no es de los maestros y estudiantes sino de las desigualdades sociales

Entonces, el problema no es de los y las docentes ni del estudiantado, sino del sistema educativo y el modelo capitalista que ha convertido las instituciones escolares en espacios de contención social, alejadas de su tarea central de democratizar los conocimientos y saberes, históricos y de última generación.

Son los administradores del sistema educativo burgués, quienes están destruyendo las bases materiales de la escuela pública para facilitar su salto a lo virtual-digital.  Pero para los pobres de la tierra, este salto sería un salto al vacío, un abandono de la educación de masas como indicador de justicia social.

En consecuencia, en esta etapa histórica los gremios docentes, las federaciones estudiantiles, las comunidades organizadas deben definir una clara ruta de trabajo, por lo menos en los siguientes aspectos:

  1. Luchar por 6% del PIB como mínimo para la educación, con tendencia al crecimiento porque el impulso de un modelo de justicia social y soberanía está estrechamente vinculado a la capacidad de sus sistemas educativos;
  2. Es urgente que el acceso a los servicios públicos universales (agua, electricidad, aseo urbano, mantenimiento) esté disponible de manera continua y suficiente en todos los espacios escolares y sus comunidades de entorno;
  3. Internet de banda ancha, con conexión 5G o 6G para todos y todas. La escuela debe defender que ningún ciudadano se quede al margen del acceso de la tecnología actual por sus incidencias en el empleo, la actualización profesional y la sociabilidad. Eso pasa por posibilidades de acceso de cada estudiante al internet de la escuela en todo momento;
  4. Detener los programas de dotación personal para la casa de computadores y colocar un computador de última generación encima de cada pupitre de escuelas, bachilleratos y universidades, solo así se recuperará la capacidad igualadora de la escuela y se podrá masificar la apropiación tecnológica y democratización del conocimiento científico que subyace detrás de ellas;
  5. Urge crear un programa de formación en pedagogía crítica para la cuarta revolución industrial, que permita sentar las bases para nuevos enfoques de trabajo pedagógico liberador en escuelas y universidades de la cuarta revolución industrial;
  6. Necesitamos hacer re-ingeniería inversa de la tecnología de punta para ponerla al servicio de los pueblos y no de las burguesías de los países;
  7. Esto debe acompañarse de un esfuerzo de recuperación del laicismo escolar y la mentalidad científica para el trabajo escolar
  • Por una reconfiguración de las dinámicas del aula que rompa los nuevos modelos de privatización, estratificación escolar y exclusión educativa

La escuela que conocimos está llegando a su fin, lo cual no puede ni debe ser asociado a la destrucción de la escuela pública presencial.

¿Qué está obsoleto? ¿Qué podemos hacer?

  1. El modelo de currículo prescrito. Este modelo funcionó con ciclos de innovación de 25-40 años, pero ahora estos ciclos son de 3-4 años, con tendencia a la disminución. Todos sabemos que una reforma curricular tarda entre 5 y 10 años lo cual evidencia el fracaso de esta dinámica, si queremos que la escuela y universidad recuperen su rol de centro de democratización del conocimiento. Esto plantea un modelo de currículo abierto, mediado solo por enunciados o ejes, teniendo la libertad el docente para desarrollarlo. Esto impone un proceso de acompañamiento pedagógico al docente, con mecanismos de actualización en tiempo real respecto a las innovaciones.  Esto no hace desaparecer el conocimiento histórico y los saberes ancestrales, sino que los reconfigura como procesos con impacto en el presente;
  2. Los modelos didácticos centrados en la reproducción. Eso no significa que se obvie la memorización de reglas y formulas, sino que estas adquieran sentido en la experimentalidad. Por ejemplo, aprender reglas orográficas escribiendo cuentos y novelas cortas. Los modelos activos tienen el problema que los grupos de estudiantes no deben exceder de 20, y en términos ideales ser 12;
  3. Evaluación basada en procesos y no en resultados. La ciencia es un largo camino de experimentación donde el error precede al logro y esto debe ser la norma de lo educativo;
  4. Planificación participativa a partir del cruce entre intereses del sistema educativo, con intereses de los estudiantes y las comunidades de entorno. Sin este trípode cualquier planeamiento educativo está incompleto;
  5. Gestión educativa basada en procesos, que implica enorme capacidad pedagógica y científica de quienes dirigen los centros educativos o cumplen funciones de supervisión. Venimos planteando que hay que volver al modelo de director que atiende a un grupo de estudiantes, ya que el uso de la inteligencia artificial y los análisis de metadatos pueden reducir el trabajo burocrático de reuniones y papeleos administrativos y, un director que da clases está actualizado sobre los desafíos, problemas y potencialidades del acto educativo. Se necesita un líder educativo con altas capacidades pedagógicas;
  6. Necesitamos que el pizarrón pase a ser secundario, dándole centralidad al mesón de trabajo colectivo, donde la construcción compartida de conocimiento sea la dinámica preponderante. Se requiere situar al libro y al docente como acompañantes del proceso de aprendizaje por experimentación;
  7. La escuela presencial tiene que garantizar equidad en la alimentación, haciendo que aquellos estudiantes que tienen recursos más bajos dispongan de apoyo complementario. Los comedores escolares para todos y todas, con alimentación balanceada son fundamentales en la escuela del siglo XXI;
  8. La escuela conectada y sin fronteras, es un complemento para entender el desarrollo desigual y combinado del mundo, la necesidad de romper barreras y construir la paz a partir del dialogo intercultural y el respeto a las diversidades;
  9. Es urgente la re-definición de la escuela como un espacio para disfrutar, para la alegría, el encuentro y el aprendizaje armónico.

En ese contexto el uso de herramientas como ChatGPT debe ser cotidiano, para ver ejemplos y desarrollos actuales, pero no nos debe asustar que esta herramienta haga ensayos o tareas, porque todos los ensayos y tareas se harán en la escuela de manera presencial, con sellos de identidad humana propios de las subjetividades y no de los discursos consensuados de las inteligencias artificiales.

Debemos re-aprender que la inteligencia humana tiene caminos abiertos mientras que la inteligencia artificial promedia. Aprendamos a usar la tecnología como auxiliar colocando en el centro la permanente expansión creativa de la mente humana

  • Conclusión

El problema no es ChatGPT sino la brecha epistémica que no nos permite entender que la escuela pública presencial necesita una nueva reconfiguración para ser atractiva a los y las jóvenes y niños del presente. El problema no es que unos tengan acceso y otros no, sino un Estado que ha abandonado sus tareas de equidad para que todos y todas puedan tener condiciones semejantes de partida en los espacios escolares.

Necesitamos reinventar las escuelas y universidades, peleando nuevamente en las calles y en todos los espacios, por una sociedad de justicia social, de equidad y amor.

¿Nos atrevemos a hacerlo juntos, juntas y juntes?


[1] Doctor en Ciencias Pedagógicas, Postdoctorados en Pedagogías Críticas y Propuestas de Evaluación de la Calidad Educativa. Miembro del Comité Directivo del Consejo Latinoamericano de Ciencias Sociales (CLACSO).  Socio de la Campaña Latinoamericana por el Derecho a la educación. Integrante de la Asociación latinoamericana de Sociología (ALAS) y la Fundación Kairos.  Director de investigaciones del Centro Internacional de Investigaciones Otras Voces en educación (CII-OVE). Profesor universitario

ChatGPt y el trabajo pedagógico

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Los modelos de administración educativa y su relación con las formas de gestión del modo de producción capitalista

Texto elaborado para la editorial Desde Debajo de Colombia, a partir del artículo publicado en la Revista del IAPEM de México en el año 2022

Luis Bonilla-Molina[1]

  1. Introducción

La educación y la administración de los sistemas escolares tienen unos protocolos generales, propios de la gestión de lo público y, otros estructurales que derivan del papel reproductor que el modo de producción capitalista industrial les ha asignado a las escuelas (preescolar, primaria y secundaria), así como a las universidades. La relación entre lo general y lo estructural no solo no se hace evidente al ojo desprevenido, sino que suele ser ocultado bajo el manto del supuesto apoliticismo de lo escolar.

En consecuencia, adentrarnos a la gestión de lo educativo implica una lectura política de la sociedad, economía, tecnología, mundo del trabajo y la generación de conocimientos. Un estudio del tema que desestime estos elementos solo está valorando la superficie escolar y no sus raíces y tentáculos.

Lo político, no es ni lo ha sido nunca, neutral. La neutralidad tiene un fundamento epistemológico de la educación y la escolaridad vista como productos, no como procesos en los cuales cada una de sus componentes y dinámicas están tensionadas entre los intereses de quienes mandan y los del pueblo.

 Es urgente superar la mirada ingenua de lo educativo, para poder adentrarnos en la perspectiva de defensa del derecho a la educación. En ese camino, la re-semantización de ideas y conceptos, la apropiación grosera de expresiones, solo puede ser develada con una lectura política del hecho educativo. Ello pasa por distinguir diferencias sustantivas de expresiones a partir de su lugar de enunciación, ya que no tienen el mismo sentido y orientación cuando definiciones como derecho público y bien común, se hacen desde las bancas de desarrollo o el multilateralismo, respecto a cuándo se generan a partir de las prácticas de resistencia en los territorios en disputa.

Esto ocurre con la gestión y administración educativa, en la cual se trasladan y hace uso de paradigmas empresariales, epistemologías tecnológicas y perspectivas economicistas, sin que ello sea valorado desde perspectivas humanas del aprendizaje ni pedagógicas de la enseñanza.

Sin embargo, no todo lo alternativo es realmente lo que se espera. La charlatanería de los coaching pedagógicos ha venido sustituyendo los análisis integrales respecto a propuestas y contra propuestas educativas. Urge en consecuencia, una vuelta a los estudios en profundidad que hibriden praxis en las aulas con teorías educativas, para construir propuestas que realmente abran las puertas a reformas educativas pensadas en los pueblos y no en los mercados. Esta tarea es imposible emprenderla sin un estudio exhaustivo de los modelos empresariales y los intentos por trasladarlos a las instituciones educativas; es decir, sin estudiar la dominación no se puede construir liberación que perdure en el tiempo y los espacios.

En esta dinámica las miradas de las educaciones populares y las pedagogías críticas -en plural- resultan fundamentales para integrar estructuralmente la lógica de vida de los territorios y la crítica a la visión de máquina del ser humano que intenta imponer el sistema mundo capitalista. Las narrativas panfletarias, por muy bien intencionadas que sean, son simples distractores funcionales al sostenimiento de la reproducción del sistema.

En este trabajo nos centraremos en el repaso sintético a los modelos de gestión educativa, asociados a las adaptaciones que ocurren en el modo de producción y en estrecho vínculo que en ello tiene el impacto de la aceleración de la innovación científico-tecnológica, en la consolidación del sistema mundo y, la construcción de mentalidades que lo sostengan y reproduzcan. Intentamos abordar el impacto de la actual fase de transformaciones en los procesos de producción de mercancías, en lo escolar y lo educativo, dentro de lo cual la llamada transformación digital es un capítulo especial. Finalmente, delineamos algunas propuestas de trabajo que permitan resistir a la vorágine capitalista en la tercera década del siglo XXI.

Un elemento subyace en todo el texto, la evidencia de como los modelos de administración han ido acompañando y representando, la pérdida sostenida de soberanía de los estados nacionales de la región. Develar la farsa de reformas educativas nacionales, que en realidad son adaptaciones a propuestas e iniciativas del centro capitalista, resulta esencial para la construcción de resistencias, alternativas y experiencias a contra corriente.

Al estar conscientes que un problema estructural de los análisis de teoría crítica en educación lo constituye el desestimar el peso de las revoluciones industriales, transversalmente la idea de vincular capitalismo-revoluciones industriales-adaptación del modo de producción capitalista-exigencia a los sistemas escolares aparecerá a lo largo del texto. No se trata de esnobismo ni de decoración literaria, sino de un esfuerzo por reivindicar que el huracán del mercado se mueve constantemente al ritmo de la innovación y la aceleración tecnológica.

En algunos casos usaremos el estilo de preguntas y respuestas, así como las enumeraciones, para dar cuenta de manera didáctica, de la relación de las fases del capitalismo industrial con los modelos de gestión y administración educativa. Esperamos que el camino asumido resulte de utilidad, por lo menos para abrir debates.

2. El nacimiento de las Repúblicas y la gestión empírica dentro de una perspectiva de centro-periferia

Para abordar este punto, es necesario entender que la mayoría de los proyectos de independencia nacional, ocurridos en Latinoamérica en el siglo XIX, en el marco de las tensiones surgidas entre el centro capitalista de ese momento (Madrid, Londres, Lisboa, Paris, Ámsterdam) resultantes de las demandas de mayores impuestos, gravámenes y tributos de las colonias a las metrópolis, para que estas últimas pudieran insertarse en la lógica del capitalismo industrial, moldearon un concepto sui generis de Repúblicas independientes.

Las exigencias del centro capitalista en tránsito al capitalismo industrial, trastocó la relación de dependencia y subordinación que sostenían los ricos criollos y extranjeros con las capitales coloniales. Las clases sociales que sostenían el estatus quo del orden capitalista colonial en las naciones conquistadas, garantizando la relación de dominación a cambio de usufructuar una parte de los recursos derivados de la explotación a los pueblos y el saqueo de las riquezas en el continente, entraron en contradicción con sus antiguos señores. La elevación de impuestos y tributos de las colonias a los territorios colonizados desinflaba los bolsillos de los blancos y mestizos ricos criollos.

Estas tensiones derivaron en una crisis en la lógica de dependencia del centro y la periferia capitalista, propiciando que por razones económicas emergieran en Latinoamérica actores políticos independentistas, pero no rupturistas con las dinámicas del mercado, quienes pretendían negociar, nuevas relaciones políticas, económicas, comerciales y de gobernabilidad. Esto se alimentaba de la aspiración de las clases subalternas, campesinos, esclavos, pequeños productores y comerciantes de pequeña escala, quienes vivían la opresión colonial y ansiaban un cambio radical de su situación en cuya perspectiva libertad, independencia, justicia salarial y social, eran sinónimos.

La educación cosmopolita era un privilegio de los señores ricos, mientras el pueblo apenas si podía aspirar en el mejor de los casos a la educación religiosa, que era otra forma de colonización. Las universidades eran centros elitescos para la renovación de las élites administradoras coloniales, en las cuales la negritud y los pueblos originarios estaban execrados.

La forma de gestión educativa reconocida era fundamentalmente clerical, dada la influencia religiosa en el sostenimiento del orden colonial. Las experiencias alternativas eran absolutamente marginales y en algunos territorios inexistentes. Por ello, propuestas como las de educación popular enarbolada por Simón Rodríguez no lograba eco siquiera en el liderazgo independentista.

Por supuesto, que lo procesos de independencia contribuyeron a consolidar elementos de identidad nacional y adaptaciones locales a los paradigmas tanto liberal como conservador, en disputa en ese momento histórico. En las disputas de poder colonias-metrópoli, los independentistas en su mayoría se ubicaron al lado de los “Girondinos”, despreciando las ideas “Jacobinas”, lo cual mostraba claramente los límites de clase de los procesos de redefinición de las relaciones del centro con la periferia. Por ello, nos resulta mucho más pertinente el termino emancipación para definir los procesos de independencia nacional, que el de liberación que implicaría una ruptura con la estructura de clases que garantizaba la reproducción metabólica del capitalismo mundial.

En el caso de la educación, ocurrieron fisuras puntuales y cambios cosméticos, mientras que en muchas latitudes se imponía el modelo Lancasteriano para los sistemas escolares, que fue un estilo de enseñanza-aprendizaje funcional a la lógica de transición al capitalismo industrial en ese momento histórico.

El sistema Lancasteriano de enseñanza, denominado también de enseñanza mutua, fue desarrollado inicialmente en la India por el pastor Anglicano Andrew Bell (1753-1832); luego, Lancaster (1778-1838) lo modificaría levemente y popularizaría en la región.

El método Lancasteriano (enseñanza mutua) consistía en que los alumnos con mayor rendimiento en el aprendizaje, previamente instruidos por el docente-preceptor, enseñaban a grupos de diez estudiantes. Esto mostraba límites en el número de estudiantes con los cuales efectivamente podría trabajar un docente, pero también un mecanismo de estratificación social en construcción, a partir de la apropiación del saber. El método Lancasteriano tenía una epistemología que reivindicaba el poder del saber.

En algunos casos, el trabajo en grupos en el aula que se estructura en la conformación de equipos de trabajo en los cuales se distribuyen los y las estudiantes con mejor promedio de calificaciones, es hereditario del paradigma Lancasteriano. Otra cosa radicalmente distinta el método de trabajo colectivo propiciado por las educaciones populares que se sustenta en el dialogo horizontal de saberes y el aprendizaje compartido.

Los registros de la época dan cuenta de acusaciones de maltrato infantil en la aplicación del método Lancasteriano, que son la evidencia de cómo la violencia simbólica del dominio del saber sobre otros, puede derivar en violencia física entre pares. El método Lancasteriano, en la perspectiva Freireana de la pedagogía del oprimido, resultaba funcional a la reproducción de la opresión, opresor y la sociedad opresora.

Al asumir muchas de las nuevas Repúblicas el método Lancasteriano de enseñanza, ello implicó un modelo flexible (o empírico) de administración educativa, con mucha discrecional en la toma de decisiones en el aula, fundamentalmente por parte del docente-preceptor, encargado de la reproducción cultural en la microfísica del poder. Cómo en el naciente capitalismo industrial lo importante era el logro, en la producción de la mercancía educativa, la repetición, memorización y castigo corporal eran vistos como “normales” o de “sentido común”, justificado silenciosamente con el pretexto de alcanzar la meta.

Como lo señalamos, proyectos educativos alternativos como el de Simón Rodríguez fueron arrinconados pues su esencia iba en contravía al modelo de reproducción capitalista que se imponía en ese momento, aún en sociedades rurales, campesinas e indígenas como la nuestra. Por ello, es un eufemismo hablar de ideas pedagógicas latinoamericanas de ese momento, pues no eran lo mismo las ideas educativas de “Robinson” que las de Simón Bolívar, Santander, Sarmiento u otros. El americanismo en educación puede derivar en una cortina de humo para ocultar la relación de las propuestas educativas de la época con las necesidades educativas del capitalismo en la periferia. En ese sentido tendríamos que aproximarnos a las ideas educativas con el crisol de los estudios comparados en materia económica, política, tecnológica, social y cultural.

Así como la estructura de los sistemas escolares y la educación en el capitalismo de la Europa colonialista, de las dos primeras revoluciones industriales, abrevó de las ideas de Comenio, especialmente en su obra estelar Didáctica Magna, la escolaridad tal y como la conocemos en América Latina y el Caribe es en buena medida la resultante de la perspectiva colonial impuesta por las tradiciones educativas de las naciones conquistadoras y, el impacto del desarrollo tardío del capitalismo industrial en la región, especialmente en la relación entre el centro y la periferia del sistema mundo.

Respecto a los propósitos de los sistemas escolares, en sus génesis Latinoamericana y caribeña, Olga Zuluaga y otros (2004), respecto al caso colombiano, similar en muchos países de la región señala:

Al culminar el proceso de independencia, en 1819, los líderes de la emancipación emprendieron reformas en los órdenes legal, económico, social y político para cimentar a la naciente nación en la cultura política occidental. Entre las reformas primordiales se encontraba la educación enmarcada en dos propósitos medulares: formar una élite para la dirección de la República y brindar la instrucción primaria a los súbditos, casi todos sumidos en el analfabetismo. Escuelas, colegios y universidades integraban el conjunto institucional adaptado para la construcción del sistema de instrucción pública” (pp.203-204)

En consecuencia, el propósito inicial, que mediaba el modelo de administración escolar, era que los ciudadanos de las nuevas Repúblicas aprendieran las normativas sociales que imperaban en las metrópolis capitalistas, se apropiaran de los íconos y representaciones de las nacientes naciones y, asumieran como propios los valores occidentales.

La ruptura con el pensamiento y la cultura de los pueblos originarios y de las comunidades afrodescendientes era parte sustantiva de la tarea escolar, en el proceso de consolidación de una nueva clase dominante que asumió como propios los valores del capitalismo occidental.

Los roces entre los gobernantes de las Repúblicas emancipadas y la iglesia católica, tenían razones económicas, pero fundamentalmente estaban determinadas por la exigencia de las burguesías industriales de cumplir con el Contrato Social Educativo que permitiera la expansión y reproducción del sistema capitalista, tanto en el centro como en la periferia. En el vértice de ese Pacto Social estaba la democratización del conocimiento científico, sobre el cual tenían enormes esperanzas las élites burguesas, respecto a mejorar la producción de mercancías y aumentar las ganancias. Esta democratización de la ciencia hacía tambalear el imperio de la fe sobre el cual la iglesia había sostenido su relación con el poder, dada su eficacia en el control social. Esto creo una larga onda de turbulencias, entre la idea de Estado laico y la Fe, que lograría irse estabilizando progresivamente hasta llegar a los acuerdos de Concordato entre el Estado y la Iglesia.

La democratización del conocimiento científico contribuiría a consolidar la ruta hacia la redefinición de las naciones emancipadas como sociedades dependientes y neocoloniales en el marco del capitalismo industrial y, a reelaborar el poder de la iglesia, qué, aunque en algunos casos fuera crítico, mantenía un cordón umbilical con la vieja Europa y su rol funcional al sostenimiento del orden burgués.

Esto era más fácil de lograrlo en la educación primaria y secundaria que en las universidades. Carlos Tünnermann (1991) señala que “el advenimiento de la República no implico la modificación de las estructuras socioeconómicas coloniales (…) igual sucedió con las universidades que siguieron siendo en su mayoría coloniales fuera de la colonia (…) y cuando la República decidió desempolvar los viejos claustros coloniales, lo hizo sobre la base de adoptar el modelo napoleónico de universidad, es decir, el esquema profesionalizante y centralista” (p.10)

Las instituciones educativas eran valoradas y evaluadas conforme cumplían con estos propósitos de formar la élite gobernante y democratizar el conocimiento, mediante la alfabetización, la divulgación de las ideas universales y el saber científico.

Para poder estudiar la administración y gestión educativa de este periodo, se hace necesario una correcta caracterización del carácter dependiente y neocolonial de las repúblicas latinoamericanas y caribeñas en el periodo de estabilización precaria y consolidación política (1819-1910). Por ello, señalamos que el empirismo adaptativo y el eclecticismo pedagógico fueron los rasgos más importantes de la gestión educativa en este periodo.

3. El Taylorismo consolida el modelo disciplinar de lo escolar y establece metas educativas

¿Qué es el taylorismo y a que etapa de desarrollo capitalista corresponde?

Frederick Taylor (1856-1915) fue un norteamericano, considerado el desarrollador de la organización científica del trabajo. Taylor elabora su propuesta en el periodo en el cual el capitalismo industrial toma auge, impulsado por la producción fabril de mercancías, aprovechando la innovación científico tecnológica de las dos primeras revoluciones industriales.

Los principios del método Taylorista fueron descritos en su trabajo  The Principles of Scientific Management (1911), y estos son: a) la racionalidad científica debe sustituir la cultura empírica en la organización del mundo del trabajo; b) es muy importante el proceso de selección de los y las trabajadores(as), ya que en la perspectiva científica del mundo del trabajo el empleado no es quien escoge el puesto de trabajo; c) el trabajador se le forma de manera previa para el desempeño eficaz de su trabajo; d) la dirección de la empresa colabora amablemente con los y las trabajadores(as) para garantizar el cumplimiento de su trabajo; e) la responsabilidad del proceso del trabajo se comparten entre la gerencia y empleados; f) el estudio del mundo del trabajo se hace a partir de la experiencia de los y las trabajadoras(es) y el comportamiento de la estrategia diseñada por la dirección de la empresa, con el propósito de generar la mejora incesante de la producción.

En el Taylorismo la gestión científica de la producción se fundamenta en la división del trabajo en la fábrica, la producción en cadena y la eliminación de la autonomía del/la trabajadora(or); además propone que el trabajo sea dividido en tareas y que se fomente la especialización del trabajo para poder incrementar la producción de mercancías.

¿Cómo se expresa el taylorismo educativo?

El Taylorismo tiene su auge en la primera mitad del siglo XX, periodo en el cuál, la noción de derecho a la educación y la conducción republicana de la enseñanza pública desde el poder Ejecutivo, apenas se conformaban en tendencias en América Latina. En consecuencia, la gestión de la formación de las futuras generaciones comenzó en ese periodo a ser una preocupación central para la gobernabilidad y cumplir las tareas asignadas a la periferia por el centro capitalista. Se produce una asimilación no declarada, en algunos casos acabada y en otros parcial, del Taylorismo a la gestión de los sistemas escolares.

Los nacientes Estados nacionales asumen como propias las dinámicas del Taylorismo. Primero, definen los propósitos de la educación pública: a) formar ciudadanos republicanos, b) individuos para la participación en las dinámicas del mercado, para lo cual todo conocimiento debería contribuir a construir mentalidades de consumo y, finalmente, c) la democratización del conocimiento científico disciplinar.

El desarrollo integral de la personalidad estaba asociado a cumplir con las normas y leyes, así como participar en el “progreso” de las sociedades, contribuir a la consolidación del mercado y el consumo, usando para ello las dinámicas de apropiación de los paradigmas científicos disciplinares, que además debería garantizarse que resultaran efectivos para propiciar las condiciones y capacidades para la generación de nuevos conocimientos y tecnologías que impactaran positivamente al modo de producción.

Segundo, promueven centros de formación del personal docente para enseñarles a enseñar, conforme a la orientación estratégica del sistema. Esto implicó la sustitución de la idea de vocación, por la de formación profesional, aunque en el presente aún los gobernantes apelen a ésta (vocación) cuando quieren someter al personal docente o disipar la rebeldía de los trabajadores de la educación. La idea era seleccionar racionalmente y formar a los futuros docentes.

En esta formación, el/la futuro(a) maestra(o) va siendo despojado de la libertad de pensar, perdiendo la autonomía, para entrar en un proceso de disciplinamiento respecto a lo que tiene que enseñar y cómo hacerlo; asume como propia la estructura fabril de la escuela primaria, secundaria y universidad. Se convierte al docente en un ejecutor de programas de estudio, con metas, periodos de tiempo para su ejecución y resultados esperados. La formación de directores de centro educativo, supervisores se hace para garantizar el cumplimiento de las tareas y hacer estudio de lo que se hace con el propósito de mejorar.

La escuela primaria y secundaria, dividida por grados, es vista como una cadena de producción orientada a lograr el llamado perfil del egresado. Los planes y programas son las instrucciones del sistema para lograr la reproducción estandariza del conocimiento útil, en serie, a través de la educación. La planeación, didácticas y evaluación escolar son limitadas a tecnología necesaria para alcanzar el perfil de egreso y subordinado al currículo, no a las necesidades de aprendizaje de los y las ciudadanas(os).

Las tareas escolares, divididas en metas por grado escolar, tienen ahora la lógica de “ensamblaje” de conocimientos para ir sumándole partes del saber al estudiante, como prototipo de mercancía social y del conocimiento.

La división de tareas, no es solo entre aquellas concebidas como “intelectuales” (teóricas), “prácticas” (deporte, laboratorios) y manuales (producción agrícola, artesanal y de limpieza escolar), sino también entre disciplinas.

Se establece la primaria como la fase en la cadena de producción, donde un(a) mismo maestro(a), debe colocar en distintos momentos “piezas diversas” (lengua, matemáticas, sociales, estudios de la naturaleza, etc.), es decir, enseñar a aprender por separado, de manera fragmentada.

En el caso de la secundaria, la especialización implica un cambio drástico, porque hay profesores por materias, mientras el estudiante debe aprobar por separado cada uno de estos conocimientos. La fragmentación y la especialización actúan como expresiones concretas del paradigma disciplinar en los sistemas escolares, generando la división del trabajo propia de campos separados de disciplinas científicas. La secundaria en su conjunto se asume como una fuerte formación para el trabajo, ya fuera en fábricas, empleos públicos o en departamentos de instancias gubernamentales organizadas también de manera disciplinar, en sociedades donde la formación universitaria era mínima. El Taylorismo organiza el proceso de formación escolar, mientras los y las docentes, pierden la noción de conjunto y se concentran en cumplir bien su parte en la cadena de producción.

Los horarios escolares, fueron conformados según la lógica de producción: jornadas de entre cinco y ocho horas en la escuela, donde el trabajo es de rutinas programables (días fijos para cada una de las materias, duración de cada sesión escolar), como en una cadena de producción, luego en la casa continúa el trabajo escolar (horas extras) con tareas asignadas para la autogestión del tiempo (por disciplinas), preparándose para exámenes y exposiciones del día siguiente.  Es decir, la casa como lugar de continuación del trabajo vinculado a la producción, ocupando el ocio con trabajo indirecto.

