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Perché l’insegnamento della letteratura dovrebbe guardare al presente

Italia / 14 aprile 2018 /thesubmarine

tutte le illustrazioni da “Una Grande Esperienza di Sé,” edizioni Pearson

C’è un problema generalizzato nell’insegnamento della letteratura alle superiori, un inghippo che trova le sue radici nella tradizione e nelle norme didattiche.

Alle superiori studiare letteratura significa, in certi casi, imparare a memoria le date importanti, leggere i testi, capire cosa sia una allitterazione, cosa una anafora e cosa un poliptoto, carpire qualche informazione sulla vita dell’autore e sapere la differenza tra pessimismo storico e pessimismo cosmico — appurando tragicamente che l’unica via è quella di impararselo a memoria. Uno studio tecnico, il cosiddetto compitino.

Non è così in tutte le scuole superiori, ovviamente. Esistono insegnanti magnifici, capaci di conquistare l’attenzione degli studenti, capaci di andare al di là del manuale, al di là del programma. Esistono studenti appassionati, partecipativi, curiosi, disposti ad approfondire anche da soli. Esistono, certo, ma non rappresento la norma.

Sicuramente nelle scuole c’è un problema di tempo, di direttive ministeriali. Spesso i magnifici insegnanti di cui sopra si scontrano con un uditorio di magnifici menefreghisti a cui di Dante frega esattamente zero, e spesso, invece, studenti interessati si trovano davanti un professore che si accontenta di insegnar loro il minimo indispensabile. È ovvio, poi, che, a seconda dell’indirizzo della scuola, i programmi prevedano più o meno ore destinate all’insegnamento  della letteratura, e, di conseguenza, un approfondimento più o meno vasto — ai classici ci si aspetta che le humanae litterae siano la fissa assoluta degli studenti (spoiler: non lo sono), agli istituti tecnici un po’ meno (spoiler: talvolta è un pregiudizio).

Al di là di ogni premessa, pare esserci un problema generalizzato nell’insegnamento della letteratura alle superiori, un inghippo che trova le sue radici nella tradizione e nelle norme didattiche.

“Credo che un autore di antologie e manuali abbia una grande responsabilità. Il canone si fissa quando a un autore viene concesso di uscire dalle aule universitarie e di arrivare non solo ai ragazzi, ma anche i professori.” ci spiega Alessandra Terrile.

Nel 2016 Claudio Giunta aveva denunciato l’eccessivo tecnicismo dei manuali di letteratura per le superiori, scritti in un idioma astruso da lui definito “scuolese,” infarciti di commenti pedanti ed esercizi meccanici.

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illustrazione Lorenzo Mattotti

La letteratura intesa come un insieme di norme, di formule, di figure retoriche, di definizioni. L’approccio analitico al testo, da sezionare come in un’autopsia. Le rime, il metro. il discorso diretto, quello indiretto. Sono tutte conoscenze fondamentali, imprescindibili per un corretto studio della letteratura, il problema sorge quando la letteratura diventa solo norma, solo definizioni, solo concetti imparati a memoria. Quando l’analisi di un testo poetico diventa Il compitino.

Francesco Rocchi, in un intervento sul medesimo argomento, concorda con Giunta, facendo però notare come, per molti studenti, lo studio della letteratura sia ben lontano dall’essere una priorità, e bisogna dunque trovare dei surrogati che inducano un adolescente a tenere il naso sul libro. In altre parole, prese in prestito dallo scuolese, “il materiale va didattizzato”, nel bene o nel male.

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illustrazione Lorenzo Mattotti

I metodi d’insegnamento tradizionali, di per sé non erronei, sembrano soggetti a una sorta di perpetuo immobilismo, esclusi a priori da qualsiasi possibilità di mutamento: a me la letteratura è stata insegnata così, con questi termini e queste immagini, e io così la insegno a te. Occhi rivolti al passato, senza pensare al presente.

Come spiega Rocchi, per gli insegnanti oggi si apre grande sfida: quella di pensare a come modificare la propria didattica — non semplificarla, ridicolizzarla, appiattirla, semplicemente modificarla. Nessuno chiede di spiegare Foscolo attraverso i testi di Sfera Ebbasta (inutile dire che sarebbe bellissimo), ma semplicemente di ricordare cosa rende la letteratura immortale, e provare a spiegarlo. Magari non in tutte le situazioni è possibile, ma dove c’è del terreno fertile magari una o due piantine crescono, non si sa mai.

Il conservatorismo non si limita solo a come la letteratura viene trattata, ma anche agli autori scelti. Esistono indicazioni ministeriali ben precise, atte a standardizzare i programmi e, soprattutto per quanto riguarda la letteratura pre-novecentesca, il percorso è quasi obbligato: si possono operare piccole modifiche, trattare più o meno dettagliatamente un determinato autore, magari introdurre qualche nuovo nome, ma, come nota Giunta, il margine di manovra non è ampio. In primis perché la tradizione è reputata intoccabile, in secundis perché, di norma, i dirigenti scolastici non sembrano troppo aperti alla novità.

Il canone letterario è da sempre una brutta bestia. Citando Romano Luperini, il famigerato canone “indica la tavola dei valori prevalente. Essa si traduce poi nell’elenco dei libri di cui si prescrive la lettura nell’ambito delle istituzioni educative di una determinata comunità”. Tale tavola dei valori varia a seconda dei secoli e delle comunità, con il mutare del gusto e delle esigenze culturali. Riflette, e aggiorna ininterrottamente la memoria storica di un popolo, una memoria irrimediabilmente selettiva.

illustrazione Lorenzo Mattotti

illustrazione Lorenzo Mattotti

Il punto è che la presunta l’oggettività del canone letterario non è altro che il prodotto di una selezione avvenuta nel tempo. Sempre citando Luperini, “la letteratura non è trasmissione inerte di una unica tradizione, ma una sede di conflitti e di contraddizioni: in essa e attraverso di essa si svolge una lotta per l’egemonia che investe temi e contenuti ideologici, tendenze e movimenti letterari, soluzioni di stile e di gusto e anche scelte di politica culturale in cui si riflettono precisi rapporti di potere”.

In parole povere: se studiamo un autore piuttosto che un altro è perchè, storicamente, quell’autore è stato considerato non migliore ma più in linea con il canone, più canonico. Petrarca per secoli ha oscurato Dante. L’autore imprescindibile per i romantici era Torquato Tasso, genio folle e malinconico. La tavola dei valori varia nel tempo, e la fortuna di un autore ne dipende tantissimo.

Il canone trascina con sé alcuni spettri e ne lascia altri nell’ombra. Un esempio lo fornisce Giunta, raccontando di quando, durante la compilazione del suo manuale, qualcuno gli aveva suggerito di aggiungere Federico Della Valle, autore piemontese seicentesco. Perchè mai inserire Della Valle, autore secondario che, onestamente, non aggiungeva nulla di più all’opera di altri?  La risposta è semplice e annichilente:

“Un secolo fa, Benedetto Croce ha riscoperto questo scrittore, contemporaneo di Shakespeare, di Lope de Vega, e da allora, nei manuali, Della Valle è servito soprattutto per riempire una casella che era rimasta vacante, quella del grande tragediografo italiano nel secolo europeo del teatro”.

Benedetto Croce. Un secolo fa.  Giunta si è rifiutato di inserire Della Valle, e i suoi studenti gli saranno certamente grati — senza offesa per Della Valle, si intende.