Cada conocimiento nuevo generaba necesidades de consumo asociadas; aprendemos higiene personal, hay que comprar jabón, cepillos de dientes, pasta dental, nos apropiamos de la elaboración de figuras geométricas, debemos comprar reglas y compas, y así sucesivamente. El aparato escolar cumple una función estructural en la ampliación del consumo, el mercado y la captura de plusvalor.

Los exámenes e interrogatorios, las tareas escritas y exposiciones, forman parte del sistema de formación continua, selección, vigilancia, penalización y eficiencia que postula el modelo Taylorista.  Aunque tardíamente, ello veríamos luego expresado con la cartelera de los mejores estudiantes, la cual emula las del empleado destacado. La calificación de aprobado da la posibilidad de continuar con el estudio (empleo en el mundo laboral del mañana), mientras el reprobar se asemeja a la pérdida de empleo por no cumplir con las metas, lo cual indica que hay que aprender y mejorar, si mañana se quiere conservar el empleo.

La división jerárquica en la escuela (directores(as), sub directoras(es), departamento de evaluación y/ o de orientación, normaliza la vida cotidiana en medio de jefaturas. El propio docente es obligado a ser la “autoridad del saber” en el aula, el “jefe” de la cuadrilla de estudiantes, con lo cual se le va convirtiendo en una especie de “capataz en la línea de producción” escolar, que debe garantizar el cumplimiento de las tareas (aprendizaje por materias) en el tiempo y cantidad establecidas.  El estudiante es solo el “obrero” que trabaja el aprendizaje con posibilidades de aprobar (mantener el empleo), reprobar (perder el empleo) o suspendido (aplicado un descuento en su paga), pero es a su vez la mercancía educativa de la fábrica escolar. La responsabilidad compartida que promulga el Taylorismo se limita a la relación del docente que enseña y el estudiante que “debe” aprender.

Los niveles de educación preescolar, primaria, secundaria y universitario eran (y son) vistos como parte de una cadena de producción que genera adaptadosde lo familiar a lo escolar (kínder o preescolar), productos básicos (alfabetos, aprendices de electores y ciudadanos consumidores), intermedios (bachilleres, técnicos y especialistas) y finales (profesionales y postgraduados).   Cada producto, según su nivel de “acabado”, como mercancía con perfil de egreso, tiene un mercado en el cual vender su fuerza de trabajo y un precio diferenciado por su labor.

Es decir, el taylorismo sistematiza, ordena, dota de sentido funcional y le da forma coherente, a lo que venían haciendo de manera empírica las instituciones educativas. Los sistemas escolares de América Latina y el Caribe, recién creados, asumen metas (cobertura, egreso, pase a grado siguiente), eficacia (costos, metas, egresos), eficiencia (incorporación de egresados al mundo productivo y gestión de la sociedad capitalista).

Aunque Eduardo Noro (s/f) plantea que el Taylorismo es el resultado del modelo de educación, dotando a la escuela de niveles de autonomía para la generación de perspectivas, desde nuestro punto de vista, entendemos al sistema escolar subordinado a la lógica, perspectiva y orientación estratégica del capital, en cada momento del modo de producción y, en consecuencia, son las escuelas y universidades las que asumen como propio, el Taylorismo que se instala en el modelo fabril. Por supuesto, las instituciones educativas tienen un papel reproductor del sistema capitalista que es posible gracias a su epistemología de diseño, generada por el modo de producción capitalista, pero no cuentan con los grados de libertad para generar por sí mismas un modelo de gestión del sector empresarial, muy por el contrario, su orientación concreta en cada momento histórico es determinada por el centro capitalista.

En el periodo del auge del Taylorismo, espacios como la Oficina Internacional de Educación (OIE)[2], creada por Jean Piaget, generaron estudios internacionales comparados, a partir de la captura de información y estadísticas nacionales, que procuraban establecer cánones para valorar la eficiencia de los sistemas escolares nacionales, respecto a las metas que se perfilaban en el sistema a nivel mundial. Ello impulso y contribuyó a la creación de oficinas de estadísticas educativas nacionales y sistemas de valoración de las actividades educativas de cada país y región, sujetos a la tendencia que progresivamente se iba imponiendo de estandarización y normalización de los sistemas educativos. Los Tesauros en educación comenzaron a ser un esfuerzo por unificar las denominaciones y transformarlas en guías conceptuales para las operaciones de gestión educativa; conceptos unificados que orientaran la visión, misión, estrategias y tareas.  El Taylorismo generó modelos de gestión y administración educativa que tendían a las similitudes, centrados en datos, resultados y la valoración de cada uno de los niveles y modalidades de los sistemas educativos nacionales, para intervenir en cada uno de ellos según sus realidades, potencialidades o problemas, para conducirlos a un horizonte común.

El Taylorismo, al tener como principio la responsabilidad compartida de gerentes y empleados en los resultados, facilitó la construcción de una narrativa que se popularizaría décadas adelante, que culpabiliza a los y las docentes de los problemas educativos, argumentando que los administradores centrales consiguen los recursos, mientras los y las docentes deben garantizar el cumplimiento de las tareas y metas educativas, que son su parte de co-responsabilidad. El Taylorismo educativo requiere una asimilación acrítica del personal docente, a las metas del modo de producción capitalista en cada etapa histórica, razón por lo cual el acto de “pensar” se circunscribe a la forma como se ejecuta la tarea preestablecida.

Por supuesto, el Taylorismo no solo desestima las resistencias educativas que procuran recuperar la autonomía en el desarrollo de propuestas educativas, sino que valora como disfuncionales a la convergencia de propósitos. La armonía en la cadena de producción es un objetivo a lograr, ya que las resistencias son vistas como ruta para conflictos que afectan las metas y resultados oportunos en la cadena de producción.

Los trabajos de Taylor se complementarían y diferenciarían en su nivel de énfasis, con los aportes de Henri Fayol (1841-1925)[3], ya que éste último, fundamentalmente concentraría una parte importante de su trabajo en la gestión de alto nivel (métodos, procedimientos) y en la optimización del uso del tiempo.

Para Fayol, en su Teoría Clásica de la Administración, los aspectos fundamentales de la administración eran las: a) áreas técnicas (producción, fabricación, transformación); b) comerciales (compras, ventas); c) financiera(administración del capital); d) seguridad (bienes, inmuebles y personas); e) contable (inventarios, balances de haberes y egresos, control estadístico) y, las funciones de la administración comprendían: a) planeación, b) organización, c) ejecución, d) coordinación, e) control.

Fayol desarrolla, modifica y amplia los principios de gestión de Taylor, convirtiéndolos en catorce : 1) división del trabajo, 2) autoridad y responsabilidad centrada en la dirección, 3) disciplina vista como debida obediencia y subordinación jerárquica, 4) unidad de mando, 5) unidad de dirección, 6) subordinación de los intereses personales a los colectivos, 7) remuneración que permita reproducir el sistema, 8) relación armoniosa entre centralización y descentralización en los procesos de toma de decisiones, 9) cadena escalar de mando, 10) orden en el proceso de producción, 11) equidad en el trato institucional, 12) estabilidad en el cargo limitando la rotación de puestos, 13) fortalecer la iniciativa creativa de empleados y 14)  fomentar el trabajo de equipos.

Los trabajos de Fayol serían muy importantes en el proceso de estructuración de la formación para planificadores educativos, supervisores y directores de centros educativos. Con Fayol los sistemas escolares enfatizaron en la cadena de mando para la ejecución de las directrices educativas centralizadas, precisando los grados de libertad de cada instancia, como acciones complejas y diversas para ejecutar contextualmente la toma de decisiones.

Los trabajos de Fayol impactarían a los sistemas de gestión y administración educativa, fundamentalmente en la racionalidad administrativa en procesos como la determinación de las cargas horarias para las distintas materias, en las fases de implementación de los planes y programas, así como en los sistemas de rendición de cuentas. Es innegable el impacto que tuvo la sinergia de los trabajos de Taylor-Fayol en la modelación de los procesos de toma de decisión del conjunto de los sistemas educativos nacionales.

4. El fordismo educativo

¿Qué es el fordismo?

El fordismo tiene sus orígenes en el modelo de producción implementado en las fábricas Ford a partir de 1908, que se convertiría en un sistema generalizado del modo de producción capitalista entre 1930 y 1970.

En esencia el Taylorismo se fundamenta en las mejoras que significaron para la producción de mercancías, las dinámicas de mecanización a gran escala, cuyo epicentro procura colocar como un todo, producción y trabajo.

El fordismo se fundamenta en: a) producción en cadena progresiva de ensamblaje, b) especialización de la mano de obra en procesos de producción pequeños y específicos, c) eliminación de la flexibilidad del tiempo del obrero en el trabajo, d) aumento de la mecanización del trabajo, e) uso de la cinta de montaje o ensamblado, f) uso de mano de obra no cualificada quien aprende la parte del proceso que le corresponde, g) reducción de los costos vinculados a la producción, h) disminución del tiempo de producción de mercancías finales, i) subida sistemática de salarios a los y las trabajadoras(es) para que estos(as) puedan consumir las mercancías del mercado, alimentando los ciclos de apropiación del plusvalor.

El fordismo se hace popular a escala global a partir de la crisis económica de 1929, al surgir en un momento de reordenamiento de la economía mundial, por las disputas de mercados internacionales que derivaron en dos guerras mundiales, cuyo factor más dinámico resultó ser los EEUU.

Al surgir los Estados Unidos de Norteamérica como nación hegemónica capitalista mundial en materia económica y geopolítica, el fordismo que tenía como lugar de enunciación el imperio estadounidense, se consolidó como modelo de gestión empresarial.

A ello se suman, los aportes del Fordismo en materia de negociación en el mundo del trabajo. En ese contexto, el papel que le asigna el fordismo a la burocracia sindical es el de instrumento de coaptación, al proponerla como instancias de diálogo y para la resolución de conflictos. Para el fordismo no solo había que auspiciar la creación de sindicatos, direcciones reformistas y la negociación colectiva, sino que se debería entender que la conquista de aumentos salariales sistemáticos, llevaría al abandono de la lucha por el socialismo por parte de la clase trabajadora, dinamizando además, el mercado al tener los proletarios mayores posibilidades de consumo.

Ello requería la creación de capacidades y cultura organizacional en la dirección de las empresas, que posibilitaran la negociación constante con los sindicatos burocráticos, para que estos dieran la impresión ante sus afiliados de estar permanentemente conquistando aumentos salariales, cuando esto en realidad se debía a un modelo de gobernanza fabril y del conjunto del sistema mundo capitalista.

El fordismo como modelo de gestión empresarial de ideología capitalista, permitió (y propició) entre 1930 y 1970, la más importante propagación de sindicatos y gremios docentes de la historia del movimiento docente. Es justo decir, que la coaptación no siempre pudo ser alcanzada, así que muchas de estas organizaciones de lucha de los trabajadores de la educación resultaron ser nichos de resistencia.

Sin embargo, esta acción de construcción de hegemonía por parte del sistema, fue complementada con el impulso de ideas liberales sobre la educación, como la escuela nueva, que permearon a gran parte del sindicalismo docente. La epistemología de la escuela nueva fortalecía la idea de negociación colectiva, cerrando el círculo ideológico de entrar a la dinámica de negociación-aumentos salariales-consumo-dinamización del mercado capitalista.

El fordismo, tiene problemas que se van haciendo evidentes en la medida que se generaliza su modelo. Algunos de ellos provienen de las resistencias, que se van generando en la clase trabajadora por la ejecución incesante y rutinaria de una labor en la cadena de producción, lo cual terminaba desmotivando y generando una baja en la producción.

Así mismo, al promover el fordismo la creación de grandes fábricas, el margen de error se incrementaba y afectaba de manera más amplia al conjunto de la cadena de producción.

Además, el impacto de la llegada de la tercera revolución industrial (1961), con el uso de la robótica (a partir de Unimate en la industria automotriz), la informática y la programación, hacen obsoletas muchas de las dinámicas del modelo fordista. A ello se le suma la crisis de sobre producción, y de precios del petróleo ocurrida a comienzos de los setenta, que colocaba límites ciertos al vínculo del modelo Fordista con el Estado de Bienestar Keynesiano, que hacen imposible sostener el modelo de negociación sindical y aumentos salariales concertados y sistemáticos.

La crisis del Fordismo implicó también un punto de inflexión en los ataques a los sindicatos y la acción sindical, que bajo su modelo habían jugado un papel de contención en la lucha de la clase trabajadora. El fordismo pretendía generar la ilusión de que era posible crear una ampliación indefinida del consumo, algo que la crisis de exceso de mercancías colocó en duda.

Podemos decir, que el taylorismo y el fordismo han sido los modelos de gestión más populares en el capitalismo de la primera y segunda revolución industrial.

¿Qué expresa el fordismo educativo?

El fordismo educativo es un paso más en la instrumentalización productivista de los sistemas escolares. Para el fordismo educativo las escuelas primarias y secundaria, así como la universidad se asemejan en sus procesos escolares a bandas transportadoras, con estaciones de ensamblaje (grados), donde el operario (docente) va colocando los componentes (conocimientos, currícula, valores, prácticas) que sirven para elaborar un producto final o mercancía(perfil de egreso).

Entre más grande sea la escuela primaria, secundaria y universidad, ello es mejor, porque mientras entren más alumno en un aula, el modelo resulta más eficaz. En esta lógica surgen cuatro grandes especializaciones de grupos de trabajo, correspondientes a les docentes de: a) preescolar, primaria, secundaria y universidad; a quienes se les forma de manera especializada para el segmento de la cadena de producción en serie de “ciudadanos-consumidores”. Pero la formación docente puede ser en servicio, bajo distintas figuras como “docente no graduado”, pues la formación previa, propia del taylorismo, desparece en el fordismo.

Dentro de cada grupo surgen otros subgrupos con mayor nivel de especialización: a) en preescolar: maternal y educación inicial, b) en primaria: los tres grados iniciales donde se enfatiza la memorización, adquisición de hábitos y las reglas del lenguaje, las matemáticas y el pensamiento lógico. Los tres grados restantes constituyen una preparación para la adquisición del método científico, la ciencia y el conocimiento validado; c) la secundaria: donde se enfatiza la separación de los docentes por disciplinas, no solo para consolidar el pensamiento fragmentado del mundo y la escogencia de híper especialización en la siguiente estación de la banda de producción escolar, sino también para habituar al estudiante a trabajar con distintas jefaturas y aprender a subordinarse en la ejecución de tareas diferenciadas; finalmente la universidad (pre grado y postgrado); donde las carreras expresan la cúspide del pensamiento disciplinar de especialización, donde se pierde la visión de totalidad en la mercancía educativa, el egresado.

Durante el fordismo educativo se procura que los docentes disminuyan al máximo la rotación entre grados y materias, produciendo una súper especialización con la esperanza de mejorar la eficacia y eficiencia del ejercicio docente.  Es el periodo en el cuál, por ejemplo, los y las docentes de primer o sexto grado, que cumplían todos los protocolos, programas y sus alumnos obtenían buenas calificaciones, difícilmente eran rotados.

En el fordismo educativo. los objetivos instruccionales secuenciales por materia y las correlaciones de objetivos, se entienden en la lógica de la banda de producción en serie. Las didácticas se convierten en las técnicas de ensamblaje y producción y, las evaluaciones en mecanismos de auto corrección y ajuste por parte de la gerencia escolar.

En el fordismo educativo se desarrolla una descentralización funcional de la gestión educativa, creando coordinaciones de provincia, estado o región, direcciones municipales y comunitarias, con el propósito de crear sistemas de control y ajuste lo más cercanos posibles, en los distintos segmentos de la cadena productiva.

Se impulsa la idea, con pretensiones generalizadoras, que no es necesario ser docente graduado(a) para dar clases, que se puede emplear a no titulados, con sueldo diferenciado, quienes pueden irse formando en servicio. Se instituye, además, la idea de unidades experimentales en la formación docente, donde los y las futuras maestras(os), van desarrollando capacidades pedagógicas a partir de la praxis.

El fordismo considera al sistema escolar como una gran fábrica que puede estandarizar, normalizar e indexar todos sus procesos y dinámicas a nivel nacional, regional y local.

Comienzan a construirse patrones estandarizados de formación del personal directivo, de supervisores y planificadores, como lo vimos a finales de los cincuenta y los sesenta, cuando la Organización de Estados Americanos, la UNESCO IIPE[1] y otras instancias, promovieron la formación internacional para el liderazgo de la gestión educativa, con protocolos homologados a nivel internacional.

El nivel de automatización escolar que requiere el fordismo es desarrollada con la dotación de equipos tecnológicos compatibles en las oficinas y dependencias (máquinas, mimeógrafos, sistemas de archivo), laboratorios (instrumentos e insumos), así como el surgimiento de los departamentos de control de estudios (Calificaciones, años escolares, egresos, titulaciones). El apoyo logístico a las instituciones educativas se instrumenta con materiales instruccionales comunes, incluidos los libros de textos nacionales.

Durante el fordismo educativo, los sindicatos docentes intentaron ser encasillados en el papel de sectores organizados para luchar por mejores condiciones de trabajo y salarios, evitando cualquier actividad de carácter político estratégico, considerando anti gremial la lucha por el socialismo o la unidad de acción con el resto de la clase trabajadora.  Se crean y promueven gremios y sindicatos de este tipo, aunque en todos los países ello no pudo conjurar la posibilidad de que surgieran sindicatos docentes anti burocráticos y clasistas. En algunos países se llega a distinguir sindicatos de gremios docentes, inhabilitando a estos últimos para la lucha política e incluso para la contratación colectiva, impulsando una visión corporativa profesional.

El Fordismo desarrolla modelos de gestión y administración educativa en los cuales los procesos de construcción de políticas educativas recaen en el reducido grupo de autoridades de alto nivel, mientras que la puesta en marcha de las mismas se hace a través de la cadena de mando que dirige y supervisa la “correa de producción escolar”.

5. El Informe Faure y el cenit de los paradigmas de la cultura evaluativa, neurociencia y el aprendizaje como máquina

A partir del Informe Faure[1] (1908-1988), mejor conocido como “Aprender a Ser: la educación del futuro” (1973) la Unesco, comienza a intervenir de manera nítida en los intentos de resolución del problema de la brecha epistémica que afecta a los sistemas escolares y la universidad.

El Informe Faure es pionero en abordar el problema educativo en el marco de las revoluciones industriales, pero la falta de énfasis al respecto no permitió que se diera importancia a esta distinción epistemológica, lo cual afectaría de manera sensible la interpretación práctica de su trabajo.

El Informe Faure destaca que los puntos de referencia para su análisis son: a) la educación precede; b) la educación prevé, y; c) la sociedad rechaza los productos de la educación.

Precisa que históricamente la educación había acompañado el desarrollo de las naciones, pero a partir de las dos primeras revoluciones industriales la educación precede el desarrollo de las naciones, es decir, se educa a la población para poder impulsar el modelo de capitalismo industrial de manera eficaz y eficiente. El problema que identifica el Informe es que, por primera vez, con la llegada de la tercera revolución industrial (1961[2]), esta capacidad de preceder comienza a perderse, básicamente por el desfase entre lo que se enseña y la distancia con los productos generados en el marco de la aceleración de la innovación científica y tecnológica.

En cuanto a la capacidad de los sistemas escolares y las universidades para prever un mundo distinto al que se vive, el informe destaca que este es un requerimiento de primer orden en el marco de la aceleración de la innovación. Es decir, a la tarea de reproducción cultural y simbólica, asignada históricamente a los sistemas escolares y universidades, ahora se le debe añadir esa preparación para un mañana que aún aparece difuso en sus expresiones prácticas y concretas en el presente. Esto tiene la dificultad que el mecanismo escogido por la administración educativa para incorporar lo “nuevo” eran las reformas curriculares, pero estas pueden tardar entre cinco y diez años en elaborarse y ponerse en marcha, y los ciclos de innovación se comienzan a achicar, haciendo que la obsolescencia curricular pueda ser inmediata e incluso antes de ponerse en marcha.

Señala de manera lapidaria el informe que “por primera vez en la historia diversas sociedades comienzan a rechazar un gran número de productos ofrecidos por la educación institucionalizada” (1973, p.63), para justificar que la sociedad rechaza los productos de la educación.

Por ello, los modelos posforditas en educación, no solo traerían propuestas de mejora de la gestión, sino que vendrían acompañados de iniciativas para incorporar los conocimientos de punta en materia de aprendizaje y cognición, a las reformas escolares. El Informe Faure precisa una serie de innovaciones que fundamentarían muchas de las propuestas didácticas de las siguientes décadas que abrirían las puertas a la neurociencia, la comprensión del cerebro humano como una máquina y la concentración de los aprendizajes en las áreas inherentes a la aceleración de la innovación mediante el paradigma STEM.

En su capítulo 5 titulado “hechos portadores de porvenir: el laboratorio descubre” el Informe Faure impulsa con fuerza el giro a la psicologización de la pedagogía, algo que viene ocurriendo desde la década de los veinte del siglo XX, al entender el aprendizaje como un proceso de transferencia y absorción de conocimiento.

Para ello, destaca los avances en neurofisiología, especialmente en materia de mecanismos de atención, bioquímica de la memoria, fenómenos de fatiga y edades óptimas para la adquisición de conocimiento y formación profesional. Las moléculas de la memoria, son buscadas, aún de manera fallida, como depósitos de información expresando los caminos de acercamiento entra las investigaciones de informática, arquitectura del cerebro e inteligencia artificial.

Los aportes de la psicología, evidenciados a comienzos de los setenta del siglo XX, abrirían las puertas a lo que sería la neurociencia como paradigma de enseñanza-aprendizaje, a partir del Behaviorismo, la epistemología genética, las dinámicas de formación de los procesos cognitivos, las críticas de la escuela lógica matemática al behaviorismo para desarrollar la perspectiva algorítmica de los aprendizajes, los avances del estructuralismo psicologista,  la lingüística aplicada, la antropología cultural especialmente en el trabajo con arquetipos e imaginarios y su impacto en los aprendizajes, la semiología y las teorías de la información, la cibernética y la lógica computacional. La neurociencia terminaría integrando, desarrollando y dotando de sentido la visión científica del cerebro como una máquina compleja y el aprendizaje como programable, aproximando los procesos de enseñanza y aprendizaje a las nociones de software y hardware biológico.

Más adelante, ideas como las inteligencias múltiples, inteligencia emocional, cerebro triuno, nativos y migrantes digitales expresarían estas tendencias

6. El post fordismo

¿Por qué llega el postfordismo? ¿Cuáles son sus variantes más destacadas?

            La crisis de sobre producción de mercancías de finales de los sesenta e inicios de los setenta implico un quiebre en la práctica del discurso, imaginarios y prácticas que habían sustentado al fordismo.

Con la llegada de la tercera revolución industrial (computadores, automatización informática, tecnologías de la información y comunicación, TIC), la crisis de sobre producción y de los precios del petróleo de comienzos de los 70, surgen varios problemas para el capitalismo. Primero, había que sustituir rápidamente el modelo de consumo, centrado en colocar las mercancías lo más cerca del consumidor (abastos, pequeños negocios en la cuadra), al modelo en el cual el consumidor va a donde está la mercancía (centros comerciales como epicentro del consumo). Segundo, se tenía que garantizar que se fabricaran las mercancías que se tenía certeza que podían ser consumidas. Tercero, era necesario generalizar en todas las mercancías la obsolescencia programada, para obligar a los consumidores a la compra incesante como mecanismos para mantener el mercado. Cuarto, actualizar la infraestructura tecnológica de la cadena de producción y comercialización. Quinto, desarrollar nuevas formas de gestión de la producción que disminuyeran el impacto de los costos de salarios, formación de empleados y que estableciera ciclos más cortos para recuperar el capital invertido en la producción fabril.

En ese contexto el capitalismo decide diversificar y hacer mucho más ágiles y cambiantes los sistemas de conducción de la producción. Por ello, a la par que decide ir abandonando el fordista comienza a mirar otros modelos exitosos que surgen en el sudeste asiático y otras empresas norteamericanas.

A partir de ese momento, la producción general ensaya modelos que habían resultados exitosos en escalas locales, como el Toyotismo, el Benchmarking, Gestión de la Calidad Total (GCT), entre otros.

¿Qué es el Toyotismo ?

A la popularización del Toyotismo contribuyó la crisis de los precios del petróleo de 1973, generado entre otros factores, por la decisión de la Organización de Países Exportadores de Petróleo (OPEP) de no vender crudo a los países que apoyaron a Israel en la guerra de Yom Kippur.

El Toyotismo es un modelo de organización de la producción que parte de producir solo lo necesario y en el momento que se requiera. El impulsor de esta propuesta fue Taiichi Ohno (1912-1990), ingeniero de Toyota, en Japón, quien, a partir de 1970, comenzó a sustituir el modelo fordista por este nuevo enfoque.

Las características del Toyotismo son: a) evitar la sobreproducción de mercancías, fabricando solo los bienes que han sido solicitados o está garantizada su venta inmediata; b) promover el trabajo en equipo; c) alta rotación de los y las empleadas(os) con el propósito de lograr que cada trabajador aprendiera a hacer diversas tareas, a manejar distintas máquinas y equipos, rompiendo con la súper especialización del fordismo, con el propósito de disminuir los costos de producción; d) al reducir los costos de almacenamiento, esto podría permitir ofertar mejores precios de venta a los y las consumidoras(es); e) se entienden que los pedidos contienen requerimientos diferenciados, por lo cual, las decisiones propias de cada caso deben ser tomadas en conjunto entre la gerencia y los trabajadores;  f) las mercancías se producen en bajas cantidades y son variadas para cumplir con la demanda del mercado; g) se procura que los y las trabajadoras(es) conozcan y estén preparados para trabajar en los distintos momentos de la producción.

Este último elemento rompe con la exigencia de formación exclusivamente disciplinar para el mundo del trabajo.  El Toyotismo implicó una exigencia de enseñanza-aprendizaje transdisciplinario, en la cual la formación disciplinar súper especializada es solo un complemento focalizado a determinadas áreas, especialmente del mantenimiento de equipos y materiales.

La transdisciplinariedad se puso de moda, en los sistemas escolares y la academia. Desde los setenta prácticamente todo el mundo hablaba de transdisciplinariedad, o sus variantes discursivas y operativas (interdisciplinariedad, multidisciplinariedad).

El Toyotismo también es conocido como “Justo a Tiempo”, debido a su énfasis en producir solo lo que requiere el mercado en el momento preciso.

¿Qué implicó la llegada del Toyotismo a la educación?

Definirse transdiscipliario daba “caché”, pero la dificultad surgía cuando se intentaba pensar como desmontar la cadena de producción taylorista y fordista en la educación.

Nos acostumbramos tanto a pensar lo escolar con la epistemología capitalista taylorista y fordista, que las autoridades de los sistemas escolares de orientación capitalista, pero también del llamado socialismo real que bajo la tutela de UNESCO[3] habían hecho suya una parte importante de los modelos de gestión empresarial para la educación, no sabían por dónde empezar a desmontar el modelo disciplinar.

La izquierda pedagógica pareciera que prefirió la comodidad de continuar diciendo que lo disciplinar era propio del capitalismo y lo transdisciplinario era lo alternativo, de orientación anticapitalista, desconociendo el impacto de la tercera revolución industrial en los requerimientos formativos y educativos para el modo de producción capitalista. Ese discurso, colocaba la acción en la zona de confort que indicaba que había que esperar que surgiera el socialismo para ser transdisciplinario.

En educación se continuó trabajando con el peso de la tradición cultural y la fuerza de lo inercial, surgiendo una brecha entre la exigencia transdisciplinaria del modelo de gestión del modo de producción y lo que ocurría en las instituciones educativas.  Esto instaló la idea de “crisis educativa” ante lo cual la moda de las reformas educativas, lejos de contribuir a resolverlas solo la profundizó, al abrirse paso una oleada sin precedentes de privatización, mercantilización, estandarización y cultura evaluativa.

La izquierda pedagógica que había centrado su crítica al modelo disciplinar de enseñanza, fue incapaz de ponerse al frente, para usar esta oportunidad como detonador de una transformación escolar transdisciplinaria, que no estuviera subalternizada a la producción, sino a la construcción de otro tipo de sociedad de justicia social. Lamentablemente la izquierda pedagógica y las pedagogías críticas no supimos poner en marcha una perspectiva institucional transdiciplinaria, ni siquiera en los países del socialismo real.