Particolarmente interessante è poi il discorso inerente al canone letterario novecentesco, molto più labile, meno fisso, in continuo aggiornamento. Anche in questo caso, sia per la poetica che per la narrativa, ci sono i nomi imprescindibili: a cavallo del secolo Giovanni Pascoli e Gabriele D’Annunzio, poi Luigi Pirandello, e Giuseppe Ungaretti, seguiti da Italo Svevo, Eugenio Montale, Umberto Saba, Carlo Emilio Gadda, Alberto Moravia. In chiusura Cesare Pavese, Italo Calvino, Primo Levi, Beppe Fenoglio. Per i più valorosi Vittorio Sereni e Giorgio Caproni.

Ovviamente, il più delle volte è già tanto se si arriva a Umberto Saba. Il tempo per il Novecento risulta sempre risicato, eppure è (per ovvi motivi) il secolo che più affascina gli studenti.

illustrazione Arianna Favaro

illustrazione Arianna Favaro

Spesso vengono dati da leggere libri di autori Novecenteschi negli anni precedenti, alcune volte a sproposito e senza una selezione ragionata. Quasi sempre si rimane confinati in una rosa d’autori poco vasta, i cosiddetti classici di fine Ottocento/inizio Novecento. I nomi sopra citati vengono trattati in minima parte e solo nell’ultimo anno, solitamente dando molto più spazio alla poesia di inizio secolo — questione di canone.

Il secondo Novecento questo sconosciuto. La contemporaneità non pervenuta. Come si diceva all’inizio, ci sono professori brillanti e coraggiosi che, di fianco ai grandi classici, indicano, nei programmi del triennio, letture che vanno addirittura oltre il 1930. Spesso e volentieri si tratta di Pavese o, ancora più sovente, Calvino — unico autore del secondo Novecento pressoché sempre presente nelle scuole e, guarda caso, autore preferito di molti studenti (ti piace vincere facile eh, Italo) — ma, in casi fortunati, si legge anche Dino Buzzati, Alberto Arbasino, o Bassani, autori che spesso nei manuali non ci entrano nemmeno — o ci entrano ma vengono ignorati. Altre volte, incredibili e rare, si leggono dei contemporanei: i casi letterari, le nuove uscite interessanti.

Talvolta, addirittura, si leggono Elsa Morante e Natalia Ginzburg, le uniche due donne considerate degne di entrare nel canone. Sì perché il Novecento è ricco di donne scrittrici e donne poetesse, donne che hanno svelato la propria interiorità, che hanno difeso i propri diritti quando nessuno ancora ne parlava, donne che han guardato la guerra dall’altra prospettiva e l’hanno raccontata in maniera impeccabile. Queste donne — da Sibilla Aleramo a Fausta Cialente, da Alba De Céspedes a Lalla Romano — sono rimaste presenze impalpabili, troppo poco canoniche per le aule, non degne di entrare in quel pantheon di autori. Funambole al bordo di un canone palesemente sessista, frutto di una tradizione critica creata da uomini, in nome di una presunta superiorità intellettuale. Ad oggi molte studiose stanno portando avanti ricerche su tutte quelle donne escluse a priori dalla storia della letteratura istituzionale, e i risultati sono abbastanza inquietanti.

Senza togliere troppo spazio agli autori imprescindibili, forse letture diverse, meno canoniche, potrebbero stimolare maggiormente la curiosità di uno studente. Magari un libro percepito come meno istituzionale può toccare corde diverse. Magari davvero il canone deve essere rivisto, ampliato. Magari alcuni mostri sacri, oggi, possono essere trattati diversamente, trovando un accordo col presente.

In questa direzione si sono mosse Alessandra Terrile, Paola Biglia e Cristina Terrile, le autrici di «Una Grande Esperienza di Sé», un nuovo manuale di letteratura in sei volumi per le scuole superiori, edito da Pearson. Il progetto nasce con l’idea di avvicinare gli studenti alla letteratura attraverso una lingua viva e comprensibile che non rinunci alla cura formale, e attraverso un percorso di lettura diverso, atto ad affiancare i grandi del passato ai grandi del presente. Per ritrovare l’umano e guidare gli studenti nella crescita individuale, attraverso la letteratura.

Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Alessandra Terrile, per capire come uno studio diverso della letteratura possa essere ancora possibile, e quali possano essere le vie migliori per insegnare il presente.

illustrazione Arianna Favaro

illustrazione Arianna Favaro

Sfogliando il volume relativo al 900 ho visto che avete dato spazio ad autori contemporanei a cui, nella maggior parte dei manuali per licei, non viene data grande rilevanza. Come mai questa scelta?

Noi siamo appassionate di letteratura, e nutriamo molta fiducia nella possibilità che la letteratura possa, alla fine, toccare i ragazzi. Nella scuola di oggi lo spazio destinato alla letteratura è sempre più risicato, per ragioni di tempo scolastico e organizzazione. Pensiamo che sia importante capire che apparteniamo al nostro tempo e che, ancora oggi, c’è chi sceglie la lingua letteraria come forma di espressione. Dare spazio ad autori del secondo Novecento e della contemporaneità che potessero interessare i ragazzi, che riuscissero a dire qualcosa che li riguarda dal punto di vista esistenziale, ci è parsa una sfida interessante. Anche quando vengono citati in modo non particolarmente approfondito, sono autori che possono aprire una finestra di interesse: se ti piacciono puoi leggerli anche da solo, comprare il loro ultimo romanzo o ricercare i precedenti.

Avete scelto di introdurre anche gli autori del passato per mezzo di voci contemporanee

Gli autori contemporanei si trovano in tutti i volumi, in dialogo con i classici. La scelta nasce dall’esperienza sul campo: quando un’insegnante procede faticosamente nella storia letteraria — penso soprattutto al primo anno, quando si trattano le origini della letteratura e il Trecento, autori molto lontani anche linguisticamente dai ragazzi —  aprire una finestra sul presente significa mostrare che ancora oggi gli autori possono esprimersi su quello specifico tema o attraverso quello specifico modo linguistico. Penso, ad esempio, a Michele Mari in dialogo con Cavalcanti. è un modo per comprendere meglio il passato, senza dimenticarci di vivere nel presente.

illustrazione Arianna Favaro

illustrazione Arianna Favaro

Michele Mari è stato reputato il classico di domani, un autore che continueremo a leggere in futuro. Per lui la scelta è facilmente comprensibile. In generale, come avete scelto gli autori contemporanei da inserire nel manuale?

Mari è entrato nel manuale anche come poeta, e in questa veste ci pare ancora più proponibile, a causa della sua lingua rigogliosa, complessa e bellissima. In Cento Poesie d’amore a Ladyhawke, poi, c’è il riferimento esplicito a Cavalcanti, dunque la scelta è stata abbastanza sicura. In generale, il criterio che ci guida è sempre duplice: da una parte è importante che l’autore possa interessare ai ragazzi, che tocchi corde che li riguardi. Dall’altra è fondamentale l’accessibilità: scegliamo testi che possano avere una propria autonomia, e possano essere  comprensibili anche avulsi dal contesto. Oggi non tutta la letteratura è minimalista, ridotta al linguaggio minimo giornalistico, referenziale. Non tutta la letteratura si limita a raccontare una storia e basta. C’è una letteratura che da ancora grande importanza alla forma, alla lingua e allo stile. Questo è fondamentale: molti ragazzi alle superiori leggono fantasy non sempre letterariamente validi. In quei libri cercano la storia, la vicenda. Io li sprono a sentire l’esigenza di leggere anche una bella lingua.

Un altro motivo di selezione è la rilevanza culturale. Pensiamo ai poeti contemporanei: sono tantissimi e non esiste un canone stabile. L’idea è di scegliere autori che siano al contempo molto riconosciuti e culturalmente rilevanti, che pubblichino da parecchi anni, magari tradotti all’estero. Autori di alto livello capaci di parlare a ragazzi che si accostano per la prima volta alla letteratura contemporanea in senso diacronico, con alle spalle uno studio di storia letteraria. Ci rendiamo conto che sembri una contraddizione in termini, ma una compresenza di alto livello letterario e accessibilità è possibile.

Parliamo del canone letterario: quanto un autore di manuali è responsabile del mantenimento e/o evoluzione del canone? Ad esempio, nel vostro manuale avete inserito Alda Merini, autrice poco canonica e tradizionalmente considerata scomoda.

Credo che un autore di antologie e manuali abbia una grande responsabilità. Il canone si fissa quando a un autore viene concesso di uscire dalle aule universitarie e di arrivare non solo ai ragazzi, ma anche i professori. È un processo che inizia a livello accademico e di ricerca, ma in cui la divulgazione ha un ruolo cruciale. Se un autore viene proposto in un manuale molto letto e molto usato a scuola, ci sono maggiori possibilità che quello stesso autore diventi un classico.

Alda Merini è un’autrice che non appare spesso nei manuali scolastici in quanto un po’ scomoda e spigolosa. Alcuni suoi testi sono ardui sia per i temi sia per lo stile, ed è indubbiamente difficile da affrontare, anche a causa dello scarso lavoro critico sulle sue opere — negli ultimi suoi anni scriveva ovunque e regalava le poesie a chiunque, il lavoro filologico da fare è ancora enorme.

illustrazione Emanuele Luzzati

illustrazione Emanuele Luzzati

Personalmente ritengo, però, che sia un’autrice interessante da proporre ai ragazzi: la Merini è una donna che si è sentita fin dall’inizio abitata dalla poesia, trascinata da qualcosa che trascendeva la sua volontà. Si sentiva letteralmente destinata a scrivere a versi, e nella scrittura non ha utilizzato filtri. Non tutti i suoi testi sono rilevanti, e non tutti sono proponibili in una classe, ma alcuni mettono il lettore direttamente in contatto con la follia, con il corpo, con la fatica di vivere, senza alcuna mediazione razionale. Sono tematiche importanti, anche e soprattutto per un adolescente. Noi non vogliamo addomesticarla: lo scopo è sempre quello di restituire la voce dei poeti autenticamente, con una mediazione linguistica e critica ma senza forzature.

Alda Merini appare anche in dialogo con Ariosto: abbiamo scelto di introdurre con Io sono folle folle il tema della follia di Orlando. L’Orlando Furioso si fa al secondo anno di triennio, e spesso il nome della Merini è completamente ignoto ai ragazzi di quell’età.

Siamo negli anni della narrazione multimediale, secondo voi quale è il modo migliore di coinvolgere un ragazzino nello studio della letteratura, così che il libro non sembri un “qualcosa di imposto”?

È questa la sfida. Non bisogna nascondere che si tratta di un discorso complesso, che la letteratura richiede lentezza, tempo e dedizione. Ma, dato che la letteratura parla dell’uomo, lo scopo è quello di far sentire l’umano. La sfida è fare capire allo studente che nella letteratura si sta parlando di lui, di qualcosa che lo riguarda come uomo o donna o persona. Noi insegnanti non dobbiamo conquistare i ragazzi facendo i saltimbanchi, non è quello il nostro compito, non siamo intrattenitori e non possiamo metterci sul piano dei social o delle serie tv. La sfida è proprio quella di accompagnare i ragazzi nella letteratura, portarli fino in fondo, finché non scoprono qualcosa di bello lì dentro, qualcosa che può interessarli perchè nutre quell’aspetto dell’humanitas che appartiene anche a loro. Bisogna far capire al ragazzo la lingua letteraria senza che questa si abbassi, e restituire l’uomo negli autori della letteratura del passato. Anche questo punto è molto importante: gli autori del passato non devono essere percepiti come dei monumenti intoccabili. Noi diamo spazio alla vicenda umana e alle fattezze fisiche mostrando fotografie e ritratti degli autori, come a dire: “quello scrittore o quel poeta puoi guardarlo in faccia, osservarlo nella sua forma umana. Perché di umano si tratta, uomo o donna come te”.

Se riusciamo a far capire questo, poi il percorso avviene da solo. Basta un seme. Non riusciamo con tutti, ma se si riesce con alcuni è già un risultato.

Oltre alle fotografie, nel vostro manuale ci sono anche molte illustrazioni, spesso d’autore, si veda, ad esempio, Lorenzo Mattotti per l’Inferno di Dante. Anche questa scelta è al fine di avvicinamento al presente?

Quando mi sono trovata davanti all’edizione Nuages dell’Inferno di Dante, illustrato da Mattotti, sono rimasta affascinata. Volevamo dare la prova del fatto che ancora oggi gli artisti si lasciano ispirare dagli autori del passato. Un artista contemporaneo riesce ancora a  immaginare Paolo e Francesca o la fiamma di Ulisse. Mattotti ha reso la selva oscura con l’immagine di Dante avvolto da un buio assoluto. è molto difficile rendere quel buio su una pagina di un manuale scolastico, con una carta di non altissimo livello, ma a noi interessava proprio mostrare quel buio irto, renderlo palese. Abbiamo scelto solo grandi autori contemporanei, come Guttuso, Emanuele Luzzati per Boccaccio e Mimmo Paladino per Ariosto.

E quanto è importante il linguaggio orale e verbale, oltre che quello visivo?

Moltissimo. La letteratura insegna a pensare, a guardare oltre le apparenze, a porsi delle domande. Ma ci si arriva se si possiede la lingua adeguata. abbiamo curato in prima persona gli esercizi legati all’oralità perché li riteniamo fondamentali. Spesso i ragazzi arrivano alle superiori con una scarsissima padronanza lessicale, e per loro è molto difficile trovare le parole per esprimersi adeguatamente, per dire esattamente quello che vogliono dire. Il compito della letteratura è anche questo.

Manuali e risorse online: quale è stata la vostra scelta e perchè

Le risorse online sono previste dalla legge, quindi è stata una scelta dovuta. Il nostro scopo è indirizzare i ragazzi verso un uso consapevole del digitale, a  saper selezionare le fonti quando fanno ricerca. La situazione nelle scuole è difficile: mancano gli strumenti e i mezzi adeguati per una conversione al digitale. Inoltre lo studio è ancora qualcosa che si fa scrivendo, sottolineando, appuntando. Bisogna trovare il giusto mezzo e la giusta strategia. Noi abbiamo pensato di ovviare la mancanza di strumentazione delle strutture scolastiche e puntare direttamente agli smartphone: nel nostro libro sono presenti dei QR code, basta inquadrare quelli per arrivare alla risorsa online (che può essere un reading di un attore, un filmato o delle immagini). in questo modo anche il temutissimo smartphone può diventare uno strumento di lavoro utile alla causa.

Fuente: http://thesubmarine.it/2018/04/13/grande-esperienza-di-se-alessandra-terrile/

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France: Des élèves en plus mais une classe en moins : dans cette école rurale, la promesse de Macron n’est pas tenue

France / 14 avril 2018 /marianne

Le ministre de l’Education Jean-Michel Blanquer a promis qu’aucune classe ne fermerait en France si le nombre d’élèves y augmentait. Pourtant, l’école de Rochefort-en-Valdaines dans la Drôme s’apprête à voir une classe supprimée… alors qu’elle attend plus d’enfants l’année prochaine.