La UNESCO lideró un esfuerzo gigantesco para promover la transdisciplinariedad y el pensamiento complejo que demandaba el modo de producción capitalista, pero no logró mover las columnas sobre las cuales estaban cimentados los sistemas escolares, lo cual hizo que el centro capitalista comenzara a ver a la educación presencial y los sistemas escolares más como un problema que como un aporte a la ampliación y sostenimiento del sistema mundo. Solo la capacidad de contención social de los sistemas escolares mitigó la crisis estructural en ciernes.

Además, el ocaso del fordismo y el emerger del postfordismo, como periodo histórico de la gestión empresarial, dentro del cual el Toyotismo era una expresión concreta de una dinámica de renovación que pasaría a ser constante, estaban asociados a la necesidad de que el modo de producción y el sistema capitalista en su conjunto empalmara con la tercera revolución industrial, lo cual implicaba necesidades de formación y generaba demandas novedosas para los sistemas escolares.

El problema fue que el cambio ocurrió de manera tan abrupta, y con una aceleración inusitada de la aceleración de la innovación, lo cual lejos de dinamizar a los sistemas escolares y universidades, paralizó no solo a los decisores en materia educativa, sino a las propias organizaciones de los y las docentes, así como a sectores vinculados al derecho a la educación.

Todos esperaron a que el panorama se aclarara para pensar que hacer y cómo hacerlo. Pero, lo que realmente ocurrió fue el inicio de una tormenta incesante y continua de “arena” tecnológica, que obnubiló a los decisores, generando una brecha epistémica sin precedentes, entre la aceleración de la innovación, variadas formas de transdisciplinariedades prácticas en el mundo del trabajo y las rutinas, tanto escolares como universitarias.

Entre 1970, momento del emerger del paradigma Toyotista y la segunda década del siglo XXI, se produjo un movimiento global de reformas parciales, que intentaban hacer menos traumático y drástico el cambio en curso. Reformas curriculares, reformas didácticas, reformas en los modelos de gestión, de evaluación de los y las docentes, entre otras, procuraban generar una tendencia al cambio y ajuste gradual que no terminaban de concretarse, mientras el sistema capitalista y su modo de gestión de las fábricas exigían un cambio de 180 grados.

Como lo he trabajado en otros artículos, especialmente en “El estallido de la burbuja educativa: la madre de las batallas en defensa de la educación presencial” (2021), el centro capitalista, después de los Informes Coleman (1966, EEUU), “The World educational crisis: a systems analysis” (IIPE-UNESCO,1968)  de Philip Coombs, quien años después actualizaría sus reflexiones en el libro “The World Crisis in Education: The View from the Eighties” (1985), y Faure (UNESCO, 1973), pusieron en marcha múltiples narrativas y acciones de normalización de las políticas educativas que fomentarían la cultura evaluativa, con la intención de que ésta ayudara a la transformación transdisciplinaria de los sistemas escolares y universidades.

Por ello, el auge de discursos como el de Edgar Morín (complejidad, siete saberes), que posibilitaron construir categorías para orientar la justificación conceptual de las reformas, así como la cultura evaluativa (calidad educativa, pertinencia escolar, impacto de la investigación).

 Sin embargo, lo que ocurrió fue una inamovilidad de los sistemas escolares y universidades, instituciones que maquillaron con la “transversalidad de la transdisciplinariedad”, su incapacidad para entender la orientación estratégica del cambio.

Lo que si se impuso fue la estandarización y normalización mundial de las políticas educativas. Las Conferencias Internacionales, Cumbres Educativas, Encuentro Internacionales, entre otros formatos, fueron allanando el camino necesario para intentar alinear los sistemas escolares y universidades. Pero lo que ocurrió en realidad fue la imposición de la estandarización en un sistema petrificado en lo disciplinar, que se negaba a funcionar y gestionarse de manera transdisciplinaria.

Contrario a la idea de masificación educativa imperante durante el periodo fordista, se comenzó a hablar de racionalizar costos e invertir en graduar solo el número de egresados que cada sociedad demandaba. Todo el viejo discurso liberal sobre la educación fue sepultado por la perspectiva economicista neoliberal.

La educación por proyectos, desde la perspectiva de Kilpatrick comenzó a popularizarse, porque construía un puente en lo educativo con el toyotismo, pues desde esta perspectiva el aprendizaje se basa en experiencias, donde el estudiante se vincula a todas las partes del proceso de producción de conocimiento, a partir de la praxis: planificación, programación, ejecución, evaluación y balance propositivo.

Los Proyectos Educativos Institucionales evolucionaron a la idea de iniciativas educativas de impacto comunitario, que contribuían a resolver problemas puntuales, pero no tocaban las causas estructurales de los problemas sociales. Esta lógica de los Proyectos Educativos pretendía profundizar la capacidad de contención institucional.

Desde las pedagogías críticas apoyamos los proyectos, invitando a superar la instrumentalización, proponiendo su uso para impulsar la toma de conciencia mediante la perspectiva de la pedagogía del oprimido, algo que solo se logró concretar parcialmente en algunos territorios. Sin embargo, existen en Colombia, México, Venezuela, Brasil y Bolivia, experiencias significativas de otra forma de impulsar los proyectos pedagógicos.

La llegada en los ochenta del modelo Gestión de la Calidad Total (GCT)

            El desembarco de la globalización neoliberal trajo consigo, nuevas exigencias para los Estados Nacionales, sus sistemas escolares y la producción fabril.

La globalización necesitaba abrir las economías nacionales, para imponer la supremacía del capital trasnacional en todos los territorios y abrir paso a la financiarización de la economía capitalista. La crisis de la deuda externa y el ataque a lo público como ineficiente construyeron la pista de aterrizaje comunicacional para el desembarco del neoiliberalismo.

Para ello, las grandes financieras (J.P. Morgan, Goldman Sachs, Blackrock y Morgan Stanley) junto a las Bancas de Desarrollo (Banco Mundial, OCDE, BID, CAF), el multilateralismo (ONU, CEPAL, UNESCO), en el marco de las crisis por las deudas externas, impusieron un programa de reforma del Estado, que se fundamentaba en la necesidad de resolver los problemas de eficacia y legitimidad de la acción pública.

Este diagnóstico, tenía un correlato en materia educativa, que se expresaba en crisis de calidad (eficacia) y pertinencia (legitimidad) de los sistemas escolares. En el caso del sector universitario se le añadía problemas de innovación (eficacia) e impacto (legitimidad).

Crisis de eficacia –decían- porque el Estado no cumple con las tareas asignadas en el consenso jurídico y constitucional y, de legitimidad porque cada vez más la acción gubernamental representa menos los intereses de los y las ciudadanos(as). Crisis de innovación porque una parte importante de lo “nuevo en conocimiento” no surge del sistema educativo sino del sector empresarial y corporativo, lo cual disminuye el impacto del sector universitario en la transformación social.

Lo que ocultan estas definiciones, es la desproporción entre las tasas de crecimiento, de las solicitudes de atención educativa y la inversión pública en términos de Producto interno Bruto (PIB). Que fue marcando la profundización y escalamiento exponencial de la desinversión educativa a partir de este momento, medida entre necesidades e inversión.

La idea de transformarse a partir de la calidad educativa tomó cuerpo, haciendo subsidiarias las operaciones de pertinencia, innovación e impacto.

Calidad, pertinencia, innovación e impacto emergen en los ochenta del siglo XX como las categorías que le dan cuerpo a la cultura evaluativa. Debido a la propagación del modelo neoliberal y su simpatía por la Gestión de Calidad Total (GCT), el eje de la cultura evaluativa se concentra en la calidad educativa.

Eso coincide con la publicación en 1983, en la Harvard Business Review, de un artículo sobre Gestión de la Calidad Total (GCT), que impulsa su adopción en el modelo fabril norteamericano.

La GCT desarrollada por William Edwards Deming (1900-1993) y Joseph Juran (1904-2008), se popularizó con la idea de los “círculos de calidad” en Japón.  Sus orígenes son de las décadas de los cincuenta y sesenta del siglo XX, cuando los empresarios japoneses decidieron poner en marcha los llamados círculos de calidad (Deming & Joseph Juran), aunque se fue construyendo como paradigma desde la segunda década del siglo XX.

James (1997) identifica cuatro eras de la gestión de calidad: 1) calidad a través de la inspección (1914-1922), 2) calidad a través del control de calidad (1924-1960), 3) calidad a través del aseguramiento de la calidad (1960-1980), 4) calidad a través de la Gestión de Calidad Total (1980-2000), a la cual se debería agregar una quinta, 5) Gestión Integrada de la calidad (2000-2030).

Cuando estalla la crisis del fordismo y surge el llamado milagro económico asiático, muchas de las miradas se centraron en estudiar este modelo de gestión; por ello, es que, a pesar de ser contemporáneo con el fordismo, occidente redescubre la Gestión de Calidad Total en los setenta y ochenta del siglo XX.

La calidad total, que se usa como sinónimo de excelencia [7] empresarial, es una estrategia de gestión para las organizaciones, por ello, es más adecuado hablar de Gestión de la Calidad Total (GCT).

La GCT se populariza a partir de la tercera década de la tercera revolución industrial en la conducción fabril, pero también en el comercio y sociabilidad, precisamente el periodo en el cual esta tercera vuelta de tuerca industrial se hace cotidiana en el público, a través de la lúdica, el entretenimiento y el surgimiento de lo digital-virtual, dinámica que se aceleraría en las décadas siguientes.

Algunas de sus expresiones de este fenómeno de aceleración de la innovación, aparición y obsolescencia en el corto plazo, son las computadoras portátiles y de escritorio, software y hardware computacionales diversos, video juegos, música portátil (walkman, discman, dispositivos de almacenamiento digital), internet, web site, buscadores como google, Firefox, entre otros, así como el teléfono móvil, redes sociales, reconocimiento biométrico facial, bloques de datos, inteligencia artificial. Mientras esto ocurre durante un largo periodo de transición de 70 años (1961-2023), los sistemas escolares y las universidades tienen dificultad para incorporar estas innovaciones en las dinámicas de enseñanza-aprendizaje.

Las líneas centrales que postula la Gestión de Calidad Total son: a) Liderazgo de calidad, b) tecnología de calidad moderna y, c) compromiso de la organización, que procura que todos los integrantes de la organización tomen conciencia de hacer con calidad cada una de las cosas en las que se involucran.

Los principios de la calidad total son: a) orientación a los resultados, b) orientación al cliente, c) liderazgo y coherencia en los objetivos, d) gestión por procesos y hechos, e) desarrollo e implicación de las personas, f) aprendizaje, innovación y mejora continua, g) desarrollo de alianzas tácticas y estratégicas, h) responsabilidad social.

Las cinco funciones de la Gestión de Calidad Total se vinculan a: a) planificación, b) organización, c) dirección, d) personal y e) control. Cuando la GCT evoluciona a Gestión Integrada de calidad (GIC) estas funciones se ordenan en un protocolo a seguir en el día a día en la actividad productiva, conforme a las normas ISO 9001.

En la página de las normas ISO[4] se señala que Deming (1988) “determinó al concepto de calidad como ese grado predecible de uniformidad y fiabilidad a un bajo coste. Este grado debe ajustarse a las necesidades del mercado”. Mientras que Jurán (1993) “supuso que la calidad es el conjunto de características que satisfacen las necesidades de los clientes”. Sin embargo, en los sistemas escolares y universidades calidad sigue siendo un término difuso.

La Gestión de la Calidad Total (GCT) en educación

El término de calidad es polisémico y en educación no ha alcanzado consenso universal. Por el contrario, se usa como un comodín para justificar cualquier operación de cambio en los sistemas escolares y las universidades.

El primer impacto de la Gestión de Calidad Total (GCT) se produjo con la adopción de los términos de cliente y usuario, que implicaban el giro escolar hacia una lógica de mercado y de satisfacción de necesidades de los consumidores.

En consecuencia, la calidad educativa comenzó a gravitar sobre la idea de adaptar los procesos de enseñanza-aprendizaje a cada estudiante, destacando que no hay dos alumnos iguales y que la educación debe atender esas particularidades.

Aún con lo positivo que pueda contener el enunciado anterior, ello colocó sobre los docentes el peso de construir un sistema educativo de acción lo más individualizado posible, precisamente cuando se produce el incremento sustantivo de estudiantes por docente, como resultado de la desinversión educativa, en contrataciones de personal e infraestructura escolar, a la par que se instala el discurso de disminuir costes educativos.

Otro efecto negativo es que disminuye el peso del entorno, especialmente las diferencias culturales, alimenticias, afectivas y de diversa índole derivadas del origen social de clase, contribuyendo al proceso de quiebre de la intención igualadora de la escuela pública.

Al ser la calidad educativa un término indefinido o polisémico, su uso en las estrategias de reforma de los sistemas educativos pudo (y puede) orientarse hacia cualquier lugar, especialmente hacia los intereses del mercado y la producción, en cada momento histórico.  En ese sentido, el discurso de la calidad educativa se convierte en el caballo de Troya del capitalismo de la tercera y en transición a la cuarta revolución industrial.

La Gestión de la calidad educativa (GCE), adaptación escolar de la GCT, tiene por lo menos doce expresiones identificadas, cada una de ellas modeladas por el énfasis en el STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics).

La hora del benchmarking en la calidad educativa

El Benchmarking es una forma de gestión que se basa en la comparación con los competidores, para identificar las experiencias exitosas y las razones de las mismas, con el propósito de copiarlas y reproducirlas a distintas escalas.

El Benchmarking es considerado por muchos como una variante de la Gestión de Calidad Total. Por ello, en este trabajo la incluimos como parte de esta dinámica de mejora continua.

Se pueden identificar cuatro grandes fases del Benchmarking. La primera de análisis de los procesos de organización (entrada, transformación, salida, nudos críticos). La segunda, de identificación de las mejores experiencias(eficacia, eficiencia, causa-efecto, mejores experiencias). La tercera, el proceso de compartir información (cooperación, confidencialidad, apropiación de información). La cuarta, asumir y adaptar las mejores prácticas (formación, capacitación, entrenamiento, actualización de procedimientos, elaboración y puesta en marcha de nuevas metodologías).

El Benchmarking se expresó en los procesos de gestión educativa, en la promoción de los estudios y réplicas de buenas prácticas pedagógicas y escolares, para sistematizar sus fortalezas, debilidades, amenazas y oportunidades, para poder instalarlas como políticas educativas.

El problema de las buenas prácticas es que por lo general se refieren a un o algunos elementos del hecho educativo (lectura, enseñanza de la ciencia, tecnología, participación social, etc.) y cuesta identificar experiencias que de manera integral aborden las distintas aristas que demanda la transformación educativa.

Por ello, se intenta integrar buenas prácticas, con paradigma STEM y calidad educativa, como una manera de resolver las demandas de gestión que se ciernen sobre el sistema escolar y las universidades.

El paradigma STEM y la calidad educativa

El paradigma STEM es el acrónimo en inglés de Science, Technology, Engineering and Mathematics, es decir, Ciencia, Tecnología, Ingenierías y Matemáticas, en español debería ser CTIM, pero los americanismos gringos en educación han hecho que le aceptemos acríticamente como STEM.

El STEM tiene sus orígenes lúdicos en 1980, con los trabajos de Seymour Papert (1928-2016) con los juguetes para niños Lego-Logo, que incorporan la robótica e inteligencia artificial como vértices del aprendizaje. En la década de los noventa el National Science Foundation de los Estados Unidos le denominaría paradigma SMET, pero con la llegada del siglo XXI asumiría popularmente el nombre actual. En la segunda década del siglo XXI las reformas educativas le incluirían como prioridad y posteriormente adquiriría especificidades como STEM+A (artes).

El paradigma STEM desestima la importancia de las humanidades, en consecuencia, considera obsoletos o de importancia menor las enseñanzas en historia, geografía, formación ciudadana, entre otras.

Los debates sobre calidad educativa fueron integrando el STEM, hasta llegar al modelo ODS4 que es una entelequia difusa de indicadores y metas, que cumplen el papel de distractores globales sobre el verdadero centro de los cambios educativos de la tercera década del siglo XXI, que es la transformación digital. Pero, volvamos a finales del siglo XX y la hibridación de calidad educativa con STEM y buenas prácticas, que desagrega los componentes pedagógicos y las dinámicas escolares en catorce operaciones, de la siguiente manera:

  1. Calidad total de la formación docente: procura enfatizar en la capacidad de autogestión por parte del docente de la innovación. El discurso de las experiencias exitosas modula el discurso de la gestión de calidad educativa en esta área. Aprender de los mejores y aplicarlo al contexto en el cual se trabaja es la narrativa que se impulsa, pero ello demanda instituciones de formación docente de fronteras abiertas.

Sin embargo, uno de los sectores que ha resultado más resistente a la apertura y movilidad es el de los y las formadoras(es) de docentes, tanto para auspiciar una transformación radical, como para romper con los paradigmas pedagógicos de las dos primeras revoluciones industriales.

Por ello, el capital ha sumado al moldeo de Gestión de Calidad Educativa para la formación docente, adaptaciones del Benchmarking[8] y “Justo a tiempo”[9] junto al paradigma STEM.

En esa orientación la cultura evaluativa, expresada en indicadores globales desempeño con calidad educativa (ODS4), resultados de pruebas estandarizadas internacionales, así como los rankings universitarios, procuran complementar la estrategia y generar cambios paradigmáticos en la formación docente en favor de la lógica del mercado. Una evidencia de esto, lo constituye el hecho que una vez presentados los resultados de las pruebas estandarizadas, en muchos países ellos van acompañado de demandas de reformas en la formación docente, creación de nuevas universidades pedagógicas o institutos semi-privados de externalización de dicha formación (inicial y continua) de los y las docentes. ;

  1. Calidad total centrada en la atención al estudiante: la institución educativa debe ser una réplica del modelo de gestión de calidad total del sector industrial-empresarial. Para ello, se debe romper la vieja alianza entre docentes y familias para llevar adelante los procesos de enseñanza-aprendizaje. Ahora, solo en este aspecto, el personal docente es considerado gestor, homologando su papel a de los y las directoras de empresa, mientras los y las estudiantes, así como las familias pasan a ser clientes.

Familias y estudiantes bombardeados por la publicidad de consumo tecnológico y de innovación, se convierten en clientes que le demandan a la escuela su actualización e infraestructura tecnológica acorde al modelo STEM. Una institución educativa debe satisfacer las demandas del cliente si quiere ser una escuela-secundaria-universidad con Gestión de Calidad Total (GCT);

  1. Calidad total del desempeño docente: la evaluación del trabajo docente emerge como lo sustantivo en esta materia. Pero ¿Qué se evalúa? Los resultados, medidos por días y horas de clase dadas, el porcentaje de currículo desarrollado, el número de estudiantes aprobados y/o reprobados, los cursos de actualización realizados en la lógica del STEM, los resultados de evaluaciones externas como ERCE (Estudio Regional Comparativo en Educación) del LLECE-UNESCO, las pruebas PISA de la OCDE y los exámenes periódicos de los Institutos Nacionales de Evaluación de la Calidad Educativa.

Se evalúa el liderazgo docente en la promoción de la innovación, entendida esta como adaptación a los requerimientos de formación del sector industrial, así como la responsabilidad social del o la docente en la promoción del cambio comunitario. Esto en medio de creciente desinversión de los gobiernos en salario y condiciones de trabajo, es como una sentencia previa, que coloca al cuerpo docente en el centro de la culpabilidad por los problemas del sistema escolar;

  1. Calidad total curricular: asociada a la disminución de materias humanistas y el peso mayoritario de las asociadas a la ciencia, especialmente de la tercera y cuarta revolución industrial, la tecnología de punta, en este caso lo digital y virtual, el desarrollo de capacidades de cálculo y el pensamiento lógico matemáticos. El desafío de la Gestión de Calidad Total en materia curricular era (es) la gestión de la transición del viejo modelo de currículo disciplinar al del STEM (abierto, flexible, en permanente cambio);
  • Calidad total de la planeación: enfatiza en las diversas planeaciones participativas, especialmente el método de proyectos, que procuran generar liderazgo estudiantil y docente que trabaje de conformidad con los objetivos institucionales del STEM y las exigencias del currículo.  La calidad total en la planeación procura adaptar la “fábrica escolar” al modelo industrial de la tercera revolución industrial;
  • Calidad total de la gestión educativa:  orientada a la administración educativa por procesos (administrativos y de orden burocrático, pedagógicos, de desempeño y carrera, de enseñanza, de satisfacción de la familia [cliente]) y de resultados (aprendizajes, culminación de proyectos). Según el enfoque de Gestión de la Calidad Educativa cada institución debe adaptar estos procesos sin que se pierda la convergencia y la direccionalidad estratégica del sistema escolar;
  • Calidad total de los aprendizajes: está orientada a los resultados, no al proceso de enseñanza-aprendizaje. Por ello, las pruebas estandarizadas se convierten en un “indicador” de logro en la generación de las mercancías estudiantiles. A la gestión de la calidad educativa le interesa básicamente el resultado, en el marco del STEM;
  • Calidad total del perfil de egreso: fundamentado en competencias y nuevas profesiones. La instrumentalización de la educación encuentra en el discurso de las competencias un vínculo directo con el perfil de egreso, que ahora se aspira esté en constante cambio conforme a la aceleración exponencial de la innovación y sus expresiones en el STEM;
  1. Calidad total de la pertinencia educativa: como indicamos anteriormente, calidad y pertinencia, innovación e impacto, son categorías gemelas en la estrategia de estandarización educativa que impulsa el neoliberalismo educativo.

Esto no niega que exista “otra” pertinencia más vinculada a lo local, a la transformación del entorno con justicia social, pero la Gestión de Calidad Educativa no se refiere a ella.

La pertinencia educativa desde la lógica de la GCT procura que las instituciones educativas contribuyan a la transición comunitaria, de las lógicas sociales de las dos primeras revoluciones industriales, a la tercera revolución industrial en tránsito a la cuarta revolución industrial.

Procuran convertir a la escuela en el centro de gestión para la solución de los problemas que evidencian brechas epistémicas y en el equipamiento, así como en los servicios, que deben ser resueltos para que ocurra el empalme entre la lógica de producción-consumo-reproducción del mundo fabril y las localidades.

La pertinencia desde la GCT pretende convertir a les docentes en líderes, quienes desde los territorios hagan coherentes los objetivos del modo de producción en la tercera revolución industrial (en tránsito a la cuarta) con las dinámicas cotidianas de la comunidad;

  • Calidad total de las didácticas: toda estrategia didáctica debe estar centrada en el cliente (estudiante/familia), por lo tanto, debe partir de conocer la forma como aprende cada estudiante, sus diferencias y similitudes, las tensiones que generan las diversidades culturales.

Para ello, se fundamentan en los estudios del Comportamiento Organizacional (CO) los cuales señalan que el aprendizaje es “cualquier cambio relativamente permanente en el comportamiento, que ocurre como resultado de la experiencia” (Robbins, 1996, p.105), que se sintetiza en ejercitación-teoría-práctica-reflexión-teoría. Es decir, el aprendizaje implica un cambio.

La Gestión empresarial post fordista considera que los aprendizajes son por: a) condicionamiento clásico[10], b) condicionamiento operante[11] y, c) aprendizaje social[12].

Como lo que se requiere es construir mentalidades innovadoras para el modo de producción capitalista, una vez que el o la estudiante ha aprendido los límites socialmente permitidos del comportamiento y ha experimentado el aprendizaje asociado a los deseos básico, la Gestión de la Calidad Educativa plantea que hay focalizar en los estilos de aprendizaje de cada uno.

La calidad educativa total de las didácticas se asocia a estrategias de enseñanza aprendizaje, que parten de la particularidad de cada grupo de estudiantes, pero que tiene una finalidad sistémica común.

  • Calidad de la formación ciudadana: está referida a la necesidad de enseñar modelos de ciudadanía de híper participación digital y virtual, a la par que se enseñan las claves de reproducción biopolítica. Esto ha sido posible solo para una élite estudiantil global, donde hay gran penetración del internet y donde la conectividad lo permite.

La educación para la inteligencia emocional forma parte de la nueva estrategia de construcción de ciudadanía, alimentado este paradigma por los avances en neurociencia.

La llamada educación para la inteligencia emocional procura educar las funciones ejecutoras del cerebro (Banco Mundial, 2019), para enseñar a evitar las contradicciones y el conflicto, así como procurar la empatía permanente.

Esta denominación, popularizada por Daniel Goleman, planteaba que la inteligencia emocional: intrapersonal, interpersonal (auto conciencia emocional, auto control emocional, automotivación, empatía y habilidades sociales) que podían ser educados para construir mentalidades empáticas que rehúyan al conflicto.

Por supuesto, el conflicto en general y muy especialmente el conflicto social, coloca el riesgo al sistema mismo, mientras que el conflicto individual coloca en riesgo la “armonía productiva”.

Entonces, la calidad de la formación ciudadana pretende usar los avances del conocimiento científico, el estudio del cerebro y los aprendizajes para el control humano.  Esto no se atenúa porque algunos altos gestores educativos desconozcan la orientación estratégica de este elemento.

  • Calidad de la Tendencia Reformadora Internacional (TRI). Ajustarse el cinturón a las metas e indicadores de los ODS: desde el trabajo de la Oficina Internacional de Educación (OIE) de Ginebra Suiza, en la década de los años veinte del siglo veinte, con su compilación de estadísticas nacionales para realizar estudios comparados, se vienen realizando estudios comparados internacionales para valorar las tendencias de los cambios educativos. La OIE sería luego absorbida por la UNESCO con el co-financiamiento del gobierno suizo

Con la creación del Instituto Internacional de Estadísticas, dependiente de la UNESCO, los estudios de la tendencia reformadora internacional se fueron desplazando de los temas de inclusión y cobertura a los de aprendizajes y calidad educativa.

A partir de los años ochenta, el neoliberalismo educativo fue ahogando presupuestariamente a la OIE, ahora dedicada más a lo curricular, para que los estudios comparados internacionales de carácter inter gubernamental fueran coordinados por la OCDE, el Banco Mundial (BM) y el Banco Interamericano de Desarrollo (BID).

La creación del LLECE[5] consolidó la categoría calidad de la educación como eje de interés de los estudios de las tendencias de cambio educativo. Aunque en realidad los estudios del LLECE son de aprendizajes, se suelen presentar en la línea difusa de los temas de calidad educativa.

Las pruebas estandarizadas del Programme for International Student Assessment[4] (PISA), que replican a escala global el trabajo del LLECE, así como los rankings universitarios, procuran propiciar un cambio sustantivo de los sistemas escolares que les colocara en el carril de la tercera revolución industrial y el modelo de gestión Toyotista y posfordista

Posteriormente, la calidad educativa comenzó a ser transversal a la política de Educación Para Todos (EPT) de finales del siglo XX y principios del XXI, creando las condiciones de posibilidad para el aterrizaje suave de la calidad educativa como el objetivo central de la educación mundial (2015-2030).

El Objetivo de Desarrollo Sostenible (ODS) 4 de calidad educativa, con metas e indicadores precisos por año, implica una orientación de la Gestión de Calidad Educativa de carácter prospectivo, comparable internacionalmente, estandarizado y hegemónico. El interés se centra en estandarizar las políticas para lograr un producto educativo parecido a escala mundial.  Esto resultará fundamental para el proceso que se iniciará a partir de 2020 de desembarco de la cuarta revolución industrial en los sistemas escolares de todo el mundo.

La TRI en la Gestión de Calidad Educativa se corresponde al periodo de transición tecnológica, comercial, financiero, social, cultural, económico y del mundo del trabajo de la tercera a la cuarta revolución industrial.

Entre la década de los noventa del siglo XX y la tercera década del siglo XXI, la desinversión educativa, el impulso de diversas formas de privatización educativa (bauches, educación concertada, concesiones para la educación como servicio a alto costo, entre otros), iba en contravía de muchos de los consensos internacionales elaborados por las fuerzas sociales que defienden el derecho a la educación.

Estas tensiones se comienzan a expresar con fuerza en el multilateralismo, especialmente en la UNESCO, que pasa de ser un punto de encuentro pedagógico mundial (1945-1972) , a ser una instancia aliada con discreción a los propósitos del Banco Mundial, la OCDE y la estrategia de las grandes corporaciones financieras, lo cual implicaba discursos y narrativas a dos aguas (1973-1999), a ser el rostro abierto del capitalismo en educación (2000-     ).

Los acuerdos de Jomtien (1990), Dakar (2000) o Incleón (2015), expresan esas tensiones y abren paso a los paradigmas postfordistas en educación. UNESCO jugó inicialmente al equilibrio transicional entre tradición e innovación, pero desde 2015 apuesta por el cambio drástico contenido en la llamada transformación digital de la educación.

En los últimos cuarenta años, muchos estudios en comportamiento organizacional (CO), insistieron a los responsables de políticas educativas, sobre la necesidad de vincular lo educativo al cambio que está ocurriendo en la producción industrial.

La quinta disciplina y la calidad educativa

¿Qué es la quinta disciplina?

Es una apuesta por resolver lo que ya era evidente, la brecha epistémica en la gestión de muchas empresas y en el sector educativo.  Por ello, la Quinta disciplina tuvo una edición educativa.

La Quinta Disciplina (1990) es una propuesta impulsada por Peter Senge. Las cinco disciplinas son: a) dominio personal (neurociencia + control de las funciones ejecutoras del cerebro = docilidad), b) necesidad de cambiar los modelos mentales ( abrirse a un mundo que comienza a girar 180 grados), c) construir una visión compartida (pensar el futuro comprometiéndose en contribuir a su construcción), d) aprendizaje en equipo (todos tenemos una parte del conocimiento en la sociedad de la información=tercera revolución industrial), e) la quinta disciplina trabaja e integra las cuatro anteriores en una propuesta de gestión, mediante el llamado pensamiento sistémico(recuperación de la noción de totalidad funcional).

Las cinco disciplinas procuran desarrollar tres competencias básicas, necesarias para el impulso del STEM: a) fomentar la aspiración, b) desarrollar una conversación reflexiva y, c) comprender la complejidad (complementaria con la propuesta de Edgar Morín, como intento de construir un estilo de pensamiento de la tercera revolución industrial).

La Quinta disciplina trabaja algunas “discapacidades para el aprendizaje como a) ser docente es una posición en el aula que determina quién soy en las relaciones de saber y poder, b) las limitaciones al cambio vienen del entorno, cuando en realidad están localizadas en las propias instituciones educativas, c) las reformas educativas pueden ser una ilusión de hacerse cargo, si las mismas no están vinculadas al cambio sistémico, d) es necesario romper con la ilusión de que siempre se aprende de la experiencia, cuando en realidad si no hay pensamiento crítico sobre la misma se puede convertir en una rutina sin direccionalidad estratégica, e) es urgente romper con el mito del equipo directivo como quien sabe lo que hay que hacer.

Además, la Quinta Disciplina desarrolla 11 leyes que sirvieron para formar generaciones de gerentes educativos entre los noventa del siglo XX y la primera década del XXI. Estas son:

a) los problemas de hoy provienen de “soluciones” de ayer, es decir, es necesario revisar las decisiones que se tomaron en materia educativa para entender el origen de muchos de los problemas actuales,

b) la confrontación directa aumenta la resistencia a cambios desde abajo, porque cuanto más se empuja, más fuerte empuja el sistema hacia atrás, entonces hay que construir cambios culturales organizacionales y comunitarios,

c) si el comportamiento mejora antes de empeorar, no hay que confiarse por mejoras parciales, se requiere cambios estructurales que se puedan sostener a través del tiempo,

d) la salida fácil puede abrir la puerta de la vuelta al problema, por lo que se requiere trabajar propuestas que permitan una solución sostenida en el tiempo, así sean las más difíciles,

e) la cura puede ser peor que la enfermedad, cuando el empirismo o el teoricismo condicen las propuestas de cambio,

f) más rápido es más lento, es decir, los ritmos de los cambios deben ser los que permita la cultura organizacional en transformación,

g) es un error pensar que la causa y el efecto están estrechamente relacionados en el tiempo y el espacio, pues múltiples factores pueden sostener una mala práctica o intervenir en el curso de una dirección correcta,

h) los pequeños cambios pueden producir grandes resultados … pero las áreas que requieren mayor trabajo pueden ser las menos obvias,

i) puedes tener las respuestas y la posibilidad de emprenderlas, pero a veces no todo ocurre a la vez, por lo que debes estar atento(a) para construir viabilidad o empalmar con buenas iniciativas,

j) fragmentar los problemas no conduce a soluciones viables, así como dividir un elefante por la mitad no produce dos elefantes pequeños.

En síntesis, la Quinta Disciplina intentó trabajar la cultura organizacional, de las empresas y los sistemas educativos, como una ruta para empalmar con la aceleración de la innovación y la tercera revolución industrial.

La Quinta Disciplina se propagó mucho más entre directivos, supervisores y decisores de políticas educativas, que entre los y las docentes de aula. Los resultados evidencian que sus bondades no alcanzaron eficacia para el cambio, pues su incidencia fue prácticamente nula en la educación.

La Quinta disciplina procuraba la creación de un estilo de gestión situacional y contingente, que permitiera abordar las particularidades de los problemas educativos en cada contexto en un marco de cambio sistémico y estructural.

El gran obstáculo para la lógica neoliberal fue la propia petrificación de los cuadros directivos de los ministerios de educación, atrapados en el paradigma educativo de las dos primeras revoluciones industriales a quienes estos temas les parecían “esnobismo empresarial”, sin tener capacidad de separar la paja del grano, hallando elementos para potenciar un cambio educativo. Claro está, este cambio educativo no es neutro, sino que tiene una dirección concreta: a favor de los intereses de los humildes o de los ricos.

Otros modelos de gestión en los márgenes de lo educativo

Los trabajos de Stephen Robbins (1996) enfatizan respecto a que el proceso postfordista incluyendo a otros modelos posfordistas de gestión como el de Hewlett-Packard (diversidad, reconocer las diferencias), Xerox (capacitación transcultural), Nissan (motivación), Whirlpool (pagos variables por producción), Apple (comunicación eficaz), Hyundai (creación de cultura organizacional), Microsoft (cambio cultural) o Rubbermaid (clima para innovar), que por distintas vías fueron permeando las agendas educativas.

Así vimos surgir, en declaraciones de las autoridades educativas y en documentos oficiales de los ministerios, temáticas que hasta ahora habían estado marginadas, como el reconocimiento a las diversidades sociales y a los saberes populares[6],  lo cual demandaba formar a les docentes en la inclusión, vista no como derecho humano, sino como requerimiento cultural de las nuevas generaciones involucradas en la producción y el consumo.

Así mismo se planteó la importancia de generar motivación para desarrollar los distintos estilos de aprendizajes en el aula, la evaluación del desempeño docente como determinante de pagos diferenciados por rendimiento, la comunicación eficaz de los responsables de las instituciones educativas, las experiencias educativas exitosas como promotoras del cambio cultural y la promoción de la innovación educativa.

El modelo de gestión de google

Se puede decir que Google es la empresa modelo del enfoque empresarial en la transición entre la tercera y cuarta revolución industrial.  Google es la compañía principal del consorcio Alphabet, la cual centra su trabajo en la generación de productos y servicios en internet, software, dispositivos electrónicos y tecnologías varias del mundo digital y virtual. Se popularizo al lanzar su buscador en internet.

¿Cuál es la propuesta de gestión de google?

Tiene dos caras, una referida al reclutamiento de personal y otra su llamado modelo de gestión del Capital Humano. En su libro (2014) Eric Schmidt y Jonathan Rosemberg, así como Isdis Education (2016) dan pistas para resolver esta interrogante.

Google busca personal calificado, especialmente con master o doctorado, para que trabaje junto a creativos quienes no necesariamente deben ser titulados, pero que tienen gran capacidad de adaptación y acople en diversos puestos de trabajo que demandan desarrollos productivos. Es decir, equipos para las interfaces operativas.

Con la intención de impulsar una empresa que trabaje en entornos cambiantes y que pueda adaptarse a la aceleración exponencial de la innovación, Google requiere que sus trabajadores utilicen por lo menos un 20% de su tiempo laboral en proyectos de su propia elección, con horarios flexibles permitiendo que cumplan parte importante de la jornada laboral desde casa.

Google no paga según el puesto de trabajo, sino en relación a la productividady aportes que genere el empleado para la empresa. Los sueldos pueden subir si el rendimiento del empleado se incrementa. Cada empleado tiene metas trimestrales y su evaluación no depende de las horas trabajadas, sino el cumplimiento de los objetivos.

La formación del personal contempla la capacitación compartida entre ellos, aprendiendo los unos(as) de los(as) otras(os). Las familias tienen guarderías para sus hijos y los(as) trabajadoras(es) pueden acceder a las salas de recreo en sus jornadas para relajarse y poder rendir más.

La filosofía de trabajo de google se expresa en un conjunto de ideas que la resumen.  Entre ellas:

  1. Crea tus propios eslóganes;
  2. un proyecto divertido involucra por lo menos a dos personas,
  3. salas de entretenimiento, pero ambiente de trabajo hacinado para que aprendan a comer, trabajar y vivir juntos (as),
  4. tus padres estaban equivocados: el desorden es una virtud,
  5. no escuches a los hipopótamos, es decir a los que usan como referente la autoridad de quien mandan o ganan más sueldo, sino aquel que tiene argumentos que convencen,
  6. realiza todas las reorganizaciones en un día, no dejes tareas para mañana,
  7. desarrolla una organización descentralizada y que tenga relaciones horizontales de trabajo;
  8. Estrategia: asume que tu plan puede estar mal;
  9. El Talento: la contratación es la más importante de tus actividades;
  10. Decisiones: el verdadero significado del consenso pasa por a) decidir con base a datos,
  11. cuidarse del sí automático,
  12. debes saber cuándo usar la campana,
  13. toma menos decisiones solo,
  14. reúnete todos los días,
  15. ambos tienen razón,
  16. toda junta necesita un dueño,
  17. invierte el 80% de tu tiempo en las cosas que producen el 80% de tus ingresos,
  18. siempre debes tener un plan supletorio;
  19. Comunicaciones: conviértete en un excelente enrutador;
  20. Innovación: crea el caldo primordial,
  21. el director general necesita también ser el director de la información,
  22. concéntrate en el usuario,
  23. piensa en grande,
  24. establece metas (casi) inalcanzables,
  25. e) las ideas vienen de todas partes,
  26. no se trata de dinero;
  27. Imagina lo inimaginable,
  28. Los grandes problemas son problemas de información.

El modelo de google se corresponde al momento histórico de relación dialéctica entre el mundo presencial y el digital-virtual, no solo como entretenimiento, sino en el mundo del trabajo, la producción y las relaciones súper estructurales de poder.

Se trata de una –entre tantas- propuesta de gestión, propia del periodo de la abierta transición hacia la cuarta revolución industrial, donde el capitalismo fomenta espacios de trabajo no presenciales, criptomonedas (fiinanciarización a la enésima potencia), uso de inteligencia artificial, análisis de metadatos y blokchaim para la economía, no como mundo separados de la presencialidad, sino tejiendo una red de significantes y sentidos, que van atrapando la cotidianidad de los ciudadanos-trabajadores-consumidores.

El modelo de Google comenzó a permear no solo el discurso educativo, sino los propios procesos de toma de decisiones. La definición de porcentajes locales e institucionales del currículo procuraron el desarrollo de capacidades institucionales para empalmar con la innovación y, la generación de cultura de la iniciativa y el emprendimiento.

El debate sobre las pedagogías activas (necesarias), sin que ello fuera acompañado de cambios en el número de estudiantes por docente, la dotación e infraestructura escolar fue un ejemplo claro de intentar crear lo nuevo ,desde lo viejo.  Esto nos desmerece algunas iniciativas de disputa desde lo popular por currículo contextualizado, pero ello fue permitido porque empalmaba con el movimiento general de la economía, el mundo del trabajo y la producción.

El problema para el capitalismo cognitivo del siglo XXI continuó siendo que los y las decisores(as) de políticas educativas, así como el personal intermedio y directivos escolares, asumían el cambio como reformas parciales y eventuales (hasta “innecesarias”), que no modificaban el conjunto del funcionamiento de las instituciones educativas, fenómeno que impedía la actualización escolar y universitaria, funcional a los fines del capital.

Al estar desconectadas entre sí, y no existir un centro que las coordinara, todas estas iniciativas de cambio, funcionales al sistema, se convirtieron en una Torre de Babel, donde lo único que emanaba por consenso era la idea de “crisis educativa”, que alimentaba el molino del movimiento incesante de reformas educativas. Esta descoordinación generó un caos de tal magnitud, que en algunos países había dos, tres o más reformas marchando de manera simultánea, lo cual trajo paralización y resistencias múltiples a todo lo que implicara movilidad.

El problema seguía siendo la falta de perspectiva asociativa entre revoluciones industriales (etapas), aceleración de la innovación (velocidad del cambio) y dinámicas escolares-universitarias, en la dimensión epistemológica de las políticas educativas.

Los movimientos de resistencias y alternativos tuvieron precaria capacidad de respuesta a lo digital-virtual, porque en su mayoría también estaban atrapados en otro momento histórico, las dos primeras revoluciones industriales, y consideraban el debate sobre las revoluciones industriales como accesorio e incluso alienante.  Estas dificultades colocaron a las instituciones educativas en un no lugar del movimiento incesante del cambio, que permitió avanzar en la idea subterránea del sistema mundo capitalista abrió las puertas a la idea de disminuir la educación presencial a su mínima expresión.

El postfordismo intento transferir las experiencias de calidad total, benchmarking y Justo a tiempo, a los sistemas educativos como complementos del Toyotismo, pero su real inserción fue desigual entre el centro y la periferia capitalista, pero también al interior del propio norte dominante.  En esta dinámica todo lo que se refiriera a cambio educativo fue asociado a calidad educativa, convirtiéndose este discurso ambiguo en la gran centralidad educativa que permite dinamizar toda la perspectiva neoliberal en el sector.

7. COVID-19: alfabetización global en la transformación digital de la gestión educativa

Apagón Pedagógico Global: la advertencia que fue desestimada

Para poder entender que pasó en materia educativa en el 2020 y parte del año 2021, durante la pandemia del COVID-19, debemos partir de la certeza que muchas de las operaciones que presenciamos, durante este periodo, de parte del capitalismo cognitivo, estaban orientadas a destruir la educación presencial, en lo definíamos como el riesgo que ocurriera un Apagón Pedagógico Global (APG).

Desde 2015 venimos advirtiendo que el desarrollo de la tecnología virtual-digital, las dinámicas de la cuarta revolución industrial (nanotecnología, inteligencia artificial, desarrollo de avatares, realidad virtual aumentada, reconocimiento biométrico facial, análisis de metadatos) y su enorme potencial económico (fábricas 4.0, transferencia de ahorros de la clase trabajadora a las corporaciones tecnológicas), estaba preparando a los sistemas escolares y universidades del mundo, para un uso masivo de modelos de enseñanza virtual, en la ruta de desmantelamiento de la educación pública presencial.

Ese análisis lo hacíamos basados en el seguimiento a las inversiones en educación y comunicación digital, que desde 2011 venían haciendo las grandes corporaciones tecnológicas, pero también de la tendencia de los análisis prospectivos que hacía UNESCO, el Banco Mundial, OCDE, BID, CAF, entre otros.

A pesar de las advertencias sobre lo que estaba por ocurrir, los ministerios de educación de Latinoamérica y el Caribe no hicieron nada al respecto, no hubo construcción autónoma de arquitectura de la nube digital, ni desarrollo propio de plataformas educativas, mucho menos producción máxima de propuestas educativas digitales.

Lo que ocurrió en 2020 fue un proceso masivo y global de alfabetización virtual-digital, ya que el sistema no podía permitirse otros setenta años de parálisis de los sistemas escolares y la universidad, y necesitaba intentar recuperar la capacidad de acompañar y anticipar las implicaciones formativas de la cuarta revolución industrial.

Neo privatización educativa

El desdén de los gobiernos y ministerio de educación, ante las advertencias que desde muchos lugares les recomendábamos declarar una emergencia para disminuir al mínimo posible el impacto de la transformación digital, posibilitó la llegada de un nuevo modelo de privatización educativa durante la pandemia del COVID-19.

Por ello, señalamos hasta la saciedad que es absolutamente falso que una situación como la que ocurrió en 2020, no podía anticiparse y preverse en términos educativos, porque desde el 2015 le advertimos a los gobiernos que había que garantizar cobertura universal a internet, plataformas educativas autónomas, soberanas y nacionales que pudieran soportar el acceso y tráfico de por lo menos dos veces la población estudiantil del país, planes de dotación de computadores en las escuelas (no en casa) que hubiese permitido que se le facilitara en calidad de préstamo una computadora a cada estudiante y docente. También era urgente la formación en servicio de los y las docentes para actualizarlos y calificarlo en el terreno pedagógico virtual.digital.

¿Cómo se expresó esta privatización?

Al decretarse en marzo de 2020 la cuarentena preventiva, maestros, estudiante y personal obrero-administrativo quedaron impedidos de asistir a las instituciones educativas. Esta era una situación novedosa para las generaciones de docentes (nacidos entre 1940-1990), pero también para estudiantes nacidos en las tres últimas décadas (1990-2020). La educación estaba asociada a la planta física y la relación presencial docente-alumnos.

Los gobiernos y Ministerios de Educación, anunciaron el pase contingente a la virtualidad. Dinámica en la cual la responsabilidad de los Estados nacionales de garantizar las condiciones mínimas de aprendizaje, fueron transferidas a las familias, estudiantes y docentes, quienes tuvieron que cubrir los costos del pago de internet, suscripción a plataformas virtuales y de contenidos digitales, así como la compra o repotenciación de equipos de conectividad.

Como lo muestra el estudio del Centro Internacional de Investigaciones Otras Voces en Educación, los 3.2 billones de dólares que ganaron las once corporaciones tecnológicas más importantes del mundo, salieron del bolsillo de la clase trabajadora, campesinos, amas de casa, artesanos, empleados públicos, pequeños comerciantes, no de los presupuestos gubernamentales, ocurriendo la más acelerada y brutal privatización educativa de los últimos siglos. Algo que aún ha sido denunciado de manera muy precaria y superficial por la academia y los gremios docentes.

Las plataformas que se usaron para mantener el vínculo pedagógico fueron todas privadas, construidas con epistemología comunicacional y no pedagógica, y las pocas que intentaron adentrarse en lo educativo lo hicieron desde el paradigma reproductor, desde la taxonomía de Bloom aplicada a lo virtual.

Los esfuerzos por crear una dinámica pública de lo virtual-digital en la región en materia educativa fueron muy débiles y en la mayoría de casos inexistente. Esto resulta preocupante, porque a la vuelta a la presencialidad y los modelos híbridos de enseñanza-aprendizaje, la privatización se naturaliza al seguir exigiendo a las familias, estudiantes y docentes que asuman los costos de lo digital-virtual.

Estratificación escolar

Pero la neo privatización educativa no fue el único fenómeno global del periodo de cuarentena por el COVID-19. El acceso o no a las plataformas virtuales y la conexión digital, generó una terrible estratificación del hecho educativo. Por lo menos distinguimos cuatro estratificaciones al respecto.

El primer segmento de la estratificación, conformado por los y las estudiantes (y docentes) que pudieron acceder a equipos de conexión remota, internet, acceso a plataformas y una familia que les apoyara en casa, en la adecuada comprensión de las dinámicas, procesos y manejo tecnológico para la transición de lo presencial a lo virtual. La evidencia empírica señala que este fragmento fue el más pequeño.

El segundo segmento de las estratificaciones tuvo conformado por aquellos estudiantes (y docentes) que tuvieron acceso a equipos de conexión remota, plataformas e internet, pero no contaron con un familiar o amigo que les apoyara en la transición de lo presencial a lo virtual. Este grupo debió aprender por ensayo y error y en muchos casos se limitaron a aprender lo mínimo.

El tercer segmento fue conformado por aquellos estudiantes (y docentes) para quienes fue imposible acceder a computadoras, internet y plataformas, por lo cual su vínculo pedagógico se limitó a acceder a la televisión y radio educativa, ocasionalmente mensajería de texto, guías impresas. Este grupo numeroso de estudiantes comenzaron a tener la percepción que había una educación de menor calidad para ellos, motivado a su origen social.

El cuarto segmento, conformado por estudiantes (y docentes) que no sostuvieron ningún vínculo pedagógico durante la pandemia, ya fuera porque vivían en zonas remotas, de difícil acceso, rurales e indígenas para quienes la pandemia del COVID-19 fue como una especie de largo periodo de oscuridad.

A la vuelta a la presencialidad esta fragmentación muestra sus estragos pedagógicos. Por ejemplo, ahora, cuando un(a) docente de cuarto grado le pide a su grupo de alumnos en una escuela urbana en la cual convergen estos grupos poblaciones, que le traigan al día siguiente una exposición sobre los movimientos del corazón, las respuestas tienden a ser diferenciadas. Para los y las estudiantes del primer segmento, esta solicitud del maestro es una oportunidad para hacer una presentación multimedia, integrada a ChatGtp que pueda responder las interrogantes de sus compañeros. Para quienes están en el segundo segmento, la solicitud es una nueva oportunidad para visitar Wikipedia o el rincón del vago y hacer el trabajo a partir de esos referentes. Para quienes quedaron en el tercer segmento, la respuesta posible es hacerlo en papel bond o cartulina, a sabiendas que algunos compañeros se burlaran de su precariedad. Para quienes están en el último segmento, una solicitud de este tipo los desnuda en sus condiciones de dificultad y piensan en la enorme dificultad de poder hacerlo.

Esta fragmentación es un ataque certero al derecho a la educación y, es un desafío infranqueable para los modelos de gestión pensados para estudiantes con características más uniformes.

Lo que parecía ignorancia supina de los y las decisoras(es) terminó siendo un alineamiento de los gobiernos de la región con el proceso de estratificación social, propio del desembarco la cuarta revolución industrial.

Exclusión por incapacidad material de acompañar la aceleración de la innovación

Hoy, cualquier política educativa guiada por la equidad debe ser capaz de plantearse el desafío de remontar los efectos de los dos anteriores elementos, si realmente quiere trabajar la derrota de la exclusión.

Como siempre no se trata de declaraciones de intención, sino de dar pasos concretos, rápidos y oportunos para resolver la neo privatización y la estratificación educativa.  Estos pasan por considerar y declarar al internet un derecho humano inalienable, la dotación de equipos de conexión a cada estudiante, en la escuela, para trabajar en condiciones de igualdad, así como la construcción de plataformas propias y actualizar al personal docente en el uso de lo virtual-digital como complemento –no como sustituto- de la presencialidad.

En este sentido, un desafío para la gestión educativa en el presente, lo constituye la conformación de taxonomías vinculadas a las educaciones populares y las pedagogías críticas, que sirvan de base para que programadores alternativos construyan plataformas educativas para el apoyo de la actividad presencialidad, guiadas por la creatividad y el pensamiento crítico.

Auto percepción de estar fuera

Durante la pandemia, solo una minoría de estudiantes puedo sostener el vínculo pedagógico por medios virtuales en condiciones ideales, mientras la mayoría lo hizo de manera precaria y otros no pudieron hacerlo, creando en estos últimos una auto percepción y aceptación pasiva que están comenzando a quedar fuera de modelos educativos con un gran componente tecnológico, lo cual está teniendo un impacto negativo en materia de prosecución escolar.

Quiebre de la capacidad igualadora de las instituciones educativas públicas

Las instituciones educativas públicas en las cuales estudiamos muchos de nosotros(as), hacían un esfuerzo por mitigar las diferencias de origen social, garantizando medios, herramientas y docentes iguales para todos y todas.

El desigual acceso a lo tecnológico, auspiciado y no resuelto por las instituciones educativas está generando una silente y terrible auto percepción de exclusión que puede causar estragos en el corto y mediano plazo en términos de inclusión, cobertura y mantenimiento dentro de los sistemas escolares.

¿Mejor viejo conocido, que nuevo por conocer?

En diciembre de 2019 eran múltiples las críticas a las escuelas y universidades, por su carácter reproductor y alienante, la crítica a las instituciones educativas en el marco del sistema capitalista era muy fuerte.

Sin embargo, el paso por el infierno de lo virtual-digital durante la pandemia, sin formación previa para ello, creó la ilusión que la vuelta a la educación en las aulas dejaba en el pasado la transformación virtual, Quizá por ello, se atenuaron las críticas a los problemas reproductoras de la escuela y universidad, cuando lo que hay que profundizar esas críticas y su correlato en el modelo virtual, asumiendo que el binomio presencial-digital será la dinámica educativa de la cuarta revolución industrial y., que eso demanda pensar la educación liberadora en nuevos contextos.

Lo que ocurrió durante la pandemia fue un Des-Orden en los modelos de gestión educativa del cual apenas si se comienza a salir, tres años después que el virus invadiera nuestra cotidianidad.

8. La transformación digital y los modelos de gestión

¿Qué es la transformación digital?

El Foro Económico Mundial (2016) señala que la transformación digital es un proceso de gestión del cambio, muy complejo, generado por la cuarta revolución industrial.

En la sesión de Davos del Foro Económico Mundial de 2022, se anunciaba que solo en Estados Unidos se iban a invertir 3.000 millones de dólares para garantizar la transición digital del gobierno y la sociedad norteamericana. Esto evidencia la urgencia del cambio en ciernes y la necesidad que tiene el centro capitalista de gestionar el cambio en general y el educativo en particular. El modo de producción requiere ahora, un gran componente de mundo virtual y digital para la reproducción del sistema y para que funcione adecuadamente el capitalismo.

La transformación digital impulsada desde el multilateralismo para los sistemas escolares tiene estas bases iniciales:

  1. plataformas virtuales educativas al estilo de la que han diseñado algunas editoriales educativas, elaboradas con la epistemología de la taxonomía de Bloom para garantizar aprendizaje reproductivo y emprendimiento dentro de los parámetros de la libre empresa.

Lo terrible es que desde las resistencias pedagógicas y las alternativas no se termina de iniciar un debate sobre la necesidad de taxonomías propias y un modelo de plataformas virtuales que garanticen pensamiento emancipador;

  • privatización de los repositorios de contenidos educativos, especialmente los que desarrollan propuestas formativas en formato de cuarta revolución industrial (brevedad, color, imagen en movimiento, curiosidad e hipervínculo).

La llegada de las inteligencias artificiales, capaces de generar contenidos contextuales, está revolucionando la idea de repositorios, pero también generan la posibilidad de construir de manera autónoma otros repositorios digitales que tengan un correlato con el mundo físico-real.

Esto pasa por el necesario debate, respecto a que forma y contenido debe contener un repositorio orientado desde las perspectivas de las pedagogías críticas y las educaciones populares.

  • Outsourcing del desarrollo de software y mantenimiento de redes.  Toda la transformación digital en educación está quedando en manos de las corporaciones.

Resulta urgente y necesario establecer un tejido solidario internacional de ciber activistas, anclados en los territorios, que trabajen auténtico software libre desde una epistemología de educación liberadora, si se quiere realmente plantar resistencias y alternativas ante el avasallamiento de las corporaciones tecnológicas, las bancas de desarrollo y el multilateralismo.

  • Monopolio en el uso de la inteligencia artificial: como ordenador de datos, informaciones y situaciones para proyectar escenarios de gestión y cursos de acción.

Esto demanda la conformación de equipos alternativos, que se fundamenten en una alfabetización liberadora en manejo de algoritmos, que permita construir otro uso de los bloques de datos.

Estos cuatro elementos, ante la pasividad e inacción de gobiernos, están construyendo un camino de laureles para la profundización y ampliación de la neo privatización de la educación digital.

Hoy, con reconocimiento biométrico fácil, conexión a internet, inteligencia artificial (IA) y análisis de metadatos, los ministerios de educación, podrían contar en tiempo real, con la información administrativa y de gestión de cualquier aula, plantel, o el volumen real de platos de alimentos suministrados en los comedores escolares, monitorear las inversiones en infraestructura día a día, entre otros muchos aspectos. Ello no se hace, porque colocaría en riesgo el clientelismo, burocratismo y la corrupción. Esta desidia abre las puertas a modelos de outsorcing de supervisión para los cuales el o la docente es solo un número cumpliendo o no, metas y tareas, los cuales se convierten en tuberías para el desagüe de fondos públicos.

La transformación digital está dejando “desnudo” a los ministerios de educación, quienes siguen gestionando como en las dos primeras revoluciones industriales, usando narrativas de la tercera revolución industrial y dejando en manos de privados todo lo referente a la cuarta revolución en materia educativa (plataformas, repositorios, IA, bloques de datos, análisis de metadatos).

Finalmente, emerge el Metaverso como un “espacio educativo” que desde el punto de vista de la gestión educativa se muestra como un camino para disminuir los costos de los procesos de enseñanza y aprendizaje, especialmente lo que se invierte en nómina docente, infraestructura y dotación. El metaverso comienza a ser presentado como una alternativa de gestión educativa, inicialmente bajo la figura de “otros formatos educativos”.

Un docente que trabaje en el metaverso, debe crear su avatar, como los hacemos cuando abrimos una cuenta de correo electrónico y colocamos usuario y contraseña. Señalan los gestores de esta dinámica virtual, que este avatar, mediante análisis de metadatos e inteligencia artificial, se va apropiando de nuestras narrativas, imaginarios y perspectivas de análisis, hasta que ya no aportamos nada nuevo y, entonces, de manera autónoma, el avatar puede actuar las 24 horas del día, dando clases, en múltiples idiomas, sin límites de número de estudiantes simultáneos, sin que les docentes de la vida real lo hayan puesto en marcha.