L’engagement est ferme et tient lieu de stratégie de communication au gouvernement : «Il n’y a aucun endroit en France où on ferme une classe quand il y a une augmentation du nombre d’élèves». Jean-Michel Blanquer était formel le 14 mars, au 20 heures de France 2, se disant même prêt à «rectifier une décision si on [lui] montrait le contraire«. Le ministre de l’Education répondait ainsi à une critique lancinante : pour assurer le dédoublement des classes de CP et de CE1 dans les réseaux d’éducation prioritaire (REP), promesse d’Emmanuel Macron, le gouvernement est accusé de déplumer les écoles rurales de leurs professeurs. Pas du tout, rétorquent les membres de l’exécutif : si des classes ferment en campagne, c’est uniquement parce que le nombre d’élèves baisse.

Mais cette réponse pragmatique connaît au moins une exception: à Rochefort-en-Valdaine, commune de près de 400 âmes située dans le sud de la Drôme, l’école s’apprête à voir une classe fermer… alors que le nombre d’élèves sera en augmentation l’année prochaine. Et alors que les élus locaux, les enseignants et les parents d’élèves se sont mobilisés, le gouvernement n’a toujours pas donné de réponse à leur appel à l’aide.

Revenons quelques années en arrière, en 1989 précisément. A cette époque, la classe de La Touche, autre commune située dans ce petit coin de Drôme à une dizaine de kilomètres de Montélimar, est menacée de fermeture. Pour la sauver, trois bourgades – Portes-en-Valdaines, Rochefort-en-Valdaines et La Touche – sont incitées à coopérer pour créer un Regroupement pédagogique intercommunal (RPI). Ce dispositif, très fréquent en zone rurale, permet à plusieurs écoles à faibles effectifs de se regrouper en une seule entité, et de «dispatcher» leurs classes dans les différents établissements. Décision est donc prise de scolariser les élèves les plus jeunes (maternelle) à Portes, les plus âgés (CM1 et CM2) à La Touche et les autres à Rochefort. En 1995, une classe supplémentaire est même ouverte à Rochefort-en-Valdaines pour répondre à l’augmentation de la population.

Cette situation a perduré pendant plus de vingt ans, avant de prendre brutalement fin le 9 février dernier. Le directeur académique (DASEN) de la Drôme décide qu’à la rentrée 2018, une classe du RPI sera fermée. Représentants du personnel, parents d’élèves et maires s’unissent alors en remuant ciel et terre pour infléchir cette décision. Des contacts sont pris avec la députée et la sénatrice locales, des pétitions sont lancées par les parents d’élèves, qui les font circuler via les cahiers de leurs enfants. Finalement, un courrier est envoyé au ministre de l’Education Jean-Michel Blanquer par le maire de Portes-en-Valdaine, Jean-Bernard Charpenel.

Consternation chez les habitants

Point central de l’argumentation de l’édile : les effectifs vont augmenter à la rentrée. Cette année, le RPI scolarise 64 élèves : les prévisions de novembre faisaient état de 65 élèves pour septembre prochain, avant que les conjectures évoluent, passant en début d’année à 70. Et encore, ces chiffres sont trompeurs : dans ces petites écoles de campagne, les enfants de 2 ans sont aussi accueillis en classe, même s’ils sont trop jeunes pour être comptabilisés dans les statistiques officielles. En effet, le manque de services publics en zone rurale, et notamment de crèches ou de garderies, incite les parents qui travaillent à scolariser le plus vite possible leur progéniture. Si on prend en compte les «vraies» données, le RPI drômois va donc passer à 79 élèves l’an prochain. Et pourtant, le DASEN a décidé de la fermeture d’une classe.

C’est la consternation chez les habitants. Christophe Bouchet, le président du syndicat intercommunal à vocation scolaire (SIVOS), fustige le mépris du représentant académique local : «On s’est déplacé pour aller voir la députée (Alice Thourot, LREM, ndlr), le DASEN nous a dit qu’il ne tenait même pas compte de notre déplacement. Lorsqu’on lui a annoncé qu’on lançait une pétition, il nous a dit ‘faites-là, ce n’est pas grave’«. Contacté, le haut fonctionnaire n’a pour l’heure pas donné suite à nos sollicitations.

Du côté de l’équipe pédagogique, on s’inquiète des conséquences qu’aura la fermeture de la classe sur l’enseignement. Actuellement, chacune des quatre classes compte une vingtaine d’élèves, mais les professeurs doivent gérer des «double niveaux» : A Portes-en-Valdaine, les élèves de petite, moyenne et grande section, ainsi que ceux âgés de seulement deux ans, sont tous dans la même classe. A La Touche, les CM1 et les CM2 sont ensemble, tandis qu’à Rochefort-en-Valdaines, une section regroupe les CP et CE1, et une autre des CE2 et CM1. C’est dans cette dernière école qu’une classe devrait fermer. Avec un impact immédiat sur l’enseignement : huit sections d’élèves devront être réparties sur seulement trois classes. «De deux niveaux, on va se retrouver avec des classes à trois niveaux, détaille un membre de l’équipe enseignante. Et de 20 élèves par classe, on passerait à moyenne à 23… sans compter les enfants de deux ans, que l’école maternelle va devoir a priori renoncer à scolariser l’an prochain.» Des classes de 23 élèves, pouvant aller du CP au CE2, et du CE2 au CM1 : les conditions sont loin d’être idéales pour les instituteurs, et pourraient pousser les parents à scolariser leurs enfants ailleurs… mettant en danger la vie locale.

 «Si on ferme l’école, c’est la fin des trois communes !» s’alarme Danielle Granier, maire (DVD) de Rochefort-en-Valdaine. «Notre école est un lieu privilégié par rapport à celles de Montélimar pour les parents. En plus, on a mis en place un service de restauration scolaire qui emploie trois personnes, et va peut-être devoir débaucher des salariés si on perd des enfants…» Alors que des projets de logements ont été lancés par la commune, la fermeture d’une classe pourrait briser cet élan. D’autant que les nouveaux arrivants dans la Drôme sont souvent des urbains, «qui viennent pour la qualité de vie offerte par la campagne, mais sont habitués au niveau de service public offert par la ville«. Manuel Antoine, un parent d’élève dont les 5 enfants ont été scolarisés dans le RPI, s’inquiète : «Ici, il n’y a pas de commerces. On a juste une auberge sur les trois communes ! C’est complètement rural…» Malgré cette situation à l’évidence très «campagnarde», les trois bourgades, qui totalisent moins de 1.000 habitants, ne sont plus classées en Zone de revitalisation rurale (ZRR) depuis que de nouveaux critères ont été mis en place l’an passé. Un argument qui a été servi aux maires quand ils ont protesté contre la fermeture de la classe… Pour Christophe Bouchet, la décision est «symptomatique de l’abandon des communes rurales«.

Jean-Michel Blanquer va-t-il intervenir, après avoir promis qu’aucune classe ne fermerait si le nombre d’élèves augmentait ? Dans son courrier de réponse au maire de Portes-en-Valdaine, que nous avons pu consulter, le cabinet du ministre se veut conciliant : «Soyez assuré qu’il y aura plus de professeurs par élève dans chaque département rural de France à la rentrée prochaine«, assure-t-on. C’est peut-être là que se niche l’entourloupe : promettre davantage d’enseignants par élève au niveau du département ou «aucun endroit en France où on ferme une classe quand il y a une augmentation du nombre d’élèves«, ce n’est pas la même chose… Toujours est-il que Jean-Michel Blanquer a indiqué qu’il tiendrait le maire de Portes «directement informé de la suite susceptible d’être réservée à [sa] démarche«. C’était fin février. Depuis, le petit regroupement communal de la Drôme n’a toujours pas reçu de réponse.