Señalan que en el metaverso la infraestructura no se deteriora, los laboratorios están “eternamente” dotados de materiales y equipos que se corresponden a programación computacional y realidad aumentada.

Y, como los ministerios de educación no trabajan para construir soberanía virtual ni digital, el metaverso puede terminar contribuyendo a la migración de recursos públicos educativos al sector privado de la tecnología. Esto en términos de gestión puede significar la disolución en la práctica de las capacidades de la institucionalidad educativa existente.

La transformación digital y la gestión educativa nacional

Si cruzamos la cultura evaluativa, los modelos de gestión empresarial y las premisas de la transformación digital, podemos ver grandes tendencias de transformación en la gestión de los sistemas escolares nacionales para los próximos años. Estas se expresan en:

Perspectiva curricular de la transformación digital: el currículo o los planes de estudio pre elaborados, homologados y estandarizados que sustentaron los modelos educativos de las primeras revoluciones industriales quedaran obsoletos para la cuarta revolución industrial.

En este debate, entre las autoridades educativas, hay cuatro tendencias: 1) currículo abierto, orientado por unos pocos estándares que se convierten en indicadores de logro; 2) currículo obligatorio concentrado en el STEM y el resto de contenidos opcionales o de acceso privado; 3) currículo abierto y flexible, con contenidos digitales y plataformas virtuales en formato bimodal; 4) currículo abierto y  flexible con el 100% de enseñanza teórica de manera virtual y la presencialidad solo para emprender proyectos transdisciplinarios. Estos cuatro procesos pueden generar otros o una mezcla de ellos.

Enfoque didáctico de la transformación digital: para el capitalismo cognitivo las didácticas son vistas como las técnicas para lograr enseñar lo que se necesita, con un enfoque de transferencia de información.

Las propuestas didácticas digitales comienzan a migrar van migrando hacia el autocontrol del aprendizaje por parte del estudiante, con materiales modulares interactivos de apoyo, soportados en formatos digitales que tiendan a la brevedad, la conexión escalar, imagen y sonido conforme a los avances de neurociencia, preguntas problematizadoras, producciones que generen curiosidad y empatía emocional.

Agenda evaluativa de la transformación digital: el modelo evaluativo en la cuarta revolución industrial emerge como contingente y contextual, orientado al logro y la innovación conforme a las necesidades de la producción altamente tecnologizada.

Solo una parte del conocimiento será el que se desarrolle en la interacción docente-alumno, mientras el resto corresponderá a innovaciones que generen los estudiantes en la misma dirección del aprendizaje previsto. Ello implicaría la formación de un nuevo estilo pedagógico y de formación de formadores, que pretende emular los equipos creativos de las empresas tecnológicas.

Estilos de planeación de la transformación digital: la planeación de la acción escolar será cada vez más de carácter participativo, entre docentes, estudiantes y familias, con el criterio de satisfacción del cliente.

Sin embargo, las necesidades del cliente serán modeladas mediante producciones diversas del complejo industrial cultural, usando los bloques de datos como unidades para a toma de decisiones, con escenarios construidos a partir de análisis de metadatos y toma de decisiones acompañadas por la inteligencia artificial, donde lo humano es solo un numero estadístico altamente relacionado.

Modelo de gestión de la transformación digital: en el actual marco de la apropiación de riquezas de las naciones por una minoría, no hay recursos disponibles para garantizar una transformación digital con inclusión de todos y todas. Es decir, contaremos con por lo menos cuatro grupos poblacionales estratificados de estudio, que será una nueva forma de ingeniería social y exclusión sin precedentes.

Para ello, los ministerios de educación van a desarrollar en los próximos años, una combinación de estilos de seguimiento y apoyo para a) modelos educativos de la primera y segunda revolución industrial, b) modelos educativos transicionales de tercera revolución industrial y, c) modelos de limitada inclusión para la educación en formato de cuarta revolución industrial.

Para ello, necesitan destruir la imagen docente 100% presencial y construir un sentido común social que lo importante es la actualización tecnológica, a coste de la desinversión en salarios y condiciones de trabajo del personal académico.

La transformación digital podría ser una gran oportunidad para los pueblos, si estuviera sustentada en la ecuación presencial + virtual= educación crítica, creativa y liberadora de calidad.

Nuestras observaciones, resistencia y críticas a la transformación digital-virtual que postulan las Bancas de Desarrollo, el multilateralismo y las corporaciones tecnológicas, no parten de una negación del impacto profundo de lo tecnológico, sino de la necesidad de acompañar esa vorágine de innovaciones con propuestas sustentadas en los territorios para producir más inclusión, desarrollo integral de la personalidad y justicia social, algo que no vemos en la propuesta.

No nos deslumbra el paisaje de nichos altamente tecnologizados, con luces de neón, circuitos de alta velocidad, computadoras cuánticas, robótica, inteligencia artificial, sistemas de registro y control en big data y bloques de datos trabajados con análisis de metadatos e inteligencia artificial,  donde la ingeniería genética y la neurociencia hagan del aprendizaje conectado a la nube una súper revolución del conocimiento, mientras la mayoría de la población tiene dificultades para acceder al agua, la electricidad, salario justo, servicios de salud suficientes y oportunos y las escuelas no están dotadas para la igualdad social. Eso es simplemente capitalismo salvaje, maquillado con ciber fantasías.

9. ¿Qué hacer?

Entonces ¿todo está perdido?

¡Para nada! … los inmensos bolsones de resistencia y construcción de alternativas desde los territorios, aunque aún muy dispersos son esperanzadores sobre las posibilidades de otra educación posible, que permita el diálogo amigable y constructivo entre presencialidad y virtualidad, donde se privilegie el encuentro humano sin desestimar la alfabetización y creación a partir de algoritmos.  Se trata d construir otros equilibrios para seguir caminando el derecho a la educación en nuevas realidades.

Tal vez por ello Mitra (2022) señala:

“Dibujé un punto en un papel, formulé unas cuantas normas sencillas y, voilá, ya tiene un modelo educativo completamente nuevo y con el que puede marcar una verdadera diferencia para los niños, sea cual sea su situación. Si cree que es imposible, le insto a que abra la mente antes de seguir leyendo. En lugar de recrear la mente con lo que ya sabemos acerca de la educación y adaptarlo a los barrios deprimidos (y, de hecho, a cualquier lugar), tenemos que volver a pensar desde el principio, partir de una idea sencilla (un punto) y empezar a trabajar desde ahí. Ese extraordinario viaje desde un punto solitario hasta la innovación de la Escuela en la Nube es aplicable a cualquier lugar del mundo y a ricos y pobres, pero necesita de una mente abierta y de capacidad de asombro” (2022, p.23)

No comparto el excesivo optimismo de Mitra, porque estamos en una sociedad de clases y no hay respuestas ni propuestas uniformes para quienes pertenecen a clases diferenciadas. Eso sí, comparto el llamado de Mitra a ampliar el horizonte para pensar otra escuela posible en el siglo XXI, que no debe parecerse a la que hemos tenido en las tres primeras revoluciones industriales.

Cambiar no significa que derrumbemos las columnas de las instalaciones de educación presencial para levantar desde sus cenizas una escuela virtual limitada al encuentro digital.

Por ello decimos que en América Latina y el caribe necesitamos abrir un debate sobre la actual coyuntura educativa, que esté fundamentado en las necesidades de nuestros pueblos y una apropiación crítica de la ciencia y tecnología del actual tiempo histórico. Eso no significa negar las tecnologías propias y la cultura tecnológica ancestral, sino generar propuestas de encuentro que permitan evitar el desastre de exclusión educativa, laboral y científica en marcha.

Es urgente hacer un mapeo e inventario de las experiencias de dirección y gestión educativa formuladas desde la lógica de colectivos pedagógicos.

Se requiere que la gestión de nuestros ministerios asuma como un tema de seguridad nacional y de soberanía, el desarrollo de herramientas digitales y virtuales propias, que no solo rompan con el vínculo de expoliación de las grandes corporaciones, sino que desarrollen plataformas virtuales y nubes digitales para contribuir a la generación de pensamiento crítico y una educación emancipadora.

Así como hace 100 años los ministerios de educación iniciaron la larga marcha de alfabetizar en la palabra escrita y la lectura a millones de seres humanos, hoy es impostergable la alfabetización masiva en los algoritmos y la programación computacional, para que esto deje de ser privativo de las corporaciones;

Es preciso avanzar en la construcción de una taxonomía alternativa a las hegemónicas de Bloom y compañía, que solo sirven para consolidar un modelo reproductor de la educación.

Estas tareas demandan un volumen de recursos económicos y presupuestarios muy importantes, por ello, se debe poner en marcha impuestos a las grandes ganancias y fortunas, que permita concretar la renta básica universal y dentro de ella un capítulo a la actualización tecnológica para evitar que los pueblos del sur y la periferia profundicen la exclusión en esta etapa.

El desafío pareciera estar en entender que, o rompemos con la dependencia y el analfabetismo tecnológico, o vamos a ser simples peones en un tablero donde las piezas las mueven las corporaciones tecnológicas y el capital financiero especulativo trasnacional.

¿Solo deseos y buenas intenciones?

La invitación es a pensar juntes,  alternativas ante el panorama descrito.

Como hemos pretendido mostrar en este trabajo, el vínculo entre la aceleración de la innovación científica-tecnológica y la educación es central y, dentro de esta mirada construir perspectivas y propuestas de gestión alternativas a las que requiere el mercado resultan fundamentales para pensar en una educación al servicio del pueblo.

Ahora bien, esto no puede implicar aceptar y sumarnos a la locura del modelo educativo de gestión tecnológica basada en la inteligencia artificial, big data, análisis de meta datos, bloques de datos, que conduce al progresivo desmantelamiento de la educación pública presencial. Pero tampoco, darle la espalda a la innovación científica-tecnológica como si las instituciones educativas fueran una dejavu de las órdenes religiosas. Por ello, enunciaremos algunos de los ejes de resistencias y en defensa del derecho a la educación, que consideramos contribuyen a destrabar el debate:

  1. Gremios y sindicatos de trabajadores de la educación en el centro de la estrategia: un efectivo y realista trabajo de resistencia a la ofensiva neoliberal sobre la educación solo es posible articularla internacionalmente si logramos sumar la voluntad de los gremios y sindicatos docentes, con influencia de masas. Por supuesto que, en sinergia con los colectivos de educaciones populares y pedagogías críticas, que trabajan en las instituciones educativas y los territorios.
  • Formación para la disolución de la brecha epistémica: en este trabajo hemos insistido en los problemas que tiene un sector importante de la academia y las resistencias al modelo neoliberal, para comprender el largo y lento proceso de vinculación de los sistemas escolares y la educación a la lógica empresarial y económica del capital.

Sin romper esta brecha epistémica resulta imposible entender como la transformación digital es el camino para intentar disolver o reducir a su mínima expresión la educación presencial.

Este trabajo de formación debe ser parte de una estrategia internacional, de alianza entre organizaciones y colectivos, interesados en impulsar una disputa territorial y regional en favor de la educación pública presencial.

Un capítulo importante en esta tarea lo constituye desarrollar propuestas formativas, respecto a cómo usar lo digital-virtual, como complemento de la presencialidad, en cuya perspectiva los formatos y contenidos resultan elementos sustantivos.

  • La defensa de la presencialidad en el centro del debate por el derecho a la educación: lo cual debe pasar de ser un enunciado, para convertirse en una agenda concreta. Ésta debe partir de romper con la dinámica de neo privatización que se impuso durante la pandemia, garantizando que sea el Estado quien cubra los costos de la conexión a internet, dotación de equipos de conexión, plataformas y repositorios.  En esta perspectiva la autonomía en la programación es fundamental.

Defender la presencialidad implica re-pensar de manera radicalmente distinta a la escuela presencial, conscientes que, en esta coyuntura histórica, el desfase de las instituciones educativas, conspira contra su legitimación social. En esta tarea, es urgente recuperar el propósito asignado por el contrato social, de hacer de las instituciones educativas el espacio privilegiado para la democratización del conocimiento, garantizando con ello que los hijos e hijas de la clase trabajadora, campesinos, asalariados en general, puedan acceder a la ciencia, innovación y tecnología de cada momento histórico, así como a los conocimientos ancestrales, comunitarios y locales.

  • Alfabetización en los algoritmos, bloques de datos, programación y uso alternativo de lo virtual digital. Hasta ahora, las corporaciones tecnológicas han presentado el tema digital-virtual como asunto de ingenieros, informáticos y técnicos, lo cual opera como un dispositivo de exclusión educativa. Se parece mucho a la situación de los textos sagrados cuando llegó la imprenta, y las resistencias que muchos tenían al manejo masivo de sus contenidos porque ello rompía las estructuras de poder.

Así como Freire enfatizó en la alfabetización en la lectura y escritura, para que los pobres y marginados, los oprimidos, pudiéramos acceder al conocimiento, la ciencia y la pluralidad cultural, convirtiéndola en dispositivo de liberación, hoy necesitamos  una alfabetización en algoritmos, bloques de datos, programación y lenguajes operativos, de carácter popular, para convertir en amigable la construcción alternativa de lo virtual-digital, saliendo del circulo vicioso de consumir-criticar lo hecho.

Es urgente que los hijos de la clase trabajadora, se apropien de la informática binaria, la cuántica, la inteligencia artificial, los metaversos, para colocarlos al servicio de un proyecto emancipador y de encuentro con otros seres humanos y la naturaleza.

  • Internet derecho humano universal: alfabetizar para producir conocimiento pasa por considerar al internet como un derecho humano fundamental. La cuarta revolución industrial amenaza con dejar en su despegue, fuera de sus lógicas a por lo menos el 50% de la población mundial.

Esto tendrá un impacto tremendo en el mundo del empleo (reducción de puestos de trabajo, las profesiones (reducción terrible del número de titulaciones válidas), mecanismos permanentes de acreditación y validación profesional, por lo cual no podemos darnos el lujo de ocuparnos del asunto cuando llegue. Es urgente entrarle al tema desde la perspectiva de lo popular y alternativo, como disputa contra hegemónica.

Sin internet, de acceso universal, gratuito y de ancha banda, estaremos condenando a millones de seres humanos a un submundo, al peor estilo de las distopías tan populares en las plataformas de televisión en línea.

  • Una computadora encima de cada pupitre, una antena en cada escuela: Durante las últimas décadas, en Latinoamérica y el Caribe se han ensayado múltiples programas para la dotación de computadores personales para la casa a estudiantes y en menor medida a docentes.

Estos programas se formulan y ejecutan desde una terrible incomprensión de la ruta de neoprivatización, estratificación escolar, exclusión educativa y destrucción de la educación presencial que ha puesto en marcha el capitalismo digital durante las dos últimas décadas.

Al colocar un computador en casa –y no en las escuelas y universidades- se contribuyó a crear las condiciones de posibilidad para el pase a la virtualidad educativa y la destrucción de las instituciones educativas presenciales. Si en cambio, se hubiese dotado a las instituciones escolares de equipos de conexión e internet de ancha banda, durante la pandemia la perdida de vínculo pedagógico habría sido inferior, porque se le hubiese podido prestar un computador a cada estudiante inscrito en escuelas y universidades. Un diagnóstico errado, concluye en resultados terribles, eso fue lo que mostro el año de la pandemia del COVID-19.

Por ello, insistimos en reorientar estos programas hacia la dotación de escuelas y universidades, para que las instituciones educativas recuperen su capacidad de ser centros para trabajar la igualdad, al garantizar condiciones de aprendizaje similares, que, si bien no borran las diferencias por origen social de clase, las mitigan.

  • Construir juntes taxonomías alternativas: cualquier programador informático, que diseñe un programa, plataforma o software, necesita un mapa que le permita guiar su diseño. En el caso de la educación esto se construye a partir de las taxonomías. La inmensa mayoría de las taxonomías educativas conocidas sirven a los efectos de modelos educativos métricos, psicologista y de objetivos conductuales. Por ello, las plataformas que están naciendo tienen estas características, son muy novedosas tecnológicamente hablando, pero su lugar de enunciación es la reproducción del conocimiento, usando dichas taxonomías.

En consecuencia, necesitamos de manera urgente abrir un debate, que desde lo acumulado en educaciones populares y pedagogías críticas, permita atrevernos a reconstruir en lo virtual-digital los múltiples caminos que recorremos para aprender de manera compartida, valorando el aprendizaje en sus singularidades irrepetibles y tomando distancia de cualquier intento de homogenización.

Urgen taxonomías para el pensamiento crítico y la creatividad a partir de los cuales trabajen los técnicos y no al revés.

  • Descurricularizar la pedagogía: En las últimas décadas, con especial énfasis a partir de la década de los setenta del siglo XX, la despedagogización educativa derivó en una curricularización del acto pedagógico. El sistema intento borrar la capacidad docente para construir distintas rutas simultáneas de aprendizaje, por una estandarización, no solo de contenidos sino de formas, tiempos y resultados esperados. Destruyeron con ello la docencia como profesión científica humana, para convertirnos en técnicos de administración curricular.

Así terminamos en una carrera desaforada por dar X o Y cantidad de objetivos diarios, pasando de un área de aprendizaje a otro, como saltan los trapecistas de circo. Esto derivó en una tortura infernal para estudiantes y docentes, cada vez menos preocupados por la alegría de aprender y concentrados por mostrar evidencias de haber aprobado.

La desmemoria lógica de estas dinámicas se convirtió en acusación que el joven llega a la universidad sin haber recibido la formación adecuada, cuando en realidad fue el sistema el que construyó un concepto modular de aprendizajes que dejó de tener la significancia necesaria para colocarlo en el primer plano de la memoria y la práctica cotidiana.

Necesitamos liberar la pedagogía, descurricularizar su uso. El único mecanismo es el currículo abierto, flexible y dinámico construido en clave de colectivos pedagógicos donde interactúan estudiantes, docentes y familias.

Esto adquiere especial relevancia, como alternativa ante la amenaza de modelos de control tutorial guiados por inteligencia artificial, que reproducen la curricularización pedagógica, porque entienden al ser humano y el cerebro como dispositivos maquinales, para los cuales el aprendizaje es solo un producto, una mercancía.

¿por qué, en vez de esos programas gruesos de primer grado, no acordamos por consenso, los propósitos de esa etapa para el aprendizaje, en un formato que no exceda la página, liberando al docente para que, en 200 días de clase, ejecute piezas magistrales de aprendizaje que muestren las distintas formas de aprender y variados usos que le damos al conocimiento?

  1. Repensar las dinámicas pedagógicas en su vínculo con la economía y la política: emprender una tarea de este tipo pasa por superar la etapa ingenua y casta del apoliticismo educativo.  Requerimos construir las herramientas y capacidades para conocer y saber el porqué, de cada política educativa en su vínculo con el modo de producción.

Solo en esta medida se pueden construir resistencias y alternativas realmente eficaces, saliendo de la marginalidad que nos ha caracterizado en los últimos tiempos, donde cada día tengamos mayor capacidad concreta de disputar la hegemonía educativa de la lógica del capital.

  • Currículo abierto: El currículo prescrito tenía razón de ser por los ciclos de innovación que podían durar varias décadas. Un plan de estudios y currícula podía tener vigencia más allá de uno o dos ciclos de innovación. El problema es que ahora los ciclos se han achicado, llegando en algunos casos a hablarse de escasos tres años.

Eso solo hecho, coloca en obsolescencia el modelo curricular vigente. Adicionalmente todos sabemos que hacer una reforma curricular para actualizar los planes y programas, puede tardar entre 5 y 10 años, según el nivel o modalidad educativa. Es decir, al aprobarse la reforma curricular ya han pasado por lo menos dos ciclos de innovación.

En correspondencia con lo expresado en los puntos anteriores, necesitamos desanudar el currículo, convirtiendo al docente que participa en colectivos pedagógicos en el conductor del currículo de contexto. Eso implica dejar de pensar con el método de las taxonomías de Bloom y allanar metodologías para la construcción de consensos educativos, que permitan contar con referentes globales de aprendizaje y adaptaciones con desarrollos locales. Eso se expresa en síntesis y brevedad ¿podremos hacerlo en una o dos canillas de papel, dejando a un lado los enormes programas de estudio?

Liberar a los docentes de la camisa de fuerza del programa prescrito, permite que los trabajadores de la educación vuelvan a ser intelectuales orgánicos, que trabajan el conocimiento más allá de la reproducción, en la creación liberadora.

  • Didácticas contingentes:  “cada quien aprende a matar pulgas a su manera”. Ese adagio popular, tiene plena vigencia para la construcción de formas, rutas y procesos de aprendizaje.  No existe una didáctica única ni universal, ni un camino inamovible para la enseñanza. Cada tema puede obligarnos a cambiar de estrategia didáctica, cada estudiante demanda mecanismos diversos para conocer y emprender, cada docente aprende todos los días de manera variada.

Desarrollar modelos de didácticas contingentes pasa por aprender de manera comparativa y en el tiempo histórico que le correspondió, cada propuesta en relación a la reproducción o creación necesaria para ampliar la ganancia del capital, o las formas de resistencias que fueron surgiendo. Aprendizaje, conocimiento y mercancía son un trípode que debemos aprender a develar para desmitificar las propuestas didácticas y avanzar hacia propuestas que realmente fomenten el pensamiento crítico y la creatividad para la equidad y la justicia social.

  • Evaluación para la equidad y la justicia social: la evaluación se ha convertido en un horrible mecanismo de segmentación y estratificación escolar, que tiene su mayor expresión en los cuadros de honor, y menciones de grado. Necesitamos reconstruir un enfoque evaluativo que no sea punitivo ni segmentador, centrado en el uso que le demos a lo que se aprende, es decir a la transformación social. Todo lo que se aprende debe servir para vivir o para salvaguardar la vida y en consecuencia eso se debe mostrar de manera inmediata, ese tiene que ser el norte de una evaluación para la vida, para el cambio, para la sociabilidad, que tome distancia del paradigma competitivo.
  • Planeación participativa: necesitamos desmitificar y desconcentrar la planificación, convirtiéndola en un acto de encuentro para la cooperación, donde los propósitos de la gobernanza de los de arriba, se subordine a los requerimientos del contexto. En ese sentido, necesitamos retomar lo aprendido en las educaciones populares y las pedagogías críticas respecto a la planificación participativa.
  • Gestión de pirámide invertida:  los modelos jerárquicos suelen ostentar las escalas piramidales de poder. Desde lo alternativo nos hemos acostumbrado a pensar que lo horizontal es el camino, pero ello suele tener la dificultad de las cadenas de mando del aparato gubernamental. Por ello, postulamos el modelo de gestión de pirámide invertida, que haga que los directores, rectores y autoridades manden obedeciendo. En otros trabajos hemos formulado ideas al respecto, así como lo han hecho Marco Raúl Mejía, Martha Harnecker, entre otros. Se trata de romper con los modelos de gestión enunciados en las fábricas y para la construcción hegemónica.
  • Acabar con la separación de las educaciones populares y las pedagogías críticas: Todo lo anterior demanda una alianza estratégica entre las educaciones populares (en plural) y las pedagogías críticas (en plural), rompiendo con la separación insostenible de las primeras como ancladas en las comunidades y las segundas en las instituciones escolares.

De hecho, lo que ha venido ocurriendo en los últimos tiempos es una hermosa hibridación en ambas que hoy nos permite señalar que el cambio solo será posible si nos articulamos quienes pertenecemos a unos de estos campos de las resistencias y las alternativas.

La apuesta por un modelo de gestión educativa de pirámide invertida fundamentada en colectivos pedagógicos

            El recorrido que hemos hecho por los modelos de gestión educativa, en la era del capitalismo industrial, evidenció que estas dinámicas han sido transferencias de las propuestas de conducción empresarial a los sistemas escolares.

            Las escuelas y universidades no son una fábrica, sino espacios para socializar, crear y compartir conocimientos. Tampoco son un fin en sí mismas, sino instituciones con una tarea social vital para la construcción de justicia social, fraternidad, para aprender a convivir, compartir y crear juntos. Son espacios para la emancipación y la liberación.

            En ese sentido, el modelo de gestión no solo es importante, sino que ubica la complementariedad con fines estratégicos  Por ello, insistimos en la construcción, desde abajo, de modelos –en plural- de gestión educativa, que den cuenta de la articulación dialéctica entre lo global y lo local, comprometidos con los intereses, necesidades y expectativas de las mayorías ciudadanas. Por ello, en términos gerenciales planteamos que estas propuestas alternativas de gestión deben fundamentarse en:

  1. La visión: entendida como el proyecto de institucionalidad que modela un futuro de mayor justicia, bienestar e integración comunitaria. Esta visión debe construir un equilibrio ponderado de miradas prospectivas, que se expresen en el mayor consenso posible respecto hacia donde orientar la actividad educativa.

Esta visión no es otra cosa que el acuerdo que se establece, de manera colectiva, en cada institución, respecto hacia donde debemos empujar la institución para lograr desarrollar una educación popular, laica, científica, democrática, participativa y alegre;

  • La Misión: debe ser elaborada a partir del diálogo con la sociedad de entorno, las necesidades de conocimiento, las expectativas de profesores(as), estudiantes y los actores sociales, la resolución de las tensiones generadas por las expectativas previas de docentes y estudiantes respecto a los énfasis del trabajo pedagógico, todo ello vinculado a las misiones definidas por el sistema educativo y el país.  En este último aspecto es muy importante destacar, que desde el punto de vista de la progresión de los derechos las misiones no son límites infranqueables, sino puntos de referencia, que admiten ampliaciones

Es muy importante insistir en la necesidad de trabajar esa misión desde abajo, y no permitir que se imponga desde arriba. Eso solo es posible si establecemos colectivos pedagógicos;

 A partir de ello, es posible establecer un circulo virtuoso dialéctico (en espiral)  que ermita construir participativamente Proyectos Educativos Nacionales, arraigados en los territorios, las instituciones y los anhelos comunitarios.

Es posible hacerlo, se trata de atrevernos

Lista de referencias

-Busquets, Javier (2019 [en sitio web del Foro económico Mundial (2019]. El liderazgo en la era de transformación digital. Disponible en https://es.weforum.org/agenda/2019/02/el-liderazgo-en-la-era-de-la-transformacion-digital/

-Fayol, H (1949) administración industrial y general. Traducción y publicación del artículo de Fayol de 1916. Edición mimeografiada. IPRGR-UPEL.

ISDIS Education (2016) El modelo de gestión de RR.HH de Google. Disponible en https://www.isdi.education/es/blog/modelo-de-gestion-de-rrhh-de-google

-Foro económico Mundial (2016) La transformación digital va de personas. Disponible en https://es.weforum.org/agenda/2016/11/la-transformacion-digital-va-de-personas?utm_content=buffer7256d&utm_medium=social&utm_source=facebook.com&utm_campaign=buffer&fbclid=IwAR3AJFYBXcfXLWuq3F88Q7-GrTk322zjSkLiQayxePTGX6mTu2r236uEjQY

-Mitra Sugatra (2022) La escuela en la nube. Ediciones Paidós. México.

-Museo virtual de la educación (s/f) La enseñanza mutua (finales del siglo XVIII. Primera mitad del siglo XIX). Disponible en https://www.um.es/muvhe/imagenes_categorias/2951_phpxYHZwB.html

-Noro, Jorge E ( s/f) De la casa a la escuela y de la escuela al trabajo. El nuevo orden natural: escuela, taylorismo, vigilancia y eficiencia. Disponible en    https://sd2278b2e0eb07e2d.jimcontent.com

-Robbins, Stephen (1996). Comportamiento organizacional: teoría y práctica. Ediciones McGraw Hill México.

Senge, Peter (1990). La Quinta Disciplina. Disponible en Internet en el enlace: http://gerenciaestrategica.pbworks.com/w/file/fetch/55691078/la%20quinta%20disciplina%20%20peter%20senge.pdf

-Schmidt E & Rosemberg, J (2014) Como trabaja Google. Ediciones Aguilar. México

-Tünnermann B., Carlos (1991) Historia de la universidad en América Latina: de la época colonial a la Reforma de Córdoba. Ediciones CSUCA. Costa Rica.