Fuente: https://www.marianne.net/societe/des-eleves-en-plus-mais-une-classe-en-moins-dans-cette-ecole-rurale-la-promesse-de-macron-n

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Misiles contra la educación en Siria

Siria/14 de Abril de 2018/El Mundo

Pupitres vacíos en Madrid, contra la destrucción de las escuelas sirias

«Una generación completa de niños no pueden aprender a leer ni a escribir»

El presente y futuro de dos millones y medio de menores sirios se escribe sobre pupitres vacíos. La mitad de las escuelas han sido derruidas y los centros escolares que aún siguen en funcionamiento, sin electricidad ni gas, han tenido que trasladarse a los sótanos por seguridad y solo abren un par de horas al día, según denuncia Save the Children.

Durante los dos primeros meses de 2018, en zonas como Guta, más de 60 escuelas han sido destruidas y más de 57.000 niños se han visto obligados a dejar de asistir a clase. Esas mesas vacías de oportunidades después de siete años de guerra han sido colocadas por esta ONG hoy en las calles de diferentes ciudades españolas, entre ellas Madrid, en el marco de la campaña #NuncaSerán para que esos datos no caigan en el olvido.

«Desde mediados del año pasado, los niveles de violencia en Siria, lejos de reducirse, están aumentando de forma alarmante, especialmente en las llamadas ‘zonas de distensión’, establecidas como seguras para los civiles. Hospitales y escuelas siguen siendo objetivo de los bombardeos. En zonas como Guta, más de 60 escuelas han sido destruidas durante los dos primeros meses de 2018 y más de 57.000 niños han perdido la oportunidad de ir a clase», apunta esta organización en defensa de los derechos de la infancia.

«Mis hijos no están seguros en el colegio. Estamos perdiendo a una generación completa de niños que no pueden aprender a leer ni a escribir. No quiero enviarlos a la escuela si abre porque sé que irán un día pero luego estará cerrada otros 10 por los bombardeos», relata a Save the Children Qamar, una madre desplazada en Idlib.

Una reciente encuesta realizada por la ONG a cerca de 2.000 niños y niñas de entre cinco y 11 años en el noreste de Siria deja de manifiesto las secuelas irreparables que ha dejado siete años de guerra en la educación de los niños: más de un tercio de los alumnos de entre nueve y 11 años tienen un nivel de lectura de un niño de cinco años; casi la mitad de estos niños no pueden resolver un problema de matemáticas que normalmente se enseña a niños de cinco años e incluso algunos ni siquiera son capaces de reconocer las letras y los números.

«El acceso a la educación durante un conflicto ofrece a los alumnos un importante resguardo y sensación de estabilidad. La seguridad en las escuelas ayuda a mitigar los efectos psicológicos de la guerra y protege a los niños además de las redes de trata y de ser reclutados por grupos armados», subraya Andrés Conde, director general de Save the Children, que reclama a la Unión Europea un mayor compromiso respecto a la protección de la infancia, planes de acogida y que exija que «las escuelas dejen de ser objetivos militares» e «investigaciones independientes sobre todos los ataques a colegios y hospitales y el resto de violaciones del Derecho humanitario internacional».

Fuente: http://www.elmundo.es/madrid/2018/04/13/5ad097c0ca47418d058b459a.html

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United States: Where will the struggle lead Kentucky teachers?

United States / April 14, 2018/Socialistworker

Resumen: Las protestas representan la continua urgencia del recrudecimiento que ha convertido a Kentucky en otro sitio de las rebeliones de los maestros que barrieron al oeste de Virginia Occidental a través de estados que anteriormente se consideraban conservadores como «el país Trump»

Pranav Jani talked to Kentucky teachers on a visit to the state about how their struggle has developed–and what this weekend’s plans for more protests will bring.

KENTUCKY TEACHERS, education workers and their supporters will gather once again on April 13 and 14 for rallies at the state Capitol in Frankfort.

The protests represent the continuing urgency of the upsurge that has made Kentucky another site of the teachers’ rebellions that swept west from West Virginia through states formerly considered to be conservative «Trump country.»

At the same time, the demonstrations today and tomorrow highlight some of the dynamics and debates that teachers need to consider for the movement to succeed.

At the start of April, an estimated 12,000 teachers and supporters descended on Frankfort, sparked into rebellion specifically by a disastrous attack on public employees’ pensions passed late on March 29 under the camouflage of legislation about sewer construction.

The next morning after this late-night legislative sleight of hand, teachers–led by the grassroots group #KY 120 United–shut down schools in 20 counties through coordinated sick-outs, and many traveled to the capital to send a message to lawmakers.

The tactic of the sick-out was used effectively again on April 2 as politicians considered anti-worker budget and tax legislation. Schools that weren’t closed because of spring break in most of Kentucky’s 120 counties were shut down again, and the turnout in Frankfort was the biggest yet.

Though some educators continued sick-outs or other protests in that first week of April, many looked ahead to April 13–when the legislators’ recess ended and lawmakers would convene again–as the next date for a mobilization.

Developments between April 2 and April 13 highlight the questions that need to be addressed if the movement that shook Kentucky at the start of the month is going to be able to break the stranglehold on public education that is choking teachers, education workers, students and parents.

Above all, the need for a united mobilization of teachers–which was the basis for putting pressure on the legislature last week–is clear.

IN MY trip to Kentucky on April 9 and in conversations over the last two weeks, I’ve had the opportunity to speak with teachers who are in the thick of the struggle, parents and activists who are building solidarity, and supporters who understand its historical impact.

These individuals’ dedication to local organizing and the long-term struggle bodes well for the movement. At the same time, people spoke of the challenges they face–from the actions of politicians and school officials, but also debates within the movement–as they try to continue a struggle that has been months and months in the making.

All this has made for a complicated picture in the period between April 2 and April 13–when work stoppages have been attempted, but not continued; when the politicians have been forced to shift, but have slithered into new positions; and when grassroots groups have been built, but have had to fight hard to stay unified.

As we know from history, no movement or struggle ever develops evenly, going from advance to advance.

The situation in Kentucky is complicated by dynamics that will be familiar from past struggles: debates over what to do next when pressure on lawmakers isn’t enough; discussions about whether or not to strike; the complications of people in different communities with different considerations needing to figure out how they can speak with one voice.

As in all struggles, there’s an ongoing debate about the politics and aims of the movement.

As James Miller, a teacher at duPont Manual High School in Louisville said, some people are fighting only to stop the attack on teachers’ pensions or head off measures to undermine public education–whereas others, including himself, want:

to seize this opportunity to demand significant improvements to public education instead of merely defending the status quo. We want to protect our students by demanding the elimination of legislation that would further criminalize Black and Brown youth and an end to zero-tolerance policies. We want to protect our students’ families by opposing regressive sales taxes and flat taxes.

More than 3,000 people have signed a petition created by Miller that ties the fight for schools to the larger struggle for social justice.

Teachers of all views are still in motion to put forward their grievances–and they know they have the support of many people around them.

Krystal Spencer, with Save Our Schools Kentucky and one of the organizers of the rallies on April 13 and 14, says she’s confident that the rallies will be big, «hopefully bigger than [April 2].»

Citing the many groups that are coming together–including Indivisible, Planned Parenthood, Kentuckians for the Commonwealth, and university groups–Spencer noted how many of these organizations don’t represent teachers, but are participating.

Meanwhile, I heard reports of radicalized teachers who are calling off work this Friday and sending delegations to Frankfort–while working patiently with local groups in their schools who aren’t ready for a strike and have never heard the word «wildcat,» but remain very curious about the strategy.

THE LEGISLATIVE details in Kentucky are complicated, but they are important for understanding the strategic obstacles that teachers have to face.

Even as protesters were leaving the statehouse after their biggest demonstration on April 2, the Republican-led legislature passed a budget bill and a tax «reform» bill that are anti-worker and anti-poor. Yet the GOP claims the balance between the two would benefit education.

The legislature put these bills on the desk of Gov. Matt Bevin, a Tea Party favorite, and then left for a short recess until April 13.

Several teachers’ groups aimed to continue the momentum generated by April 2, with calling sick-outs, grassroots food drives and marching through their towns. But the Kentucky Education Association (KEA) send out a memo to members saying that the union didn’t support work stoppages at this time, and everyone should look to April 13.

On April 6, for example, the union issued a statement that, unfortunately, echoes some of the rhetoric that education bosses use against all teachers’ strikes: «Our students need us to show up for them in classrooms and schools. We urge educators statewide not to allow our united efforts to be compromised by continued calls for action that deprive students, parents and communities of the educational services we provide.»

Meanwhile, between April 2 and April 13, crafty Republican politicians and their ruling-class masters were busy creating a lose-lose situation for those seeking a legislative solution to the attack on education and the social crises in Kentucky–while adding lots of confusion to the process.

On April 9, Bevin vetoed the budget and tax bills put forward by his own party, stating that he wants more «comprehensive tax reform» and a «balanced budget»–code words for deeper tax cuts for the wealthy and austerity for the 99 Percent. This set up a challenge to the legislature to try to override the vetoes on April 13 and 14. Bevin signed the pension bill that sparked the teachers’ uprising.

The Democratic minority in the legislature, which has religiously opposed Bevin, supportshis vetoes and will vote against overriding them, on the basis that they are opposed to the budget and tax bills that passed.

On the other hand, the KEA and its affiliates have called for Bevin’s vetoes to be overridden–a de facto defense of the Republican legislature’s bills.

The logic of the position was explained in a statement from the Jefferson County Teachers Association (JCTA), which contended that, while the union «does not agree with some of the regressive ways the revenue bill generates new revenue, but without a revenue bill, Kentucky will lose hundreds of millions of dollars in funding for public education.»

The unions are right that Bevin vetoed these bills from the right, not the left. But it seems problematic to accept the original legislation, which are clearly regressive and harmful in various ways, as a kind of lesser evil.

Indeed, as so many teachers and supporters expressed in face-to-face discussions, what galvanized them to take action is the general and ongoing attack on education in the midst of a deep social crisis in Kentucky–not a dispute between two versions of budget cuts, two versions of tax cuts for the rich, and two versions of tax hikes that hit poor and working people.

EVEN ACTIVISTS who have organized outside the KEA have debated what path to follow in this confusing situation.

Internal discussions within the #KY 120 United this week revealed disagreement about whether or not to call for work stoppages, and whether or not to settle for the legislature’s original budget and tax bills.

Most of the teachers and others I met remained sympathetic to both the KEA and KY 120 United, even if they disagreed with the positions they have taken regarding the legislation.

After Bevin’s open and disparaging attacks on KEA as «a problem,» there was no question about this–even when one teacher defending the KEA against Bevin said she wished they would be «more of a problem.»

Thus, people who are part of KEA, KY 120 United and school-specific groups, many at the same time, are seeking for teachers to figure things out together as part of a longer struggle against a tough set of opponents. Perhaps some of the momentum of April 2 has fallen off, and no one wants to be pushed into choosing between Republican Plan A and Republican Plan B.

Plus, if we look at what teachers and supporters did accomplish in the «in-between» period, it’s clear how powerful the movement is at the grassroots level. With many teachers not being sure about an ongoing strike, a preparation period may have been exactly what was needed.

In Jefferson County–the state’s most populous county that includes Louisville and the surrounding area, there was an attempt to close schools through sick-outs on April 9, though participation wasn’t strong enough to shut down the schools.

In Pike County in eastern Kentucky, along the border with West Virginia, teachers laid out a week of actions leading up to April 13, including pressuring the Chamber of Commerce for supporting the pension bill.

FOR TEACHERS and activists I met from Northern Kentucky and Lexington, the «in between» meant local meetings with activists, talking to parents about the importance of taking action, and working with others to discuss building solidarity.

«Teachers in my building are hungry for info and action in a way they haven’t been before,» said Molly Seifert, a teacher at Beechwood High School in Northern Kentucky. Seifert noted that the organizing meetings she was part of now drew about 10 times more people than KEA meetings months before.

«I’m advocating for ‘the Pike County plan’ for the rest of the week: local action and then Frankfort on Friday,» Seifert said. «I’m also advocating for a long-term group like this that meets regularly and builds on this momentum.»

Laura McMullen, a teacher at Holmes Middle School in Covington, said: «We were ready last week, and we’re still ready.»

McMullen described the impact of the social crisis, especially in poor schools like hers:

Our class sizes are already at cap. So with all of these resources being pulled, and teaching a group of 31-32 kids, how can I ensure that all their needs are getting met, that their IEPs (Independent Education Plans) are being followed…Our school has a very high rate of special needs kids, and our transience rate is very high, with so many kids homeless at any given time.

So when they cut funding for those kids, for after-school programs, for extracurriculars, what are they going to do? We feed kids breakfast, lunch and dinner–where are those kids going to get that? Busing is very expensive–we have no way to bus these students. If the goal isn’t to bankrupt public schools, then I’m not really sure I know what it is.

Rose Curtin, a parent in the Newport Independent Schools system and member of a local School-Based Decision-Making Council and a Family Resource Center board, explained how poorer, non-white schools would be particularly devastated by the legislation being considered:

I’ve served on hiring boards, and I already know how hard it is to hire teachers to come into a high-poverty, urban school where there are a lot of challenges, and I strongly believe that this is meant to target those places first.

Because Fort Thomas schools are not going to have a hard time, with a wealthy tax base and a lot of extra support. They’re not going to struggle to get new teachers the way that I suspect we in Covington and Newport are going to in order to get people to come in, especially if there’s no pensions and they have significant student debt burdens.

THE EFFORTS of Kentucky activists to build solidarity is inspirational–and exactly what will be required to combat a social crisis with no real legislative solution in sight.

In Seifert’s region, KY 120 United made «plans of reaching out to parents in meetings at local libraries,» she said. «For the first time in my 17 years of teaching, activists from Boone County, Kenton County, Dayton Independent, Beechwood and Covington Independent are working together on a project like this.»

Curtin, who is also a member of the Democratic Socialists of America’s Metro Cincinnati and Northern Kentucky branch, heads up the Kentucky Teachers Strike Fund, to organize concrete solidarity should educators decide to walk out.

From the experience of a family member who lost her job after participating in a strike, Rose is aware of «just the amount of work that a work stoppage is [and] the financial and emotional effects that it has.» The fund, organized jointly by four DSA chapters across Kentucky, was formed after consulting with DSA members in West Virginia who had set up a similar fund for a coalition of groups.

Drew Van’t Land, an organizer for the Kentucky Workers League in Lexington, talked about organizing solidarity through helping working-class parents who might have trouble with childcare, and helping to «combat the narrative that their interests are somehow not aligned with those of the teachers.»