-Taylor, Frederick Winslow (1911), The Principles of Scientific Management, New York, NY, USA and London, UK: Harper & Brothers

-Zuluaga G., Olga L y Ossenbach S., Gabriela. Compiladores (2004). Génesis y desarrollo de los sistemas educativos Iberoamericanos Siglo XIX Tomo I. Colección Pedagogía e Historia. Cooperativa Editorial Magisterio. Bogotá. Colombia

[1] Doctor en Ciencias Pedagógicas. Estudio postdoctoral en modelos y propuestas de evaluación de la calidad educativa. Estudio postdoctoral en pedagogías críticas y educaciones populares. Profesor extraordinario de la Universidad de Panamá, invitado del instituto McLaren de Pedagogías Críticas y de la universidad venezolana. Pedagogo crítico, autor e investigador. Director del portal Otras Voces en Educación y de Investigación en el Centro Internacional de Investigación Otras Voces en Educación. E mail: contacto@luisbonilamolina.com

[2] Conocida como el International Buro Education (IBE), ahora dependiente de la UNESCO, cuya oficina central está en Ginebra, Suiza.

[3] Nacido en la actual Estambul, en ese momento Constantinopla, de familia francesa

[4] Conocido en español como programa internacional para la Evaluación de Estudiantes o Informe PISA

[5] En español ciencia, tecnología, ingeniería y matemáticas

[6] Que se ubicaba como progresista porque recogían muchas de las demandas del movimiento social de la época

[7] Por ello hemos sostenido que cuando gobiernos como el mexicano de Andrés Manuel López Obrador dicen que cambian el ´énfasis de la calidad educativa por la de excelencia educativa en realidad se están refiriendo a lo mismo y lo hacen para simular un cambio de orientación.

[8] Benchmarking: es el proceso de gestión empresarial que toma como referencia los productos, servicios y/o procesos que desarrollan las empresas líderes. El propósito es compararlos (similitudes y diferencias) con las dinámicas de la propia empresa con el propósito de diseñar estrategias de mejora que emulen el patrón seleccionado. Los tipos de Benchmarking son: a) competitivo, b) interno, c) funcional. Las etapas del Benchmarking son: planificación, recopilación de datos, análisis de las diferencias con el modelo escogido, acción o implementación de las mejoras, seguimiento y estabilización de la mejora

[9] Las mercancías elaboradas por pedidos previos deben estar cuando se programó su distribución y venta, nunca después ni antes, pues se quiere ahorra los costes de almacenamiento o por retardo.

[10] se aprende por estímulo, respuesta y gratificación ante la respuesta correcta.

[11] Se aprende para alcanzar algo que se desea o evitar algo que no desea.

[12] Los individuos aprenden por la experiencia de interacción con otros seres humanos o agudizando su capacidad de observación.


[1] Político francés, quien varias veces desempeño la cartera de ministro, siendo además presidente del Consejo de gobierno de ese país, así como presidente de la Asamblea Nacional. Fue el encargado por la UNESCO de elaborar un Informe mundial que diera cuenta de la situación de la educación a escala internacional.

[2] Otros autores la ubican en la década de los cuarenta y cincuenta. En mi caso prefiero ubicarla en esa fecha porque es el momento en el cual la robótica y programación impactan la producción de mercancías, con el uso del robot Unimate

[3] Durante el periodo de guerra fría, el multilateralismo logro construir una imagen neutral de la UNESCO, algo que era totalmente ingenuo, lo cual posibilitó que en materia educativa los procesos de gestión y administración educativa, tendieran a la homologación. Por supuesto que la gran diferencia era la idea de lo público en educación, diferencia que cada día se profundizaría más hasta la caída de la URSS.

[4] https://www.nueva-iso-9001-2015.com/2016/09/desarrollo-concepto-calidad/#:~:text=Deming%20(1988)%20determin%C3%B3%20al%20concepto,cuestionamiento%20hacia%20una%20mejora%20continua%E2%80%9D.

[5] La creación en 1994 del Laboratorio Latinoamericano de Evaluación de la Calidad Educativa (LLECE), adscrito a la OREALC-Chile, institucionalizó las pruebas estandarizadas de aprendizaje del LLECE (PERCE, SERCE, TERCE, ERCE), presentadas como sinónimo del difuso concepto de calidad educativa.


[1] Instituto Internacional de Planeamiento Educativo


[1] Texto elaborado para la editorial Desde Debajo de Colombia, a partir del artículo publicado en la Revista del IAPEM de México en el año 2022.

[2] Doctor en Ciencias Pedagógicas, Postdoctorados en Pedagogías Críticas y Propuestas de Evaluación de la Calidad Educativa. Miembro del Comité Directivo del Consejo Latinoamericano de Ciencias Sociales (CLACSO).  Socio de la Campaña Latinoamericana por el Derecho a la educación. Integrante de la Asociación latinoamericana de Sociología (ALAS) y la Fundación Kairos.  Director de investigaciones del Centro Internacional de Investigaciones Otras Voces en educación (CII-OVE). Profesor universitario.

Los modelos de administración educativa y su relación con las formas de gestión del modo de producción capitalista

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El Banco Mundial en la educación superior (1962-2000)

Por: Luis Bonilla-Molina[2]

Introducción:

En este breve artículo procuraremos hacer un inventario de los grandes momentos en las definiciones de políticas del Banco Mundial hacia la educación superior, durante cuatro décadas, como parte del estudio respecto a la influencia del capitalismo en las reformas educativas. En esta etapa, estamos identificando los nodos, para luego avanzar en su análisis, estudio comparado y relacional.

Década de los sesenta del siglo XX

El Banco Mundial (BM) fue creado en 1944 con el nombre de Banco Internacional de Reconstrucción y Fomento (BIRF) ha sido conocido como Banco Mundial y, evolucionó hasta conformar el Grupo Banco Mundial conformado por la Asociación Internacional de Fomento[3] (AIF)[4] , la Corporación Financiera Internacional[5] (IFC)[6], el Organismo Multilateral de Garantía de Inversiones[7] (MIGA)[8], el Centro Internacional de Arreglo de Diferencias Relativas a Inversiones[9] (CIADI)[10] y el Banco Internacional de Reconstrucción y Fomento[11] (BIRF)[12].

El Banco Mundial, ha asumido un creciente protagonismo en la agenda de la educación superior, en lo que muchos interpretan como la aspiración de sustraer de ese rol a la UNESCO.

La política de préstamos del Banco Mundial para la educación se inició en 1962 cuando se aprobó el primer proyecto educativo. A partir de ese momento el BM ha desarrollado propuestas de reformas y políticas educativas puntuales, cuya implementación condiciona el acceso a la cartera crediticia. Entre 1963 y 1970 los préstamos se concentraron en los programas educativos que atendían la demanda de mano de obra.

Década de los setenta del siglo XX

En septiembre de 1971 se publicó “Education: sector Working Paper[13]”, trabajo del Banco Mundial que recomendaba el estudio detallado y sistemático de los sistemas educativos nacionales, antes de otorgar financiamiento, partiendo de las tendencias del cambio educativo para establecer recomendaciones para las políticas del BM en medio de la situación de los años 70, con el inicio de los ciclos de la tercera revolución industrial. El Informe está evidentemente influenciado por las ideas de Philip Coombs[14], quien acababa de escribir The World educational crisis: a systems analysis[15] (1968) y que años después actualizaría sus reflexiones en el libro “The World Crisis in Education: The View from the Eighties[16]” (1985).

Como lo hemos trabajado en otros artículos, el Banco Mundial (1971) expresa en este documento su preocupación como el crecimiento de la matrícula en el marco de la aceleración de la innovación. Algo que no ha sido acompañado por la debida actualización de capacidad de gestión (organización, planificación, evaluación y supervisión), ni del currículo y los métodos de enseñanza. Plantean que, aunque, en ese momento, solo el 1% de la población mundial en edad accedía a la titulación universitaria, el problema del desempleo en ciernes obligaba a la reorientación de la formación profesional y, que la expansión de la matrícula obliga a identificar nuevas fuentes de financiamiento distintas al público, especialmente en el sector universitario. Recomienda hacer reformas más integrales y menos sectoriales, en razón del periodo de cambios que recién en ese momento se iniciaba. El documento de Education: sector Working Paper (1971) introduce el concepto de learning[17]como un rasgo deseado de los sistemas educativos y el sector universitario. El learning emerge como una solución para reducir los costos de contratación de personal en los sistemas educativos y las universidades y es el predecesor del modelo e-learning que se intenta generalizar en el marco de la llamada transformación digital.

A este trabajo le seguiría la publicación en 1974 de uno nuevo “Education: Sector Working Paper[18]”, en el cual el Banco Mundial se ofrece abiertamente como un factor clave para ayudar a diagnosticar los problemas educativos que tienen los países que son sus potenciales prestatarios, convirtiendo esta definición en una orientación política para las décadas siguientes.

El apartado titulado “Estrategias de desarrollo de la educación para la década de 1970 y más allá”, resulta clave para entender la evolución del organismo en un factor decisivo en las políticas educativas del capitalismo en la tercera revolución industrial.  Allí se abordan, lo que ellos consideran temas principales de los sistemas educativos, la formación de habilidades correspondientes a las necesidades de los países en desarrollo, aumento de la eficiencia en la educación, la mejora de la capacidad de gestión y planificación de los sistemas educativos y los objetivos del Banco Mundial en los préstamos para la educación; veamos algunos de ellos.

En la formación de habilidades el BM plantea que cada vez es mayor la presión para obtener la certificación universitaria, aunque ello no garantiza empleo, en consecuencia, la educación debe tener un alto componente de pertinencia[19].  En cuanto a la eficiencia de los sistemas educativos el Banco Mundial se concentra en una valoración del uso inadecuado de los recursos que imposibilita alcanzar los objetivos cualitativos y cuantitativos que se propone el sistema; precisamente la falta de objetivos claros lo valoran como una fuente de despilfarro.

En este documento, el BM (1974) continua la línea trabajada por el Informe Colleman[20] (1966) y Faure “Aprender a ser: la educación del futuro[21]” (1973) que relacionan optimización de la inversión con problemas en la eficacia de la labor docente y que han ido construyendo a través del tiempo las condiciones de posibilidad para un ataque sostenido al trabajo de los y las docentes; además plantean la necesidad de la cultura evaluativa de los sistemas educativos para disminuir el impacto económico del abandono escolar, elaborando estándares de desempeño que se impondrían luego a través de las pruebas estandarizadas nacionales y mundiales, de aprendizaje y desempeño, que se aplicarían a estudiantes y docentes.

En materia de mejorar la eficiencia de la educación (BM, 1974, pag.36), vuelve en su ofensiva sobre la profesión docente, indicando que no son significativos los cambios en el aprendizaje cuando se trata de valorar resultados entre docentes titulados o no, proponiendo la contratación de docentes no – universitarios porque ello puede ser una fuente de ahorro de presupuesto público.

Plantea además este informe, la conveniencia de incrementar el número de estudiantes por docentes para disminuir costes, pues “el tamaño de la clase puede no estar tan estrechamente asociado con la calidad de la educación, como se ha asumido tradicionalmente” (BM, 1974, p. 5).

En cuanto a la mejora en la gestión y la planificación el Banco Mundial señala la importancia de trabajar la comunicación y la articulación entre las instancias de los ministerios de educación que definen los objetivos y quienes implementan los programas, planteando que en el mediano plazo se requerirá “cambios sustanciales en la organización y estructura de los sistemas educativos” (BM, 1974, pp. 6-7).  Esto terminaría expresándose en sus documentos más recientes que hablan de la liberalización de la gestión universitaria.

Respecto a los objetivos de los programas, el Banco Mundial plantea la necesidad promover sistemas educativos integrales que contengan la educación formal, no formal e informal, y que busquen fuentes de financiamiento más allá de las convencionales, es decir, es el inicio de la flexibilización y/o abandono de la responsabilidad de los Estados nacionales con el financiamiento de la educación pública, algo que como veremos más adelante va tomando cada vez más énfasis para la educación superior.

En este estudio, el Banco Mundial retoma una de las tareas centrales asignada por el capitalismo industrial a los sistemas educativos, señalando, en la perspectiva de Chereny, Hollis[22] y otros (1974), la necesidad de volver a los “análisis del papel económico y social de la educación de masas” (BM, 1974, p.15).

Se reconoce que “el fracaso de los sistemas para responder a las necesidades de los países se acentúa por el hecho que las instituciones educativas han copiado muchas de sus dinámicas de los países altamente desarrollados y no han adquirido aún una identidad propia” (BM, 1974, p.20).

En este trabajo, el Banco Mundial asume la crítica al credencialismo (BM,1974,p.21) en la administración pública, pues señalan que no siempre los títulos académicos reflejan una adecuada formación para los requerimientos del desarrollo del capitalismo dependiente y neocolonial de nuestra región.

Es necesario destacar, que la crítica a la meritocracia que muchas veces se asume como algo de la izquierda política, en realidad tiene en el siglo XX en América Latina y el Caribe una vinculación directa con la narrativa instaurada por el Banco Mundial, para tratar de hacer más eficiente el gasto en educación y el gasto público en general.

De hecho, el acceso a la titulación universitaria, de maestría y doctorados para los hijos e hijas de la clase trabajadora, como elemento sustantivo de la democracia social y del conocimiento, siempre ha sido una aspiración de la clase trabajadora organizada.  Sin embargo, en los últimos tiempos hemos visto abrirse paso, un discurso “postmoderno” y “poscolonial[23]” no solo paralizante, sino incluso elitesco, de algunos académicos titulados que laboran en las instituciones de educación superior, pero propagan narrativas contra el acceso a los sistemas educativos por parte de los sectores populares, oponiendo la educación comunitaria a la formación académica. como si estás no fueran complementarias y dialécticamente mejorable en sus dinámicas de diálogo, contradicción y síntesis; lamentablemente muchos(as) de quienes defienden ese discurso no dejan de hacer doctorados, postdoctorados y escribir Paper´s sobre estos temas, haciendo extractivismo cultural para escalar en sus propias carreras.

El informe del BM (1974) enfatiza en la necesidad de planificar la oferta de formación profesional y calificada enfatizando en las demandas del mercado laboral y, en la educación en habilidades que permitan la adaptación rápida de los y las egresados(as) profesionales, en un entorno de trabajo cada vez más cambiante y dinámico.

En el aspecto tecnológico, el Banco Mundial plantea no solo sustituir el pizarrón por la radio[24] en los procesos de enseñanza-aprendizaje “sino como un vehículo para introducir planes de estudio mejorados y nuevos contenidos en el aula” (BM, 1974, pag.40).

Sostiene el Banco Mundial (1974) que es urgente orientar la formulación de políticas educativas en torno a su utilidad económica, mejorando la forma de canalizar la creciente demanda privada para acceder a la educación superior, mientras el cambio de patrón de demanda exige reformas estructurales e institucionales, cambios en el contenido y los aspectos tecnológicos, así como en los perfiles de egreso para apoyar el mercado de trabajo. Para aquellos que se colocan al lado de lógica del capital, argumentando razones económicas desvinculadas de su expresión política, el propio Banco Mundial señala “los planificadores educativos deben tener en cuenta y fundamentar su trabajo tomando en cuenta el contexto político” (Pag. 42), puntualizando la necesidad de trabajar dos enfoques económicos en la educación: a) tasa de retorno y, b) necesidades de formación para mano de obra calificada. Vincula además la noción de educación permanente con las necesidades del mercado y de empleo, separándose de la concepción humanista de la educación permanente para el desarrollo integral de la personalidad y la construcción de ciudadanía crítica, que prevalecía en el discurso pedagógico alternativo y de las resistencias anti sistema.

Plantean que muchas veces la formación vocacional en la secundaria no encuentra un adecuado complemento y posibilidades de desarrollo en la formación universitaria, haciendo una crítica mordaz a la actualización de las ofertas académicas, pero también a los diseños centrados en propuestas humanistas y no en los requerimientos del mercado, lo cual según el Banco Mundial (1974) afecta las posibilidades de conseguir empleo.

En materia de Financiamiento Educativo, el Banco Mundial (1974) propone que la educación en general y la educación superior en particular transite la búsqueda de fuentes alternativas al financiamiento estatal ordinario, tales como a) quienes reciban educación asuman los costos de una parte importante de la misma, b) gravámenes fiscales sobre la masa salarial, más allá de las cargas impositivas existentes en algunos países para la formación industrial o alfabetización de adultos, c) esquemas variados de préstamos estudiantiles y familiares para cubrir los costos de la formación universitaria, d) subvenciones públicas para la diversificación de la oferta universitaria privada, e) trabajo estudiantil que permita disminuir costos de nómina de empleados y gastos de servicios.

El trabajo de la métrica del psicologismo norteamericano (1940-1956) y su intento de intervenir la pedagogía y circunscribirla a objetivos educativos (metas conductuales) con base a tres aspectos (cognitivo, afectivo y psicomotor)[25], la Taxonomía de Bloom[26] y la búsqueda de fórmulas economicistas de tasa de retorno en educación, le permiten al Banco Mundial (1974) definir como prioridad y dar un impulso decisivo a la cultura evaluativa, que a partir de este documento tomaría un vigor especial.

Las argumentaciones de Colleman (EEUU, 1966), Coombs (IIPE-UNESCO, 1968), Faure y otros (UNESCO, 1973), contribuyeron a crear un sentido común pedagógico sobre el uso generalizado de la Taxonomía de Bloom, la estandarización y la aplicación de mecanismos de seguimiento (pruebas, indicadores, exámenes globales) que constituirían bases tecnológicas de la cultura evaluativa, que hoy se expresa en rankings, sistemas de clasificación de publicaciones, entre otros.

La hibridación de discursos de UNESCO y Banco Mundial, comenzó a operar como un fenómeno continuo y en los años y décadas siguientes. Por ello, afirman que “la creación de mecanismos de evaluación periódica es fundamental para la gestión eficaz de la educación, ya que constituye un mecanismo privilegiado a través del cual la investigación orientada al desarrollo puede introducir elementos sustantivos para la toma de decisiones. (…) Por ello, la determinación clara de los objetivos educativos desempeña un papel decisivo en la evaluación centrada en resultados” (BM, 1974, p.47).

El Banco Mundial (1974, p.50-51) expresa su interés no solo de financiar con créditos retornables la infraestructura educativa, a cambio de orientación en las políticas del sector, sino en avanzar además, en establecer pautas para los elementos sustantivos de la formación profesional y los diseños de programas (televisión educativa, desarrollo curricular, planificación y gestión, modelo flexibles de formación). De hecho, en el periodo 1963-1971 el Banco Mundial se concentró en estas, que consideraba tareas centrales para la educación en los países de bajos ingresos; en el caso de la educación superior destino el 23% inicialmente, monto que se elevó a 41% entre los años 1972-1974

En relación a los procesos de investigación para la toma de decisiones en políticas educativas en general y del sector universitario en particular, el Banco Mundial (1974) plantea, en un contexto cambiante, de incertidumbre y aceleración de la innovación, que se hace necesario asumir un enfoque contingente, que no se fundamente en la experiencia pasada y actual. No obstante, concluyen señalando que “la experiencia sugiere que la cautela y el conservadurismo innato de los establecimientos educativos continuará” (BM, 1974, p.57), a pesar de ello, “el Banco puede ayudar a iluminar las opciones que tiene un país y ayudarlo a tomar las mejores decisiones posibles” (BM,1974, p. 61)

Década de los ochenta del siglo XX

Seis años después, en abril de 1980, el Banco Mundial actualizaría su perspectiva respecto a la educación, en el documento de trabajo titulado “Education: Sector Policy Paper[27]”. En el capítulo nueve de este informe se hace un balance preciso de la política del Banco Mundial en materia de préstamos para la educación, que nos parece importante revisar y analizar su evolución:

  1. 1963-1970: periodo en el que se aprueba el primer crédito educativo (1962) por parte del directorio ejecutivo, que daría pie a la elaboración de un Memorándum del presidente del Banco en 1963 que sería la primera definición estructural de la política educativa del Banco. A finales de los años sesenta del siglo XX, de acordó que el Banco debería determinar las prioridades educativas vinculadas al desarrollo, es decir a la economía de mercado, para financiar en el sector;
  2. 1971-1974: se produce el primer documento de Política del sector Educativo, ya analizado aquí, en el cuál como hemos visto se comienza a proponer la racionalización del gasto, la incorporación de los desarrollos tecnológicos (radio, televisión) como mecanismos alternativos a la docencia en el aula, con un especial énfasis en las áreas de administración y gestión. La calidad de la educación aparece como una variable significativa para la determinación de políticas educativas, el desarrollo curricular y su vínculo de los perfiles de egreso conforme varaban las demandas en el mundo del trabajo;
  3. 1974/75-1978 en la cual se dio a conocer el segundo documento de trabajo del Banco Mundial en materia de definiciones estructurales en materia educativa. En estos se comienza a definir que los presupuestos públicos deben focalizarse en la educación primaria, mientras se apertura y flexibilizan las fuentes de financiamiento de la educación superior, es decir, se promueve la privatización y la mercantilización educativa.

La cartera de financiamiento del Banco Mundial a proyectos de educación superior muestra esta reorientación de la inversión educativa; mientras en el periodo 1970-1974 el 40% de los proyectos financiados por el BM pertenecían a las universidades, entre 1975-1978 está cifra cayó a 26% (BM; 1980, p.80) y proyectaban una mayor disminución, alrededor del 18%. Sin embargo, cuando revisamos el volumen real de inversión vemos que solo ha alcanzado a unas 100 facultades y universidades en el mundo, una cifra insignificante.

El Banco Mundial usa más su imagen para determinar políticas en los sistemas educativos y las universidades, arriesgando solo una pequeña porción de su capital en lo educativo, obteniendo a cambio una enorme y desproporcionada influencia en las definiciones de políticas educativas en los distintos niveles educacionales.

El documento del Banco Mundial (1980) refuerza la orientación a la cultura evaluativa, la medición estandarizada, al establecer tres niveles de evaluación para el acceso a financiamiento:

  1. El contenido, capacidad de generar cambios y la ruta establecida de implementación;
  • Las definiciones de entrada (input) y salida (output) de los proyectos educativos que involucran currículo, calidad de los aprendizajes, administración, docencia y matrícula, con el propósito de intervenir en la reelaboración de los perfiles de egreso en el marco de la tercera revolución industrial;
  • El impacto de los proyectos en la economía (modo de producción, comercio y consumo), la sociedad (gobernabilidad, nuevas formas de pensamiento, democratización del conocimiento de la tercera revolución industrial, entre otros), empleo (automatización, cibernética, servicios de información), egresados (transdisciplinariedad, lógicas posfordistas, educación a lo largo de la vida).

Es decir, el Banco Mundial asume que la cultura evaluativa no es en abstracto, ni un fin en sí misma como la asumen muchos técnicos neoliberales, sino que tiene una finalidad, resolver la distancia existente entre los que se enseña en las instituciones educativas y las universidades y la aceleración de la innovación científica-tecnológica, especialmente en tecnología, ciencia, cálculo matemático e ingenierías propias del tercer ciclo de revoluciones industriales, para la  instrumentación de estos avances en el modo de producción capitalista.

Esto explicaría, como una década después, en el marco de la institucionalización de la cultura evaluativa proceso ocurrido en la década de los noventa del siglo XX, el por qué las pruebas estandarizadas tipo PISA[28] ó LLECE[29]-UNESCO (PERCE[30], SERCE[31], TERCE[32], ERCE[33]) enfatizan en aprendizajes matemáticos (capacidad de cálculo), lenguaje (lectura de manuales para auto actualización laboral), ciencias (conocimiento científico vinculado a la tercera revolución industrial) y tecnologías (pensamiento y cultura computacional).

Así mismo, permite entender la razón de conformación del paradigma STEM[34], presentado inicialmente en la National Science Foundation (NSF)[35], de Virginia, EEUU que, a partir de 2010, en los albores del anuncio de la cuarta revolución industrial, se convertiría en eje central de las políticas educativas norteamericanas.

En 2006 Georgette P. Yakman[36] plantearía ampliar el paradigma STEM agregando las artes, como STEAM ó STEM+A, algo que sería asumido por Corea del Sur como la posibilidad de incorporar las habilidades de diseño y comunicación visual en la enseñanza asociada a la aceleración de la innovación. En las universidades esto tendría su expresión en los rankings que procuran valorar, estimular y clasificar las universidades que mejor acompañen en la aceleración de la innovación a través de publicaciones científicas, evidenciado actualidad (conocimiento de la tercera revolución industrial) de las citas, número de publicaciones elaboradas mediante colaboraciones internacionales, publicaciones con alto número de revisiones (Top) y acumulación de premios científicos obtenidos por académicos y equipos de investigación; es la adecuación del paradigma STEM al sector universitario. Uno de los Ranking[37] más emblemáticos fue el llamado Shangai Ranking[38]. Este giro ocurre por el diagnóstico que hace el Banco Mundial respecto a que “Los proyectos de educación asistidos por el Banco a fines de la década de 1960 y principios de la década de 1970 generalmente no fueron diseñados para permitir una evaluación de los logros de los estudiantes más allá de lo que se revela mediante exámenes regulares universitarios” (BM, 1980, p.84)

Volviendo al documento del Banco Mundial (1980, p.82) se confirma que ya para ese momento la carga sustantiva de generación de los proyectos a ser financiados, lo impulsaría el Banco en alianza con la UNESCO, mientras el papel del prestatario seguía siendo restringido, mediante proyectos fundamentalmente orientados al mercado laboral y la empleabilidad, que a juicio del BM (1980, p.85) en el sector universitario comenzaban a mostrar evidencia de una intervención exitosa.

El Banco Mundial señala que la cuestión de la pertinencia “implica un proceso de repensar lo sustantivo del carácter nacional de la educación, orientado a la autenticidad y modernidad, como combinación eficaz para rechazar patrones y formulas educativas importadas” (BM,1980,p.20). Esta definición, tiene varias complicaciones:

  1. Plantea el cambio educativo vinculado a la modernidad, que en ese tiempo histórico (década de los ´80) para el capitalismo significaba globalización, es decir, la pertinencia educativa pensaría lo nacional en un marco de restructuración escolar neoliberal;
  2. El capitalismo ha entendido la necesidad de contextualizar sus políticas, por ello, el Banco Mundial plantea investigación local para ver cómo se puede aplicar, por ejemplo, pruebas estandarizadas cuidando los elementos de cultura local,
  3. La autenticidad, como categoría despolitizada se convierte en un mecanismo para apelar a lo autóctono como confirmación de las políticas educativas contextualizadas que son funcionales a la lógica del capital,
  4. Al no plantear la pertinencia como una dialéctica transformadora entre lo local y lo global, abre paso al localismo “resuelve problemas”, que impide la comprensión del mundo en sus relaciones estructurantes entre territorios y dinámicas generales (económicas, políticas, sociales y culturales).

El Banco Mundial usa la noción resemantizada de pertinencia para hablar de “nacionalización de los sistemas educativos” (BM, 1980, p. 21), no como impulso a la autonomía, sino como convocatoria para que los sistemas escolares asuman las tareas educativas nacionales que plantea la relación educación y economía en los países de la periferia capitalista, dependientes y neocoloniales como los nuestros.  Por ello, plantean la necesidad que los sistemas educativos fundamenten sus tomas de decisión en investigación local y comparada, para evitar que sus dinámicas se conviertan en obsoletas, derrochadoras, irrelevantes e incapaces de atender las cambiantes necesidades y demandas del mundo productivo y el empleo sobre la educación, advirtiendo que “mientras la educación … tiene raíces complejas en varios aspectos científicos y técnicos … la capacidad de análisis y experimentación en educación son inadecuados en comparación con la mayoría de los otros campos” (BM,1980,p.22).

Cuando se adentra en la cuestión curricular, el Banco Mundial (1980, p.33), trabaja en la línea de generar una actualización de contenidos, dinámicas pedagógicas y estilos de aprendizaje, que dieran cuenta de los avances y procesos inherentes a la tercera revolución industrial, planteando para ello un conjunto de principios generales a ser aplicados:

  1. La estructura de conocimiento expresada en las reformas curriculares debe reflejar la estructura del conocimiento (teorías, conceptos y relaciones);
  2. Debe incorporar los elementos constitutivos de las dinámicas de construcción de conocimiento: observación, medición, deducción, verificación y apreciación;
  3. La presentación debe coincidir con las etapas de desarrollo del estudiantes.
  4. El BM marca distancia con las apuestas por un currículo contextualizado al señalar que “deben evitarse diferentes currículos para diferentes entornos” (BM,1980,p.33).

En cuanto a los medios de comunicación y educación (BM,1980,p.35) postula que la educación a distancia, permite reemplazar ocasionalmente, tanto a docentes como la construcción de instalaciones educativas.

En educación y trabajo, el Banco Mundial (1980.pag.42), distingue un sistema de relaciones expresadas en cuatro categorías. La primera, para promover el crecimiento económico se requiere una mano de obra calificada en manejos técnicos y gerenciales; se debe hacer rápido hoy, lo que dejó de hacerse gradualmente en el pasado, al desengancharse la educación de la aceleración de la innovación. Para ello, sugiere el Banco, se debe determinar el número de habilidades que requiere una economía basada en tecnologías y técnicas, para traducir estos requerimientos en ofertas formativas, en permanente cambio.