Everyone I talked to, even if skeptical about the future given the difficulty of the task before Kentucky teachers, underlined the gains that the struggle had already made.

Geoff Sebesta of the Lexington DSA said that teachers’ self-organization and solidarity had contributed to «the legislature being clearly scared as hell.»

«The floodgates have been opened by what’s happened in West Virginia,» said Drew Gerbel, the sibling of a teacher and an activist in his own right. «The example has been set. Look what power exists in the working class. But I don’t think people realize it 100 percent yet.»

It does take time for people across a whole state and with so many different circumstances and ideas to realize that strength–and there are no guarantees that the teachers will be able to win what they are fighting for.

But with all that remains to be done, something fundamental has already been gained. As Miller said to me:

There are too many unknowns to predict the future….But one thing will not change: Kentucky teachers are angry, and they will not be easily placated.

Already dozens of Kentucky educators have registered to run for state and local offices in campaigns specifically targeting incumbents who voted in favor of the governor’s anti-public education agenda. Already hundreds of Kentucky teachers have repeatedly swarmed the state Capitol in rowdy protests. Already thousands of Kentucky teachers have participated in a wildcat sick-out strike.

The future is unpredictable, but it will belong to us.

Fuente: https://socialistworker.org/2018/04/13/where-will-the-struggle-lead-kentucky-teachers

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Estados Unidos: Donald Trump ordena un ataque contra Siria

Estados Unidos/14 de Abril de 2018/El Nuevo Día

El presidente de Estados Unidos tomó la acción en conjunto con Francia y Reino Unido.

Estados Unidos lanzó «ataques de precisión” contra blancos asociados con el programa de armas químicas de Siria, confirmó esta noche el presidente Donald Trump.

En un discurso pronunciado desde la Casa Blanca, Trump dijo que una “operación combinada” con Francia y Reino Unido está en curso.

La acción bélica que tomó el primer ejecutivo se debe a que el sábado pasado el presidente sirio Bashar Assad llevó a cabo una “significativa escalada de un patrón de uso armas químicas por parte de ese terrible régimen”.

Trump aseguró que Estados Unidos no busca con este ataque «una presencia indefinida» en Siria y prometió que retirará sus tropas una vez que el Estado Islámico sea totalmente derrotado.

Pidió, además, una «oración por nuestros nobles guerreros» que participan de la operación contra el régimen sirio al concluir su mensaje.

Mientras daba su mensaje desde Washington, fuertes explosiones iluminaban el cielo de la capital siria mientras. Poco después, la agencia estatal siria, SANA, aseguraba que las fuerzas de defensa aérea del país «están haciendo frente al ataque estadounidense-franco-británico contra Siria».

En referencia a Rusia e Irán, Trump preguntó: “¿Qué tipo de nación quiere asociarse con el asesinato masivo de hombres, mujeres y niños inocentes?”.

“Esta noche, les pido a todos los estadounidenses que recen por nuestros nobles guerreros y nuestros aliados mientras llevan a cabo sus misiones. Oramos para que Dios traiga consuelo a los que sufren en Siria”, dijo el presidente.

Esta es la segunda ocasión en que Trump ordena ataques en Siria. En abril de 2017 autorizó el lanzamiento de misiles Tomahawk contra una base aérea siria en represalia por el uso de gas sarín contra civiles por parte de Assad.

https://youtu.be/8PDgOQtPRDI

De inmediato, Mac Thornberry (Texas), el presidente del Comité de Fuerzas Armadas de la Cámara de Representantes, apoyó la decisión de Trump.

«El uso que hace Asad de armas químicas contra civiles inocentes es inaceptable. Igualmente preocupante es que ese ataque es parte de una tendencia en el uso de armas químicas por todo el mundo, con el  apoyo de  Rusia. Estados Unidos y nuestros aliados no pueden tolerar estos ataques. Apoyo la decisión del Presidente de llevar a cabo esta huelga junto con nuestros aliados. Sigue habiendo preguntas difíciles sobre el futuro de nuestra política en Siria, pero esas preguntas no deberían restar justicia a las acciones de esta noche», dijo el republicano.

Por su parte, el vicepresidente estadounidense, Mike Pence, abandonó hoy prematuramente la ceremonia de inauguración de la VIII Cumbre de las Américas y regresó a su hotel en Lima, mientras la prensa especulaba sobre el posible anuncio de Washington relativo a Siria.

Pence, quien debía asistir a la ceremonia de inauguración y después a un banquete, se dirigió a su hotel poco después de llegar al Gran Teatro Nacional de Lima, mientras la Casa Blanca convocaba en Washington a los periodistas sin dar más explicaciones.

Trump se reunió hoy con su equipo de Seguridad Nacional para evaluar su respuesta al presunto ataque químico del pasado fin de semana en Siria, al que había prometido responder de forma «contundente» y probablemente por la vía militar.

Fuente: https://www.elnuevodia.com/noticias/eeuu/nota/donaldtrumpordenaunataquecontrasiria-2414562/

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India: Las universidades públicas que no participen en el ranking del país podrían enfrentar sanciones

Asia/India/universityworldnews.

Prakash Javadekar, ministro de desarrollo de recursos humanos de la India responsable de la educación superior, ha dicho que las universidades públicas que no participen en el ranking del país podrían enfrentar sanciones, posiblemente recortes de fondos.

La advertencia fue emitida después de que varias universidades no pudieron proporcionar datos y documentación para los últimos rankings nacionales publicados la semana pasada.

Por ejemplo, algunos de los 90 colegios constitutivos de la Universidad de Delhi no proporcionaron datos y, como resultado, el ranking de la universidad en su conjunto -es el séptimo en la lista de universidades- puede no ser un fiel reflejo de su fortaleza.

La participación en los rankings, presentada por primera vez hace tres años, había sido opcional. Este año, 4.500 instituciones participaron en el ranking del Ministerio de Clasificación Institucional Nacional (NIRF) en comparación con 3.300 en 2017, pero una fuente del ministerio dijo que el ministerio esperaba que unas 10.000 universidades e institutos brinden información.

Javadekar dijo el martes pasado que todos los colegios y universidades públicas deben participar. «Las instituciones públicas que no tomarán parte en esto enfrentarán un recorte de fondos», dijo.

La clasificación nacional de este año agrupa a las instituciones en nueve listas clasificadas por separado que comprenden la categoría general, universidades, facultades e ingeniería, derecho, administración, medicina, Las

principales instituciones en los últimos rankings se encuentran principalmente en las ciudades más grandes de la India con el Instituto de Ciencias Indio (IISc) en Bangalore, la mejor institución en general. el país por tercera vez consecutiva, aunque los funcionarios dijeron que su puntaje había disminuido levemente. Los Institutos Indios de Tecnología (IIT) en Madrás, Bombay, Delhi y Kharagpur ocuparon los siguientes cuatro lugares con Jawaharlal Nehru University (JNU) en Nueva Delhi, sexto .

iisc encabezó la clasificación de universidades, seguido de JNU, Universidad hindú de Benarés, Universidad de Anna en Chennai, la Universidad de Hyderabad, Jadavpur Universi ty en Kolkata y la Universidad de Delhi.

Debajo de las universidades, que reciben una ponderación más baja para la investigación, cinco de las 10 mejores fueron universidades constituyentes de la Universidad de Delhi, con Miranda House y St Stephen’s, que participaron por primera vez, encabezando la lista.