Segundo, construir propuestas formativas que permitan disminuir el desempleo.

Tercero, el síndrome de cualificación consistente en la extensión del tiempo de los y las estudiantes para mejorar la formación y las posibilidades de conseguir empleo, en un mundo del trabajo donde crece el desempleo a la par de incrementarse las exigencias de contratación.

Cuarto, recomienda resolver el problema que crea un clima social educativo acogedor en oposición a ambientes laborales que exigen patrones de subordinación, relaciones jerárquicas, cumplimiento estricto de horario de trabajo y la sensación de que prevale el desgaste físico, partiendo que las instituciones educativas deben contribuir a la transición de la esfera formativa al empleo. Esto está muy vinculado a las exigencias de trabajo flexible y transdisciplinariedad, como requerimientos laborales del capitalismo en la tercera revolución industrial.

En el caso de las universidades plantean (BM,1980. Pag.46) la urgencia de potenciar la formación para tecnólogos, investigadores líderes que tengan el conocimiento adecuado y generen procesos para conseguir modernizar el sector. Igualmente proponen que en virtud de la alta tasa de desempleo, la universidad debe fomentar la formación profesional para el trabajo propio, el emprendimiento, la iniciativa individual y la cooperación empresarial (BM,1980,pag.46).

Los ochenta, es precisamente la década en la cual se impusieron reformas escolares que incluyeron la educación para el trabajo y se comenzó a promover la educación universitaria para el emprendimiento, flexibilizando normativas universitarias para facilitar la prestación de servicios a terceros, especialmente sector empresarial, como fuente alternativa de financiamiento.

Ante la tendencia al sostenimiento o crecimiento de la desocupación laboral industrial, empresarial y gubernamental, el Banco Mundial (1980,pag.48) señala la necesidad de repensar la relación de la formación profesional y laboral con los sectores informales de la economía. Para ello, plantean que una estrategia al respecto debe fundamentarse en caracterizar y clasificar al sector según el acceso a tecnologías, productos y sistemas de formación previos. Sugieren la siguiente clasificación:

  1.  el subsector artesanal: poco capital, habilidades manuales aprendidas en largos periodos de tiempo, con presencia importante de mujeres. Cuando escalan a la comercialización, según el BM, requieren desarrollas habilidades en marketing, contabilidad y elevar la educación formal;
  2. el subsector de taller: requiere algún nivel de capital, habilidades manuales muy específicas (carpintería, metalúrgica, albañilería, entre otros), capacidad de adaptación y aprendizaje constante;
  3. el subsector de servicios comerciales: poco capital, gastos operativos manejables y reducido margen de beneficios. Es el sector que el BM (1980) identifica con mayor potencialidad para escalar el emprendimiento, requiriendo formación especializada en contabilidad, inventarios, rentabilidad, procesos de acceso a líneas de crédito, análisis de riesgos empresariales, inversiones de capital, entre otros.

Década de los noventa del siglo XX

En 1990, el Banco Mundial publico el trabajo de Winkler, Donald R. titulado “Higher Education in Latin America. Issues of Efficiency and Equity. World Bank Discusion Papers[39]”, uno de los primeros documentos de este organismo centrados en la educación superior. Ya este autor había publicado con el Banco, otro estudio en 1989 titulado “Descentralización en la educación: una perspectiva económica”. promocionado y difundido ampliamente por el IIPE-UNESCO Paris, en una alianza que cada vez se hace más evidente, entre el Banco Mundial y la UNESCO.

En este documento se organiza las ideas y propuestas en siete agendas:

  1. contexto institucional y políticas públicas en educación;
  2. eficiencia en la asignación de recursos dentro del sector de la educación superior;
  3. eficiencia en la asignación de recursos entre la educación superior y otros sectores;
  4. equidad en la distribución de asignaciones gubernamentales a la educación superior;
  5. fuentes de financiamiento;
  6. problemas educativos y de investigación en el posgrado;
  7. lecciones de la educación superior estadounidense para América Latina.

Hugo Aboites (2012) hizo un análisis de este documento[40] que es referencia internacional sobre todo en materia de medición de la llamada calidad educativa, por lo cual, compartiendo el enfoque y los énfasis de Aboites, me concentraré en otros aspectos complementarios a su análisis.

Sin que el Banco Mundial (1990) defina calidad educativa, usa el término como un comodín y sinónimo de la mejor educación posible, enfatizando en su relación con la eficiencia del presupuesto público en el sector. Evidentemente, lo que subyace es la decisión de impulsar la cultura evaluativa que va perdiendo su razón estratégica de ser un mecanismo para resolver los cuellos de botella que impiden a las universidades acompañar la aceleración de la innovación y cumplir con su tarea de democratizar el conocimiento como centralidad del pacto social educativo, para convertir a la evaluación en factor clave de la reestructuración capitalista del momento.

Desde nuestro punto de vista, uno de los propósitos fundantes de la cultura evaluativa institucional en la educación superior, era atender al desfase entre las dinámicas educativas y los giros económicos, sociales, culturales que imponía la tercera revolución industrial, preocupación nítidamente expresadas en los trabajos de Colleman, Coombs y Faure. Este otro giro en la cultura evaluativa, como lo explica Aboites (2012), tiene mucho más que ver con la crisis de las deudas externas de la década de los ochenta y la reestructuración neoliberal de las economías, que bajo el pretexto de la crisis de eficacia institucional, como discurso instaurado en la década de los ochenta, promueve la disminución de costos en el cumplimiento de derechos fundamentales como la educación por parte del Estado.

 Es decir, la cultura evaluativa fue impulsada para una cosa y el neoliberalismo la re-direccionó para aplicar el ajuste estructural en la educación superior. Por ello, este documento del Banco Mundial es clave para entender esta inflexión y orientación estratégica que influiría de manera importante en las décadas siguientes.

Para introducir la noción de eficiencia en la inversión en educación superior, el Banco Mundial (1990) utiliza la premisa que mientras el crecimiento de la matrícula y la expansión universitaria se ha multiplicado por diez entre 1960 y 1985 el gasto público en educación superior no ha seguido el mismo ritmo. Esto lo plantean como un límite para el derecho a la educación, cuando en realidad expresa la disputa por el presupuesto público entre criterios de agenda social y de reproducción de poder (burocracia central, gasto militar, subsidios al sector privado, rescates bancarios, entre otros).

A partir de este estancamiento de la inversión en educación superior, no plantean metas de incremento, sino un uso “más eficiente del gasto”, que en realidad es una legitimación de la desinversión pública en el sector universitario, que se expresaría en precarización laboral docente, disminución del volumen y ritmo de dotación de laboratorios, equipos e insumos, deterioro de la infraestructura, desactualización científico-tecnológica, entre otros aspectos.

Para desorientar, confundir y frenar las resistencias, complementan el discurso señalando que esta desinversión, fundamentalmente en equipos, contenidos e infraestructura demanda “racionalizar” el presupuesto buscando formas de disminuir el costo de la nómina docente. Es decir, se plantea cubrir progresivamente los costos de los demás elementos de los procesos de enseñanza-aprendizaje universitario disminuyendo la inversión en docencia (salarios, seguridad social, montos de las jubilaciones, programas de actualización e investigación).

Por supuesto, que esta dinámica empalma con el hecho que para ese momento, ya un tercio de las instituciones de educación superior de América Latina y el Caribe eran privadas, lo cual se elevó exponencialmente en las últimas tres décadas. La desinversión sostenida de conjunto, se expresa en una caída sostenida de la inversión pública por estudiante, algo sobre lo cual profundizaremos cuando entremos a analizar, en otro papel de trabajo, la máquina destruye educación superior de la alianza entre UNESCO y el Banco Mundial.

El Banco Mundial plantea que “la política pública debería preocuparse más por mejorar la calidad que por la cantidad de quienes acceden a la educación superior (BM,1990, pag.15), colocando como ejemplo la pluralidad de modelos privatizados de financiamiento que existen en la nación imperialista norteamericana.

El informe del Banco Mundial insiste en lo que había planteado en su documento de 1974, respecto a que una de las vías para hacer más eficiente el costo es incrementar el número de estudiantes por docente (BM,1990, pag. 15). Esto por supuesto reduce las posibilidades de desarrollo de las pedagogías activas, de las propuestas de trabajo didáctico participativo que fomente el pensamiento crítico, creatividad y autonomía cognitiva. La evidencia empírica de quienes hemos trabajado más de cuatro décadas en aulas, es que la asignación de grupos numerosos en el aula promueve el desarrollo de modelos conductistas y reproductores de aprendizaje.  En consecuencia, el Banco Mundial hace ver la exigencia de ampliar la cobertura con incremento del financiamiento como un dejavu fordista[41] , como un paradigma “superado· en medio del auge del toyotismo y la gestión de la calidad total en educación (GCT), mostrando con ello que la apelación a una dinámica calidad-eficiencia es solo una narrativa para introducir la lógica del mercado en la educación superior.

Se plantea que la gobernanza universitaria “sustituya los criterios políticos por los de desempeño” (BM,1990, pag.16), usando la noción de autonomía universitaria para fomentar la confrontación de las casas de educación superior con los gobiernos, al colocar como opuestos los criterios políticos académicos con los de desempeño (Idem).  Muy por el contrario, es fácil distinguir un gobierno neoliberal de uno progresista por el esfuerzo de este último por vincular agenda social (dimensión política) con las metas (desempeño) del sub sistema de educación superior.

Consciente el Banco Mundial (1990) que las exigencias de criterios de “rendimiento eficiente” de los fondos puede ser visto como un ataque, desde afuera a la autonomía universitaria, porque asumirlo implica establecer parámetros desde la externalidad del mercado (estándares y criterios uniformes), plantean que se debe estimular la adopción de estas iniciativas “desde adentro”, por parte de los consejos universitarios y los consejos de rectores. Es decir, el discurso de la eficiencia usado como caballo de Troya para romper con la autonomía universitaria.

El Banco Mundial (1990, pp.17-18) postula la tesis de que el apoyo presupuestario a la investigación universitaria debe estar vinculado a indicadores de desempeño y resultados, siendo estos criterios re-ordenadores de la asignación financiera, tanto a instituciones como investigadores, defendiendo la “igualdad” de trato gubernamental en esta materia, tanto para las universidades públicas y privadas.

Esto es complementario con la tendencia impuesta en la región desde la década de los cincuenta del siglo XX, de crear organismos de ciencia que administran enormes recursos para la investigación, subordinando su asignación a las universidades a que se alineen con las prioridades coyunturales que demanda el modelo de capitalismo dependiente y neocolonial. Hemos señalado en conferencias y charlas, que esto ha constituido un ataque silencioso a la autonomía universitaria, aceptado con pocas protestas por parte de la academia[42].

Además, esta narrativa del Banco Mundial va construyendo la epistemología institucional para el desembarco pleno de la estandarización, la política de los rankings y, de los puntajes por publicaciones en sistemas indexados de clasificación, que va conformando la hegemonía del funcionalismo investigativo que termina arrinconando las humanidades y el pensamiento crítico; es la lógica del STEM y el STEM+A en la educación superior. Por ejemplo, la mayoría de los rankings valoran con un alto rango el número de premios nobel, pero no hay premios Nobel en educación, en consecuencia, de partida el trabajo investigativo que hacen los y las académicos en pedagogía de manera alguna puede tributar a estos rankings, por lo tanto no entran en el rango de “eficiencia” que se va construyendo, ni en las prioridades investigativas de muchos de los organismos nacionales de ciencia, afectando de manera dramática la certificación de producción de conocimiento científico en el sector.

La caracterización que hace el Banco Mundial (1990) es absolutamente funcional a intentar resolver el desfase entre lo que se enseña y la innovación tecnológica, en el marco de economías dependientes y neocoloniales como las de América latina y el Caribe. Por ello, señalan que “la educación superior juega un papel positivo importante en el desarrollo de la economía. Proporciona las habilidades laborales requeridas para economías en vías de industrialización, genera los nuevos conocimientos necesarios para realizar una adaptación exitosa a la innovación tecnológica” (p.19).

La crítica, entre líneas, que hace el Banco Mundial (1990,pag.20) a la Reforma de Córdoba, como punto de partida, de unos procesos de disputa política por el poder dentro y fuera de la universidad, el cual consideran ha afectado la instrumentación de políticas públicas adecuadas, pero ello es en realidad un ataque directo al pensamiento crítico en la universidad Latinoamérica, uno de sus elementos fundantes de identidad. En consecuencia, para el Banco Mundial, la universidad debe concentrarse en ser una institución funcional a la reestructuración capitalista de cada etapa y abandonar el humanismo crítico.

Para el Banco Mundial (1990, p.21) resulta preocupante que en 1980 el 23,5% del presupuesto educativo en América Latina y el Caribe había sido dirigido a la educación superior, lo cual había sido precedido de un incremento sostenido de 14,3% en 1965, a 15,9% 3n 1970 y 23,4% en 1974 (BM,1990, p.23). Sin embargo, la crisis de las deudas externas y el desembarco de la globalización neoliberal, significó un estancamiento de esta tendencia y en algunos casos un significativo retroceso.  El informe del Banco Mundial muestra una caída drástica de presupuesto público por estudiante, en algunos países como Brasil equivalente casi al 50%. La disminución del presupuesto universitario implicó una importante precarización de los salarios y condiciones de trabajo de los y las docentes en términos de la relación del salario con la inflación y los precios reales de los productos de consumo.

La crisis económica de los ochenta implicó un decrecimiento coyuntural de la matrícula en educación superior, mostrando con ello, que una parte importante de quienes van a las instituciones privadas de educación superior son los hijos e hijas de la clase trabajador, los mayores impactados por las crisis económicas.

El estudio del Banco Mundial (1990) muestra con preocupación cómo el cambio de la razón social de la universidad, de institución para formar la élite a la universidad de masas en los ochenta, ha significado un impacto severo en

  1. monto del presupuesto público destinado a la educación superior que sin embargo es insuficiente para atender adecuadamente los requerimientos del sector,
  2. precarización salarial y de las condiciones de trabajo del personal docente, administrativo de la IES,
  3. desinversión por estudiante inscrito.  Esta realidad, que no se contrasta con los apoyos financieros a los bancos y el sector privado, sobre todo en el marco de las crisis de las deudas externas, ni con las exoneraciones de impuesto y la corrupción, entre otros factores, eso sí, lleva al BM apresuradamente a promover la mercantilización, privatización y desregulación de la educación universitaria. Al establecer las comparaciones entre el número de estudiantes de las grandes universidades públicas respecto a privadas, desliza la idea de apoyar con subsidios a las privadas para que asuman parte de la matrícula desbordada en las públicas, para lo cual las pruebas de admisión en las IES públicas, se convierte en un mecanismo funcional a esta lógica.

Sin embargo, reconocen que las universidades privadas enfatizan en carreras que no implican el uso de grandes laboratorios o equipos de prácticas profesionales, lo cuales solo pueden ser adquiridos mediante financiamiento público o transferencia a este sector.

  • Alertan sobre la necesidad de evaluar la calidad de las IES privadas como un mecanismo de eficiencia del sector en su conjunto, pero también como un mecanismo para garantizar el uso adecuado de potenciales subsidios o transferencias del presupuesto público.
  • Ante lo cual postulan que se consolida el discurso de la eficiencia y racionalización del gasto público en educación, con sugerencias que abren las puertas a la lógica del mercado en el sector.
  • Otra sugerencia que dejan deslizar, es que el sector público se encargue de las carreras que implican grandes costes de infraestructura, mantenimiento e insumos mientras las privadas se encargan de las carreras de formación en administración y tareas burocráticas que no demandan esos costes y garantizan una formación de burocracia sin pensamiento crítico.

Muestra el Banco Mundial (1990, p.28) el crecimiento sostenido de la matrícula privada que paso en Latinoamérica y el Caribe de 15,4% en 1960 a 29,6% en 1970, mientras en 1985 alcanzaba el 35.2%. Esto implica que casi 4 de cada diez estudiantes de la región se matriculaban en ese momento en una institución de educación superior privada, mostrando a este sector como un factor a tomar en cuenta a la hora de construir políticas públicas en educación superior. Lo que esconde el Banco Mundial es la campaña sostenida desde la década de los setenta contra la universidad pública en la región, a la par de presentar a las IES privadas como alternativas ya no para la burguesía sino incluso para los hijos e hijas de la clase media profesional y el proletariado asalariado.

En consecuencia, el Banco Mundial sugiere desarrollar políticas públicas de acompañamiento, evaluación de la calidad y financiamiento en los tres tipos de instituciones del sub sistema de educación superior en Latinoamérica y el Caribe que identifican como: “i) dominio público, ii) dominio privado, iii) dominio compartido” (BM,1990, p.28), lo cual implica incentivar la transferencia de recursos públicos, directa e indirectamente, al sector privado, algo que se corresponde al paradigma neoliberal y la globalización económica.

Destaca que mientras en países como Cuba o Uruguay en ese momento la educación pública era hegemónica, en otros como Argentina, Bolivia o Ecuador constituían un sector secundario, mientras en otros como México o Perú la matrícula pública si bien es dominante el crecimiento de la privada se debe a cuestionamientos a la calidad educativa del sector público. Subraya los casos de Colombia y Brasil, donde el sector privado es mayoritario en términos de matrícula, aunque no siempre son identificadas como instituciones de calidad.

Presentan el crecimiento de la tendencia a la matrícula en educación superior como algo inevitable lo cual debe llevar a los Estados a preocuparse por su calidad y el apoyo financiero a las mismas, como un factor significativo del gasto público educativo.

De hecho, al mencionar el caso de Chile le colocan como un ejemplo de sinergias entre sector público y privado, donde ya para ese momento las políticas pinochetistas habían logrado que lo predominante fueran las IES de dominio compartido (público-privado), de tres formas “(i)apoyo institucional directo, (ii) apoyo indirecto en la forma de ayudas económicas a estudiantes, y (iii) apoyo en forma de incentivos para la matrículas a los y las estudiantes con mayores rendimientos en las calificaciones (BM,1990, p. 29), presentando la experiencia como propia de eficiencia y equidad del gasto público, superando las valoraciones separadas entre IES públicas y privadas.

El Banco Mundial (1990) distingue dos tipos de eficiencia: interna y externa. La eficiencia interna la ubican en el uso oportuno de los recursos destinados a las IES maximizados en bienestar social. La eficiencia externa está asociada al impacto de los procesos formativos en las posibilidades de empleabilidad de los egresados (mano de obra calificada).  Identifican como el mayor problema para trabajar la eficiencia, los costos de un egresado de calidad, pero también de los otros productos que genera la universidad (investigación, extensión, posgrado), es decir, considera el Banco Mundial que es urgente trabajar en criterios para determinar la calidad de los productos finales.

En consecuencia, abren camino a la cultura evaluativa como soporte para valorar la eficiencia del gasto público en educación superior.  Asume el Banco Mundial (1990, p.31) las dinámicas detectadas por Carpizo (1985), quien identifica una serie de problemas para alcanzar eficiencia del gasto en las universidades públicas de Latinoamérica y el Caribe:

  1. no existen criterios objetivos para la asignación de recursos a las universidades,
  2. la planificación y evaluación del gasto público no están integradas a la toma de decisiones que hacen las facultades y no existen bases de datos actualizadas sobre flujos, patrones de curso, etc.;
  3. subordinación de los estándares técnicos a criterios políticos;
  4. sistemas de admisión que trabajan en contra de los mejores calificados;
  5. los precarios sistemas de admisión influyen en la repitencia y el abandono de las carreras;
  6. alto ausentismo, preparación inadecuada y fallas en la supervisión  del personal académico;
  7. los salarios bajos del personal docente incentivan que busquen otros empleos complementarios y ello impacta negativamente en el desempeño;
  8. el número de profesores y personal administrativo suele ser más alto que lo requerido y la autonomía universitaria opera como un factor que impide mayores niveles de control. Respecto a las instituciones privadas de educación superior (IES) reconocen que la dedicación a tiempo parcial de profesores impide un mayor desarrollo institucional.

En materia de la relación eficiencia-gobernanza el Banco Mundial (1990, p.32) ve como un problema el surgimiento en algunos países de organismos colegiados de rectores(as) que establecen las orientaciones de políticas públicas en el sector, no siempre en diálogo con los gobiernos. Señalan el caso de ANUIES de México o el CIN de Argentina, este último incluye universidades privadas, como ejemplos de obstrucción de la relación de mando con las universidades. Esto se expresaría luego de manera nítida en la exclusión de esta última instancia de la III Conferencia Mundial de Educación Superior (CMES) algo que abordaremos de manera concreta en otro papel de trabajo de esta serie dedicado a ello y del libro que sobre el particular preparamos. Igualmente, el Banco Mundial (1990) ve con preocupación el establecimiento de consejos universitarios cuyos rectores son electos y una parte importante de los mismos son estudiantes.

Otro aspecto que consideran afecta la relación gobernanza-eficiencia es la descentralización en la toma de decisiones por parte de las facultades, pareciendo proponer mecanismos centralizados de gobierno universitario; les preocupa la autonomía de facultades y departamentos para la toma de decisiones como parte del desarrollo de la autonomía universitaria. En consecuencia, proponen establecer estándares e incentivos unificados para el desarrollo académico, contratación y remuneración del personal, mantenimiento de instalaciones físicas, dotación de laboratorios y bibliotecas, entre otros aspectos. Los incentivos proponen se concentren en prácticas que promuevan la evaluación conforme a estos estándares y sistemas de información, colocando a CAPES[43][i] de Brasil como ejemplo de buenas prácticas de evaluación externa.

La visión empresarial del Banco Mundial, los hace proponer como requisito para optar al cargo de rectores(as) la formación en administración universitaria, un perfil profesional que consideran emergente, cuestionando que se privilegie las habilidades políticas sobre las administrativas. Precisamente la época en la cual se presenta el informe coincide con el paradigma del gerencialismo en la administración pública, de la cual la Quinta Disciplina de Peter Senge[44], fue una de sus expresiones.

En este documento, el Banco Mundial (1990) postula la productividad como criterio de evaluación del sector universitario. “La productividad en educación superior se mide por la relación entre entradas y salidas … productos … cada uno de los cuales se puede medir en términos de cantidad y calidad” (p.35). Según el BM estos productos pasan a ser matrículas (pregrado y posgrado), títulos otorgados, trabajos de investigación y publicaciones, así como proyectos de “servicio público”, que pueden fomentar ingresos adicionales para la IES. Estos productos cuantitativos por si mismos no expresan la calidad que atribuye el Banco Mundial, como valor agregado en términos de conocimiento a los y las estudiantes, por lo cual proponen establecerlo mediante pruebas estandarizadas. Nuevamente la cultura evaluativa constituye un conductor de la lógica del mercado en la educación universitaria.

Más adelante, (BM,1990, p. 43) planteó la necesidad de optimizar la inversión educativa correlacionando número de profesores y personal administrativo por estudiantes universitarios por carreras, pretendiendo estratificar con ello la inversión en la educación universitaria, en la ruta a alcanzar mayor eficiencia administrativa. Sin embargo, lo que ocurrió en realidad fue que, durante la década de los ochenta del siglo XX, disminuyó de manera sensible la inversión pública por estudiante de educación superior.

El Banco Mundial (1990,p.37) establece que la masificación afecta la calidad de los procesos formativos universitarios, planteando la necesidad de hacer mucho más selectivos y limitados los procesos de admisión. Insisten en considerar un despilfarro los sistemas abiertos de admisión, colocando ejemplos a la UNAM de México, institución en la cual entre 1959 y 1983 solo el 27,72% de os estudiantes culminaron sus estudios con la obtención del respectivo título universitario, o el caso de la UBA en la cual indican solo se gradúa 1 de cada diez ingresos, colocando en contraste las cifras de EEUU donde el 60% se gradúa en las universidades públicas y el 80% en las llamadas universidades élites, en ambos casos sometidas a estrictos sistemas de admisión.

No obstante, al citar al ICETEX[ii][45] de Colombia, el propio estudio reconoce el impacto del ingreso familiar en el número de quienes abandonan los estudios universitarios.  Plantea que “se deben utilizar criterios objetivos en la asignación de recursos. Criterios de costo, desempeño, demanda estudiantil y oportunidades de empleo para los y las egresadas(os), lo cual demandará cambios en los sistemas contables internos de cada IES. El énfasis en la empleabilidad como indicador de éxito académico, abriría las puertas para lo que ocurriría en el año 2022 con la III CMES-UNESCO.

En el documento del Banco Mundial (1990), se  insiste en reducir el costo unitario por graduado, para lo cual proponen priorizar la disminución de los factores  que posibilitan las tasas de repetición, especialmente los precarios sistemas de admisión.  En este sentido, propone:

“(i) procedimientos de admisión más selectivos. (ii) mejorar los servicios de asesoramiento vocacional para estudiantes, (iii) elevar los costos de la matrícula en las universidades públicas, (iv) becas y apoyos para que los estudiantes de bajos ingresos se concentren en estudiar y no compartan el tiempo con jornadas laborales, (v) retirar a aquellos estudiantes cuya progresión prevea larga duración para graduarse o que no culminarán estudios (BM,1990,p.49).

El Banco Mundial (1990) promueve pruebas estandarizadas para poder establecer comparabilidad y sistemas de seguimiento que disminuyan costes.

En cuanto a la eficiencia externa, utilizando las técnicas de análisis de costos-beneficios, el Banco Mundial (1990) se plantea dos interrogantes de partida. La primera, si se deben incrementar o disminuir la inversión pública en educación en medio de un contexto de limitados recursos. Segundo, si existen formas de reasignar la inversión pública en educación superior para mejorar su impacto en el bienestar de la sociedad.

Definen que de las tres funciones centrales de la actividad universitaria (docencia, investigación y extensión), la generación de conocimiento derivado de las tres debe incidir en nuevas tecnologías que contribuyan al crecimiento económico.  Esto evidencia la preocupación por empalmar la actividad universitaria con la aceleración de la innovación propia de la tercera revolución industrial, algo que preocupa al sistema capitalista desde la década de los sesenta del siglo XX.

Mientras esto ocurre en la lógica del mercado, desde una parte importante de las resistencias educativas se ha instalado un discurso “alternativo”, anti apropiación del conocimiento científico reciente, contribuyendo con ello a la destrucción de las instituciones educativas públicas construidas sobre el contrato social que demandaba por consenso la democratización del conocimiento.

El Banco Mundial (1990) se adentra en la comparación de los costos de formación para el empleo por parte de la universidad, así como la utilidad del conocimiento generado para el mejoramiento de indicadores económicos.  Esta lógica conduciría en las décadas siguientes, a que sectores importantes del capital comenzaran a pensar en inversión más precisa en formación profesional a menores costos, algo que golpea el concepto de universidad pública vinculada a la ciudadanía crítica, pensamiento contestatario, financiamiento público y reivindicación de la cultura propia, elementos defendidos en la región de Latinoamérica y el Caribe.  Igual ocurre cuando asocia la formación profesional a temas de oferta y demanda del campo laboral, asumiendo que sea el mercado y no la sociedad en su conjunto la que determine las prioridades y énfasis formativo.

Le preocupa al Banco Mundial (1990,p.46) el largo periodo de gestación de un profesional, que incide no solo en los costos de conjunto, sino en las posibilidades de cubrir demandas de periodos cortos por parte del sector empresarial. A esto le llaman efecto “telaraña” que no solo extiende los periodos de formación, sino que ello implica un conjunto de aprendizajes que no consideran vinculados a la demanda laboral directa. Evidentemente se están refiriendo a los contenidos humanistas, de pensamiento crítico y creatividad e intentando que los procesos formativos se circunscriban a los requerimientos del puesto del trabajo.

Este “homus economicus” pretende vaciar de formación crítica y humanista a los futuros empleados. Esta definición la veremos luego defendida en el año 2022, abiertamente por la directora de educación del Banco interamericano de Desarrollo (BID) y en la agenda de la III CMES-UNESCO realizada en Barcelona, en la cual la micro acreditación se asoció a la externalización de la formación para la empleabilidad, reduciendo el papel de la universidad al papel de agencia micro acreditadora y para la certificación de titulación.

En ese mismo sentido, resulta evidente que cuando se aborda los indicadores de eficiencia (BM,1990,p.56) se adentran en terreno fangoso, al interrogarse porque los empleadores no desarrollan propuestas de formación profesional más cortas y menos costosas, ideas que resonaron con fuerza en la III Conferencia Mundial de Educación Superior 2022. Igualmente, cuando plantean la limitada utilidad de los estudios de mercado para explicar la expansión o la contracción de la oferta en educación superior, pretenden mostrar con ello la falta de sincronizad entre el sector empresarial y productivo y, las IES.

Para quienes se especializan en administración educativa desde la perspectiva crítica, resulta interesante los análisis que hace el Banco Mundial(1990,pp.56-57) sobre las “tasas de rendimiento”, “tasas de retorno”, tasas de retorno social” y “tasas de desempleo con título universitario”, para mostrar los límites del enfoque economicista de la educación superior. Estas tasas están sustentadas sobre criterios de empleabilidad, conocimiento científico asociado al modo de producción, retorno de capital a las universidades por venta de servicios, pero desconocen los aportes sustantivos de las IES en la construcción de ciudadanía, la resolución democrática de conflictos, el desarrollo del pensamiento crítico como esfuerzo para sustentar la democracia, el acompañamiento y trabajo con comunidades excluidas, respeto a las diversidades, entre otros aspectos.

Sin embargo, el corazón del análisis del Banco Mundial está en sus propuestas de invertir más en la educación básica y menos en la superior, que abre la puertas no solo a variados modelos de privatización, sino a la sustitución de la universidad como institución que forma a los y las profesionales; de hecho, tres décadas después de este informe, lo que se discutió en la CMES-UNESCO2022 y lo que plantea el Banco Interamericano de Desarrollo (BID), entre otros, es fortalecer la formación profesional corta en las empresas y que las IES se concentren en el desarrollo de micro acreditación de esta formación, evaluación de la calidad, certificación de aprendizajes y titulación.

De hecho, dedican una parte importante del informe a este tema bajo el título “Educación primaria versus educación superior” (BM,1990,p.63). En este caso, mucho más asociado a la casi siempre más baja demanda de puestos de trabajo especializado en contraste con una sobre oferta de profesionales egresados de las universidades, mientras el modo de producción capitalista requiere en ese momento importantes volúmenes de empleo no calificado y expansión del consumo a partir de mayores niveles de educación primaria.

Al Banco Mundial (1990) le preocupa la formación crítica que recibieron muchos egresados, en aspectos, hecho que para el capital no solo, no son necesarios para el funcionamiento y la gestión empresarial, sino que pueden resultar incluso contraproducente, porque propician una perspectiva de clase trabajadora en el mundo del empleo.

En ese sentido, la universidad es valorada por el capitalismo como un lugar que debe limitarse a los aspectos técnicos-administrativos que contiene la demanda laboral o ceder al propio sector empresarial su papel de calificación de la mano a obra. Este tema adquiere especial relevancia en la perspectiva neoliberal de la economía educativa a partir de la crisis de la deuda externa y de las economías de Latinoamérica en las décadas de los ochenta y noventa del siglo XX.

El Banco Mundial (1990) plantea como un problema, marcos constitucionales que en ese momento contemplaban un aporte determinado para la educación superior, lo cual implicaba un compromiso de inversión en educación superior, algo que a juicio del Banco Mundial (1990) había que modificar.

El Banco Mundial (1990,p.64) utiliza la noción de tasas de retorno para plantear que la universidad debe redistribuir sus recursos favoreciendo de manera sostenida aquellos perfiles profesionales que demanda el mundo del empleo, es decir el modo de producción capitalista. Aunque no lo mencionan de manera explícita, esto supone un ataque directo a la formación humanística y crítica en general, pero muy particularmente a los perfiles profesionales que no encajan en la perspectiva burocrática funcional del Estado o de la producción de mercancías. Desde el campo de la planificación de tipo socialista este es un tema que no le es ajeno, sin embargo, en Cuba, que tiene un sistema de planificación centralizada no centra su inversión en educación superior con base a empleabilidad, sino a desarrollo social integral.

La posición del Banco Mundial (1990,p.66) contra la autonomía es clara.  Al considerar como un problema las decisiones internas de las universidades en materia presupuestaria, que no siempre se corresponden a las necesidades del entorno industrial y del modo de producción capitalista en su conjunto, proponen la creación de IES, especialmente tecnológicos, cuyos procesos de toma de decisión están influenciados o supeditados a las instrucciones de los ministerios de educación, resultando estos ser por lo general más sensibles a las presiones del empresariado y el mercado por encima de los intereses ciudadanos.

Sugiere además el Banco Mundial (1990), que al ser los temas de formación tecnológica de punta muy costosos por los equipos y sistemas que requieren, favorece la subordinación institucional de estas IES (tecnológicos) al gobierno central, pues eso posibilita que el presupuesto se utilice en ello y en escalar la formación que demanda el mercado laboral. Es decir, el sector que demanda mayor inversión (tecnológico) sugiere permanezca con financiamiento y tutela pública, mientras aquellos que no requieren grandes inversiones, pero si generan ganancias importantes se privatice.

Al mismo tiempo, plantean la urgencia de establecer diferenciación de escalas salariales entre profesores que forman para el complejo industrial y la renovación tecnológica, respecto a aquellos que se concentran en la formación humanística, creatividad, desarrollo integral de la personalidad y pensamiento crítico.

Sugieren una nueva arquitectura institucional universitaria mucho más ágil y adaptativa a la aceleración de la innovación y el impulso vertiginoso de la tercera revolución industrial. Por ello, insistimos en que lo visto en Barcelona, en el marco de la III CMES.UNESCO, no es nada novedoso, sino la culminación de un proceso de convergencia de las líneas maestras del Banco Mundial con las de la UNESCO, pero sobre este último organismo multilateral y lo ocurrido en Cataluña volveremos en el papel de trabajo dedicado exclusivamente a este tema.

El Banco Mundial (1990) apuesta por un marco de estudios generales, de “tronco común” entre las distintas carreras, para facilitar el cambio de carreras con el menor costo posible. En realidad, esta propuesta procura obligar a definir tiempo y materias específicas de cada formación profesional, que posibiliten la transición hacia propuestas de carreras cortas que puedan desechar paradójicamente una parte importante de ese tronco común. Esta separación entre estudios generales y formación profesional ha permitido en la actualidad (tercera década del siglo XXI) fundamentar las iniciativas de formación profesional corta, ejecutada por el propio empleador, paradigma en el cual comienzan a converger públicamente el Banco Mundial, el BID, Santander Universidades y la UNESCO; entre otros sectores del capital.

Este elemento, señala el Banco Mundial, incide en la valoración potencial de las IES como sujetas a contrato particular para programas de formación requeridas por el sector empresarial, industrial e incluso burocrático del Estado. Se trata de un discurso funcionalista de la educación superior que ya tenía expresiones concretas en las décadas precedentes, pero que a partir de ese momento comienza a tomar cuerpo como modelo de externalización del trabajo académico. Muchas de estas labores no se realizan por los circuitos acostumbrados de la institucionalidad, sino que se hacen a través de fundaciones y corporaciones privadas, que, aunque aparecen adscritas a las IES tienen características autónomas de diferente tipo.

El Banco Mundial (1990,p.69) considera que es un problema la percepción ciudadana del sistema educativo, como un sector orientado a beneficiar a los grupos de menores ingresos, hecho que termina convirtiéndose en promoción del acceso universal, ya que esto promueve un acceso igualitario a estudiantes incluidos en un rango muy amplio, lo cual puede generar problemas de inclusión no fundamentadas en productividad, nivel de ingresos socio económicos, entre otras variables de descarte. El BM lo que trata en realidad es de construir argumentos de “sentido común” para promover el cobro diferenciado de matrículas, aranceles, accesos a laboratorios, etc, que no es otra cosa que un esfuerzo de privatización progresiva de lo público.

Plantea el Banco (1990,p.70) que el origen social y los trabajos de los padres (manual, administrativo, profesional, burocracia) incide de manera muy importante en el perfil de los estudiantes que se matriculan y en su orientación a la formación profesional. Lo presenta como un tema de “imitación” o de “peso del entorno”, cuando en realidad, como lo demostró Bourdieu, en las estrategias de reproducción social (2012)[46], se trata de un tema de capital cultural, pero también de la necesidad que tienen los hijos e hijas de las clases explotadas de entrar más rápido al campo laboral para contribuir al sustento familiar o la propia sobrevivencia.

Para mejorar el acceso equitativo y la calidad de la educación, el Banco Mundial (1990,p.83) propone “introducir precios para la educación superior partiendo de los ingresos” del núcleo familiar de los y las estudiantes. Postulan que “tarifas supeditadas a los ingresos para la educación superior pública reduciría el volumen de subvenciones recibidas por los grupos de altos ingresos y mejoraría la equidad en la distribución de estas subvenciones” (BM,1990,p.83). El financiamiento público pretenden orientarlo a subsidios para pagos de matrícula, no solo en el sector público sino también en el privado, los cuales pueden ser entregados al trabajador o a la institución donde se matricule, derivando en un drenaje de recursos públicos al sector privado, pero también en una forma de apropiación del presupuesto educativo por parte del sector privado.

A lo interno de las universidades el Banco plantea discriminar y precisar los beneficios pecuniarios y no pecuniarios que genera la universidad. Evidentemente esto no lo hace para resaltar el impacto en la transformación de comunidades, ni la construcción de ciudadanía crítica, sino para que se vaya ampliando el rango de los beneficios económicos, directos e indirectos, que potencialmente la universidad puede capitalizar. Es decir, convertir a la universidad en una empresa. Ello coincide con la proliferación de empresas, fundaciones, sociedades mercantiles y otras formas empresariales que hacen vida en la academia, especialmente desde la década de los noventa.  A ello se le suma que el Banco considera necesario el cobro de matrículas y aranceles en las universidades públicas, como un tema de cofinanciamiento ante la creciente desinversión pública en el sector en relación al número de estudiantes que atiende. Plantean construir una política de precios respecto a los servicios y productos que puede presentar la universidad, no solo como resultado de investigación, formación y extensión contratada, sino redimensionando con criterios de marketing librerías, cafeterías, residencias estudiantiles, entre otros.

El Informe del Banco Mundial (1990,p.112) fundamenta sus sugerencias en torno a la reorientación de la investigación universitaria, a partir de una apropiación sesgada de los debates ocurridos en la reunión de las Academias Latinoamericanas de Ciencias (ACAL) de Chile en 1984 y  Segal (1987).  En consecuencia, enumeran los factores que según su criterio, afectan negativamente el desarrollo sostenido de la ciencia (+D) en las universidades:

(i) énfasis en las titulaciones universitarias,

(ii) limitada experiencia investigativa de los docentes que laboran en el posgrado,

(iii) carencia de comunidades latinoamericanas de intercambio de procesos y resultados de investigación,

(iv) fuga de cerebros hacia los países altamente industrializados,

(v) falta de mecanismos de diálogo permanente entre el sector productivo y las comunidades científicas de las universidades,

 (vi) incomprensión gubernamental sobre el potencial de la investigación universitaria.

Ya en los noventa, el Banco Mundial  (1990.pp.112-113) muestra como la mayor inversión en Investigación y Desarrollo (I+D) se realiza en tres países (Argentina, Brasil y México), tendencia que aún hoy en día se mantiene.

Paralelo a la presentación de este informe se realizaba la Conferencia Mundial de Educación para Todos realizada en Jomtien, Tailandia, algo sobre lo cual hemos escrito en otros textos, para mostrar los distintos procesos de convergencia de la agenda UNESCO con la del Banco Mundial.

En el año 1995 el Banco Mundial publica su trabajo “La enseñanza superior: las lecciones derivadas de la experiencia[47]”, en la cual reitera y amplía orientaciones, así como incorpora nuevas propuestas para el sector universitario, complementado su perspectiva sobre la educación primaria (1992) y la educación técnica y profesional (1992); en 1994 publicaría otro complementario denominado “Mejoramiento de la calidad de la educación primaria en América Latina y el Caribe: Hacia el siglo XXI[48]”, el cual abriría una línea de financiamiento con el mismo nombre.

En el documento del Banco Mundial (1995) se analizan seis grandes temas:

  1. retos y limitaciones (crisis de la enseñanza superior, estrategia de reforma);
  2. mayor diferenciación de las instituciones (objetivos institucionales, desarrollo de instituciones no universitarias);
  3. diversificación del financiamiento de las instituciones estatales y adopción de incentivos para su desempeño (movilización de financiamiento privado, apoyo financiero para estudiantes necesitados, asignación y utilización eficiente de los recursos);
  4. redefinición de la función de gobierno (establecimiento de un nuevo marco coherente de políticas, mayores usos de incentivos para aplicar las políticas, mayor autonomía y responsabilidad de las instituciones públicas);
  5. enfoque de calidad, la adaptabilidad y la equidad (mejoramiento de la calidad de la enseñanza y la investigación, receptividad a la evolución de las exigencias económicas, en pos de la equidad);
  6. lecciones para el Banco Mundial (lecciones extraídas de la experiencia, pautas para el financiamiento en el futuro, el apoyo a las reformas de políticas sectoriales, desarrollo de la capacidad institucional, mejoramiento de la calidad).

Este documento construye una propuesta de ruta para la toma de decisiones de los gobiernos en el sector universitario, que constituye un marco de referencia para el acceso a financiamientos multilaterales en el sector, por lo cual veremos su énfasis.

Desde el comienzo, en la propia introducción, el Banco Mundial plantea que el papel de las universidades es “educar a los futuros dirigentes y preparar las capacidades técnicas de alto nivel que constituyen la base del crecimiento económico” (BM,1995,p.vii). Es decir, coloca a las universidades al servicio del complejo industrial, la economía y la aceleración de la innovación, desconociendo sus aportes a la construcción de democracia, inclusión, ciudadanía critica, desarrollo humano integral, entre otros aspectos.

Para el Banco el papel de las universidades debe ser estructuralmente funcional al mercado, consumo y producción de conocimiento para la mejora incesante del modo de producción capitalista.

En cuanto a los retos y limitaciones, el Banco Mundial (1999,p.2) identifica:

  1. la necesidad conservar o mejorar la calidad de la enseñanza superior mientras disminuye la inversión por estudiante,
  2. seguir formando el talento humano conforme a las oportunidades de empleo mientras crece el desempleo de los profesionales clásicos en los países desarrollados

En 1996, el Banco Mundial presenta su informe “Prioridades y Estrategias para la Educación[49]” dividido en tres partes:

  1. la experiencia acumulada y las tareas para el futuro (educación y desarrollo, crecimiento económico, mercado laboral, reducción de la pobreza y salud), logros y problemas (acceso, equidad, calidad, demora en las reformas, escasez de datos), financiamiento público (razones, distribución desacertada, gasto público no equitativo, aumentar la eficiencia y equidad,), mejoramiento de la calidad (normas, insumos, flexibilidad);
  2. seis reformas esenciales: más prioridad para la educación, atención a los resultados (establecer y vigilar las prioridades públicas, normas y vigilancia del desempeño), inversión (focalización en la educación básica, precios para la educación pública, prioridades del gasto público, sostenibilidad), atención a la equidad (medidas financieras y especiales), participación familiar (gestión, elección del centro educativo, riesgos), autonomía (administrativa, financiera, riesgos);
  3. contexto social y político de los cambios, así como evolución en la políticas del Banco Mundial para la educación.

Si bien este informe no es dedicado a la universidad, sino a la educación en su conjunto, su análisis nos permite leer entre líneas, las vinculaciones de las orientaciones del organismo para las IES.

Para el Banco Mundial priorizar a educación temprana, es una forma de promover la desinversión en educación superior, ya que para este organismo “el financiamiento público de la educación resulta cada vez más difícil a medida que aumenta la matrícula” (BM, 1996, p.4) y por ello proponen subsidios a la gestión privada de la educación superior (Idem).   Pero en realidad, lo que quiere es sacr de la esfera de lo público a las universidades y subordinar su trabajo a los requerimientos empresariales y del modo de producción capitalista.

Puntualiza el BM (1996) que “la existencia de … universidades privadas promueve la diversidad y proporciona una competencia útil para las instituciones públicas” (BM, 1996, p.77).

Al señalar la inversión en educación superior es ineficiente, proponen para solucionarla, ir progresivamente estableciendo mecanismos que permitan “cobrar derechos al alumno[50], ya sea con cargo al ingreso familiar actual o con cargo a los ingresos futuros mediante un plan de préstamos o a través del sistema tributario” (BM, 1996, p.79)

En “El desarrollo en la práctica: Prioridades y Estrategias para la educación[51] (1996), donde se actualiza el Documento de Política sobre Educación de 1980, el Banco Mundial plantea que “el rápido aumento de los conocimientos y el ritmo de cambio de la tecnología … han determinado dos prioridades fundamentales para la educación; ésta debe atender a la creciente demanda por parte de las economías de trabajadores adaptables, capaces de adquirir sin dificultad nuevos conocimientos y debe contribuir a la constante expansión del saber” (BM, 1996, p.1).

Para justificarlo señalan que quienes llegan actualmente a la educación superior son los hijos de quienes tienen mejores ingresos económicos y los fondos públicos deben dirigirse a los primeros niveles, mientras se debe cobrar matrícula, aranceles y mensualidades a quienes llegan a las universidades, pero también a quienes pueden pagar la educación primaria y secundaria.

La promoción de la privatización se hace con argumentos de defensa de la equidad de acceso y mantenimiento de los hijas e hijas de los más pobres en los primeros niveles del sistema escolar. De hecho, el mismo informe reconoce que en la década de los ochenta ya se había reducido la inversión real en la enseñanza superior (BM, 1996, p.7) En consecuencia proponen: a) normas, b) insumos, c) flexibilidad, d) priorizar las reformas y e) prestar atención a los resultados.

Las normas, proponen que enfaticen en las asignaturas principales (STEM), con propósitos de rendimiento claro (supra curriculares). Los insumos los definen en:

  1. capacidad de aprender,
  2. planes de estudio cada vez más abiertos,
  3. docente con capacidad real de enseñar,
  4. tiempo,
  5. los materiales de enseñanza que se requieren en cada tiempo histórico.

Plantea el BM 1996), “el cobro de derechos se justifica en las instituciones públicas de educación superior. También es aceptable la eliminación de los subsidios para cubrir costos no educacionales, como el alojamiento y la comida de los estudiantes, excepto en los casos en que los sistemas de impuestos sobre la renta son muy progresivos o incluyen impuesto a los graduados; cualquiera de estos sistemas puede permitir recuperar los costos de la enseñanza superior a partir de los ingresos a lo largo de la vida”. (BM, 1996, p.121).

Promueve además, el fomentar la autonomía funcional y administrativa a las universidades permitiéndole  captar fondos (locales, del sector privado, por ventas de servicios o cobros de derechos a estudiantes), conservar y administrar estos ingresos según las prioridades de cada institución (BM, 1996, p. 148), por lo tanto –agregan- “en la enseñanza superior los beneficios de esta autonomía son evidentes” (BM, 1996, p.150)

En el citado estudio, el Banco Mundial (1996) insiste en la tesis que venía manejando de establecer una Tasa de Rentabilidad de la educación (BM, 1996, p.22), además de plantear que las universidades deben tomar en cuenta para sus diseños profesionales los conocimientos y demandan los y las estudiantes.

Destaca en el Informe que durante la década de los ochenta del siglo XX, los préstamos para la educación superior  otorgados por el multilateralismo y las bancas de desarrollo alcanzó el 36% de lo destinado a educación, con énfasis en la formación de profesionales y técnicos para la economía, especialmente de universidades agrícolas, luego decayeron en un 26% porque fueron reorientados a las instituciones de investigación científica avanzada, intentando acoplar las universidades a la aceleración de la innovación y las demandas que ello generaba en el modo de producción capitalista.

En las últimas décadas el Banco Mundial ha promovido una política de priorizar la inversión en la educación temprana[52],  considerando que la educación universitaria es una mercancía sujeta a las leyes de la oferta y la demanda, que requiere cultura de emprendimiento y formación financierapara fortalecer su desarrollo como un servicio[53] con cuatro prioridades[54]:

  1. diseñar políticas educativas exitosas comparables internacionalmente,
  2. fortalecer sistemas de información y control,
  3. fortalecer las estructuras institucionales, 4) fortalecer la gestión educativa formando a quienes dirigen las instituciones).

En ese sentido prioriza los perfiles de egreso en STEM, la implementación de currículo flexible, la estandarización y cultura evaluativa (fomento a los rankigs.

Algunas siglas:


[1] Papel de trabajo elaborado desde el Observatorio Internacional de Bancas de Desarrollo, Organismos Multilaterales, Corporaciones Tecnológicas y Filantropía del Centro Internacional de Investigación Otras Voces en educación para el GT-CLACSO “Capitalismo digital, política educativa y pedagogías críticas”

[2] Doctor en Ciencias Pedagógicas. Representante de Venezuela ante el Comité Directivo de CLACSO. Coordinador del Grupo de Trabajo (GT) CLACSO sobre capitalismo digital, política educativa y pedagogías críticas 2023-2025.  Director de investigación del Centro Internacional de Investigación Otras Voces en Educación. Luisbonillamolina.62@gmail.com    contacto@luisbonillamolina.com

[3] Creada en 1960 para el fomento del desarrollo de los países más pobres, hace prestamos concesionarios, con plazos de reembolso a 30-40 años y trabaja temas de deuda multilateral.

[4] https://aif.bancomundial.org/es/ida

[5] Se encarga del financiamiento a los países en desarrollo y su cartera está destinada exclusivamente al sector privado.

[6]https://www.ifc.org/wps/wcm/connect/Multilingual_Ext_Content/IFC_External_Corporate_Site/Home_ES

[7] creado en 1088 en el marco de la globalización, orientado a promover la inversión extranjera en los países y ofrece seguros para inversores contra riesgos políticos.

[8] http://www.miga.org/

[9] Dedicado a la conciliación y el arbitraje para resolver controversias entre inversores o entre estos y los países.

[10] https://icsid.worldbank.org/

[11] Ofrece financiamiento a gobiernos de países de bajo y medio ingreso

[12] https://www.bancomundial.org/es/who-we-are/ibrd

[13]https://documents1.worldbank.org/curated/en/149071468338353096/pdf/729770WP00PUBL0ector0working0papers.pdf

[14] Fue director del programa de educación de la Fundación Ford, subsecretario de educación y cultura en EEUU en 1961. Co-fundador del Instituto Internacional de Planeamiento Educativo (IIPE) fue su director entre 1963-1968

[15] https://unesdoc.unesco.org/ark:/48223/pf0000075799

[16] https://pdf.usaid.gov/pdf_docs/PNAAR713.pdf

[17] El aprendizaje programado lo definen como “un método para organizar el contenido de un curso en pasos progresivos para permitir que un estudiante proceda a su propia velocidad con un mínimo de orientación por parte del profesor” (Banco Mundial, 1971, p.21)

[18]https://documents1.worldbank.org/curated/en/868961468741007167/pdf/multi-page.pdf

[19] Esto debe aclararles a quienes desde la teoría crítica intentan oponer pertinencia a calidad, como si la pertenencia no hubiese tenido una operación para resemantizar su esencia y colocarla al servicio de la lógica del mercado. Como hemos insistido en nuestros trabajos calidad y pertinencia son las dos categorías esenciales de la cultura evaluativa en educación que ha desarrollado el capitalismo desde la tercera revolución industrial.  Si el argumento de quienes oponen pertinencia a calidad es que defienden una pertinencia distinta a la del Banco Mundial, entonces tendríamos que construir una definición propia de calidad para hacer trabajo contrahegemónico pues el termino calidad ya ha construido hegemonía social y educativa.

[20]https://drive.google.com/file/d/0Byhtrdi1KzqBRmdDQlhfM3NLeDA/view?resourcekey=0-S8ipvya7I3gSmpTY5-oYMQ

[21]https://www.berrigasteiz.com/monografikoak/inklusibitatea/pubs/unesco_aprender%20a%20ser.pdf

[22]https://documents1.worldbank.org/curated/en/982991468181754395/pdf/99910PUB0FRENCH0Box53848B01PUBLIC1.pdf

[23] En ninguna medida es una crítica al paradigma postcolonial, del cual formo parte, sino un cuestionamiento a quienes, escudándose en este campo, terminan desestimulando a la clase trabajadora para que sus hijos accedan a la formación profesional, ubicándose en la misma línea excluyente del Banco Mundial.

[24] La radio era el medio de comunicación más extendido en ese momento, mientras la televisión comenzaba a penetrar en los sectores populares. La internet no había aparecido socialmente hablando.

[25]http://biblioteca.udgvirtual.udg.mx/jspui/bitstream/123456789/3788/1/Taxonom%C3%ADa_Bloom.pdf

[26] Bloom, B y colaboradores (1956) Taxonomía de los objetivos de la educación: la clasificación de las metas educacionales. Primera edición en español. Editorial El Ateneo. Argentina

[27]https://documents1.worldbank.org/curated/en/366981468182955979/pdf/PUB268000REPLA000PUBLIC00Box114061B.pdf

[28] Programa Internacional de Evaluación de los Alumnos

[29] Laboratorio Latinoamericano de Evaluación de la Calidad Educativa

[30] Primer Estudio Regional Comparativo en Educación

[31] Segundo Estudio Regional Comparativo en Educación

[32] Tercer Estudio Comparativo en Educación

[33] Estudio Regional Comparativo en Educación, o cuarto estudio regional

[34] Science/Ciencia, Technology/Tecnología, Engineerin/Ingieneria y Mathematics/Matemáticas

[35] https://www.nsf.gov/

[36] https://www.bigideasfest.org/content/georgette-yakman

[37] los interesados en conocer más de este tema pueden leer “La crisis sanitaria del COVID-19, educación y Universidad” (Bonilla, L, 2020) disponible en https://luisbonillamolina.com/2020/11/09/la-crisis-sanitaria-del-covid-19-educacion-y-universidad/

[38] https://www.shanghairanking.com/rankings/gras/2021

[39] https://files.eric.ed.gov/fulltext/ED320484.pdf

[40] https://www.clacso.org.ar/libreria-latinoamericana/pais_autor_libro_detalle.php?id_libro=676&campo=autor&texto=562&pais=6

[41] Ver Bonilla, Luis (2022) Modelos de administración educativa en Latinoamérica: de la emancipación a las nuevas formas de pérdida de soberanía. Disponible en https://luisbonillamolina.com/2022/03/04/los-modelos-de-administracion-educativa-en-latinoamerica-de-la-emancipacion-a-las-nuevas-formas-de-perdida-de-soberania/

[42] Esperemos poder desarrollar en los próximos meses un papel de trabajo sobre los organismos nacionales de ciencia y tecnología como instrumentos que operan contra la autonomía universitaria.

[43] CAPES: creado en Brasil en 1951 por Antonio Teixeira, desde 1976 ha concentrado una parte importante de su esfuerzo a la evaluación de los programas de postgrado. Sitio web actual https://www.gov.br/capes/pt-br

[44]http://gerenciaestrategica.pbworks.com/w/file/fetch/55691078/la%20quinta%20disciplina%20%20peter%20senge.pdf

[45] Con setenta años de experiencia es actualmente una de las experiencias más significativas de crédito educativo universitario   Sitio web https://web.icetex.gov.co/portal

[46] Edición de 2012, de Siglo XXI, de la obra de Bourdieu sobre estrategias de reproducción social.

[47]https://documents1.worldbank.org/curated/en/274211468321262162/pdf/133500PAPER0Sp1rior0Box2150A1995001.pdf

[48]https://documents1.worldbank.org/curated/en/606661468016241604/pdf/WDP2570SPANISH.pdf

[49]https://documents1.worldbank.org/curated/pt/715681468329483128/pdf/14948010spanish.pdf

[50] Matrícula, mensualidades, servicios, aranceles, derecho de grado

[51]https://documents1.worldbank.org/curated/pt/715681468329483128/pdf/14948010spanish.pdf

[52]https://documents1.worldbank.org/curated/pt/715681468329483128/pdf/14948010spanish.pdf

[53] https://www.bancomundial.org/es/topic/education/brief/education-management

[54] https://www.bancomundial.org/es/topic/education/brief/education-management


[i] CAPES: Coordinación de la formación del personal de nivel superior del Brasil

[ii] ICETEX Instituto Colombiano de Crédito Educativo y Estudios Técnicos en el Exterior – ICETEX

El Banco Mundial en la educación superior (1962-2000)

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México: Conferencia del Dr. Luis Bonilla_Molina «Formación Docente y Educación: Ideas para el siglo XXI»

Redacción: Prensa OVE

Este 27 de Octubre de 2018, el Dr. Luis Bonilla_Molina, candidato a la Secretaría Ejecutiva de CLACSO,  impartirá la Conferencia  «Formación Docente y Educación: Ideas para el siglo XXI». La misma se realizará en la Universidad Pedagógica Nacional Unidad 162, en la ciudad de Michoacan-México, de  10:00  a 11:00 hrs. Entrada gratuita

 

 

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