Parámetros modificados

Los parámetros utilizados para el ranking de la India 2018 son muy similares a los utilizados en años anteriores «con algunos ajustes aquí y allá», basados ​​en los comentarios de las instituciones, Surendra Prasad, presidente de la Junta Nacional de Acreditación, que acredita a técnicos nacionales programas como gestión e ingeniería, dijo durante el lanzamiento de los resultados de clasificación en Nueva Delhi el 3 de abril.

Las instituciones se analizan y clasifican en función de cinco parámetros, incluidos la enseñanza, el aprendizaje y los recursos, con una ponderación del 30% o del 40%, según la categoría de la institución; investigación y práctica profesional: 30% (o 15% para las universidades); resultados de graduación: 20% (25% para universidades); alcance e inclusión – 10%; y percepción 10%.

Para las universidades, las ponderaciones para la investigación y el desarrollo se han reducido este año «para reconocer el hecho de que las universidades de grado general se dedican principalmente a la enseñanza de pregrado», dijo Prasad. En consecuencia, se han aumentado los pesos para la enseñanza, el aprendizaje y los resultados de graduación.

Para evaluar el impacto de la investigación en particular, se han mejorado los parámetros de calidad de las publicaciones para incluir el número de artículos altamente citados. Este año, la ponderación de los resultados de posgrado se ha incrementado, mientras que las ganancias de patentes se han dejado de lado por falta de datos.

Parte de la información está disponible en la Encuesta de Educación Superior de la India, una base de datos estadísticos del gobierno. Pero el ministerio confía en las propias instituciones para proporcionar detalles sobre patentes, publicaciones, proyectos de investigación y otra información no disponible en el portal.

Precisión y omisiones

«Tuvimos que dejar de lado lo que consideramos una medida importante del rendimiento, un subparámetro bajo investigación llamado ganancias de patentes y derechos de propiedad intelectual [derechos de propiedad intelectual]», dijo Prasad.Aunque el gobierno considera que es una medida importante, las instituciones de autoinforme claramente tenían una «falta de comprensión» de lo que significa.

La intención es traerlo de vuelta en años futuros, dijo Prasad.

Mientras aludía a cierta «inflación de datos creativos» y «algunos administradores muy groseros» durante la fase de recopilación de datos, Prasad dijo que, en general, «las instituciones se han vuelto más meticulosas al proporcionar datos precisos».

«Aunque hay algunas preocupaciones, unas pocas ovejas negras se cuelan en nuestra clasificación de alguna manera cada año, en términos generales, hay una mejora en la calidad de los datos que ahora tenemos que manejar, en los años anteriores».

Del análisis de la datos el ministerio también encontró una correlación entre el rango general de una institución en un campo determinado y el rango de investigación correspondiente de la misma institución, basado en citas externas de datos y publicaciones, señaló Prasad, una indicación de que el sistema basado en el mérito de los rankings indios fue comparable a los rankings internacionales.

Fuente: http://www.universityworldnews.com/article.php?story=20180405200123911

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La película Indian Horse profundiza en la oscura historia de las escuelas residenciales de Canadá

La película sobre un sobreviviente de la escuela residencial Ojibway es producida por Clint Eastwood

América del Norte/Canada/www.cbc.ca

Indian Horse se basa en la aclamada novela del autor canadiense Richard Wagamese sobre un sobreviviente de la escuela residencial Ojibway que enfrenta el racismo y las barreras sistémicas a medida que se convierte en un formidable jugador de hockey. (Devonshire Productions)

Cuando el director canadiense Stephen S. Campanelli mostró su nueva película Indian Horse  a su mentor, Clint Eastwood, el cuatro veces ganador del Oscar no estaba seguro.

En los cines el viernes, el drama se basa en la aclamada novela del escritor canadiense Richard Wagamese, sobre un sobreviviente de una escuela residencial de Ojibway que enfrenta el racismo y las barreras sistémicas a medida que se convierte en un formidable jugador de hockey.

La historia ofrece una visión clara de la historia brutal del sistema de escuelas residenciales en Canadá, y Eastwood fue derribado.

«No lo creía», recordó Campanelli, que creció en Montreal y vive en California, en una entrevista en el Festival Internacional de Cine de Toronto, el pasado septiembre.

«Él estaba como, ‘¿Qué? ¿Los canadienses hicieron esto?’ Dije: «Sí, créelo o no». Él dijo: ‘¿Cómo es que nadie sabe sobre esto?’ Yo dije: ‘Bueno, lo harán pronto’ «.

Eastwood luego firmó como productor ejecutivo para ayudar a promocionar la película.

Una historia que abarca 30 años

«Él dice: ‘La gente necesita ver esta película'», recordó Campanelli, quien ha trabajado con Eastwood como operador de cámara durante más de 20 años.

Los canadienses Sladen Peltier y Ajuawak Kapashesit, junto con el actor estadounidense Forrest Goodluck, retratan al protagonista Saul Indian Horse en tres etapas diferentes de su vida.

La historia abarca 30 años, ya que sigue el viaje angustioso de la familia de Saul y sus experiencias a fines de la década de 1950 en una escuela residencial católica de Ontario, donde los estudiantes enfrentaron abusos y se vieron obligados a abandonar su propio idioma y cultura.

Clint Eastwood firmó como productor ejecutivo de Indian Horse luego de que el director Stephen S. Campanelli le mostrara la película. (Vince Bucci / Associated Press)

Saul se enseña a sí mismo a jugar al hockey y se mueve en las filas del deporte, pero después de una serie de ataques racistas contra él, se da por vencido y tiene que enfrentar su doloroso pasado.

«Creo que una película como esta realmente ayudará a mucha gente a entender, porque en realidad no saca muchos golpes, pero sigue siendo muy cinematográfica», dijo Kapashesit, que es de herencia Ojibway y Cree y nació en Moose. Fábrica, Ont.

«Creo que esta película va a abrir las compuertas de verdades en términos de la historia de este continente», agregó Goodluck, que es miembro de las tribus Dine, Mandan, Hidatsa y Tsimshian y tiene su sede en Albuquerque, Nuevo México.

Dennis Foon escribió el guión de la película, que se rodó en las frías temperaturas invernales y en terrenos abruptos en Sudbury, Ontario, y Peterborough, Ontario.

Los personajes hablan el idioma Ojibway, que se traduce en subtítulos.

Otros miembros del elenco incluyen a la recién llegada Edna Manitowabi, quien interpreta a la abuela de Saul y es una sobreviviente de la escuela residencial.

«No es común que obtenga papeles como este que sean muy veraces y no sean de ninguna manera explotadores», dijo Kapashesit, y señaló que su abuelo y otros miembros de su familia fueron a escuelas residenciales.

«Mantener la conversación en marcha»

Campanelli dijo que el objetivo era mantener las raíces del libro y sus orígenes indígenas y «no hollarizarlo».

Al mismo tiempo, quería darle «una apariencia de gran presupuesto y no hacer que se vea como una pequeña pequeña película canadiense».

«Nuestro mayor objetivo para esta película es mantener la conversación», dijo Campanelli, «para poder darles a las personas una opinión que diga: ‘Wow, no puedo creer que esto haya ocurrido. ¿Cómo puedo ayudar?’ Tengamos una llamada a la acción, hagamos algo al respecto, enloquezcamos, llamemos al gobierno o lo que podamos hacer para ayudar a que continúe así «.

«Porque va a tomar un tiempo. La reconciliación no es algo rápido. Va a tomar el esfuerzo de todos para que funcione».


Fuente: http://www.cbc.ca/news/entertainment/indian-horse-canada-dark-history-1.4614448
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