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Dichiarazione finale del Terzo Congresso Mondiale contro il Neoliberismo Educativo

Un documento scritto collettivamente dai partecipanti al Terzo Congresso Mondiale contro il Neoliberismo Educativo che si è tenuto in Brasile

di

Traduzione della Dichiarazione finale del Terzo Congresso Mondiale contro il Neoliberismo Educativo.

Operatori dell’educazione, educatori popolari e studenti dell’America Latina e del mondo, riuniti dall’11 al 14 novembre 2024, presso le strutture dell’Università Statale di Rio de Janeiro, Brasile, proclamano l’irriducibile volontà in difesa dell’educazione pubblica, faccia a faccia, libera, popolare, scientifica, laica, democratica, femminista, antirazzista, ecologica e trasformativa della realtà sociale.

Per quattro giorni abbiamo discusso dell’importanza delle questioni razziali, di genere e di classe per la costruzione di un’educazione emancipatoria, nella cui costruzione le corporazioni e i sindacati dei lavoratori dell’istruzione e il movimento studentesco organizzato svolgono un ruolo centrale. Abbiamo discusso e denunciato i rischi di una digitalizzazione accelerata dei sistemi scolastici e universitari che non è accompagnata dall’equità sociale e dall’aumento del finanziamento pubblico dell’istruzione. Siamo convinti che l’istruzione ibrida, senza che lo Stato finanzi la connessione a Internet e la fornitura di apparecchiature di connessione per i lavoratori dell’istruzione e gli studenti, sia un nuovo modello di privatizzazione dell’istruzione. Abbiamo inoltre analizzato i rischi di trasformare l’intelligenza artificiale in un regime di verità umana, nonché i problemi causati dalla disumanizzazione della didattica a distanza attraverso formati di apprendimento esclusivamente virtuali e standardizzati.

L’analisi dell’impatto dei progetti conservatori sull’educazione è stata una delle principali preoccupazioni di questo congresso mondiale, ancora di più quando i loro paradigmi cercano di imporsi sui sistemi scolastici e sulle università. La difesa della laicità, della libertà di idee, dell’educazione sessuale completa, del diritto di decidere liberamente del proprio corpo, del riconoscimento della diversità sessuale, etnica e nera, è seriamente minacciata dal neoconservatorismo educativo. L’unico modo per scongiurare questo pericolo è con più democrazia e pensiero critico nell’istruzione. E’ così che l’abbiamo intesa e ratificata.

Ciò pone nuove e rinnovate sfide per il sindacato e il movimento studentesco nel campo dell’istruzione. La prospettiva di classe è potente nella misura in cui approfondisce la democrazia partecipativa, il controllo sociale e la rotazione delle posizioni, principi che abbiamo ereditato dalla Comune di Parigi.

Abbiamo molto da imparare dai movimenti sociali del 21° secolo, in particolare dal femminismo e dall’ambientalismo che hanno trovato le chiavi per mobilitarsi e contestare l’egemonia. Per questo osiamo sognare una giornata mondiale di mobilitazione per il diritto all’istruzione, un’utopia per la quale stiamo lavorando e impegnandoci. Stiamo avviando un dialogo globale affinché l’8 ottobre 2025 sia l’inizio di convergenze che riuniscano energie, coscienze e idee per mobilitarsi in tutto il mondo per un’istruzione pubblica al servizio del popolo e non del capitale.

Abbiamo ascoltato i nostri fratelli e sorelle di diversi territori del mondo, che ci hanno mostrato come il neoliberismo assuma migliaia di maschere per cercare di imporre la mercificazione, la privatizzazione e la cultura valutativa neoliberista.

Ci è diventato chiaro che ovunque la costruzione della resistenza anti-neoliberista è stata efficace nella misura in cui siamo riusciti a creare ampi fronti sociali di sostegno che convergono nella mobilitazione. In questo orientamento, volontà, conoscenza e consapevolezza critica si combinano per poter andare avanti.

Non c’è movimento sindacale e studentesco al di fuori del movimento pedagogico e della disputa delle idee. Si tratta di dinamiche intrecciate che fanno parte di un altro modo di concepire l’educazione, l’apprendimento, la rivendicazione della conoscenza che contribuisce alla giustizia sociale. Per questo motivo, ci siamo impegnati ad accompagnare, promuovere e rafforzare il movimento pedagogico all’interno delle nostre corporazioni e sindacati, in modo che dalle loro riflessioni e idee sia possibile costruire proposte alternative coerenti e radicali.

Creeremo il nostro sistema formativo, editoriale e di comunicazione, basato sull’esperienza di Altre Voci nell’Educazione e su quelle che ogni sindacato ha sviluppato nel tempo. Ricerca, Formazione, Comunicazione e Organizzazione (INVEDECOR), hanno lavorato insieme, come paradigma del lavoro che svolgeremo in questo campo. Nel 2025 lanceremo la nostra iniziativa editoriale, formativa e di comunicazione che si affianca al lavoro che svolgiamo nei territori.

La nostra storia di confluenza è solo all’inizio. Abbiamo deciso di incontrarci di nuovo nel 2026, al Quarto Congresso Mondiale contro il Neoliberismo Educativo, invece di quello che annunceremo nell’aprile 2025. Nel frattempo, avanzeremo nella realizzazione delle Conferenze Internazionali di Classe e del Unionismo Autonomo insieme al Movimento Pedagogico e Studentesco che si terranno nell’aprile 2025 in Messico, un’altra nell’ottobre dello stesso anno virtualmente e una terza, di persona, a Quito, in Ecuador. Allo stesso modo, promuoveremo la Scuola Sindacale Internazionale e il Congresso Pedagogico di Educazione Popolare nella prima metà del 2026. Con gioia e impegno raddoppiato proclamiamo che continueremo a incontrarci su tutte le strade, a raccogliere e tessere resistenze antineoliberiste e anticapitaliste, che ci permettano di continuare a progredire nell’educazione dei popoli, con libertà, giustizia sociale, solidarietà e amore per la vita.

https://www.lacittafutura.it/cultura/dichiarazione-finale-del-terzo-congresso-mondiale-contro-il-neoliberismo-educativo

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La internacionalización universitaria de la tercera revolución industrial (1972 – 1980)

La internacionalización universitaria de la tercera revolución industrial (1972 – 1980)

Luis Bonilla-Molina

 

Introducción

Las dinámicas de internacionalización universitaria, al ser un continuo histórico, se imbrican y entrelazan en distintos momentos. En el caso de la internacionalización universitaria neoliberal, si bien su auge es a partir de los setenta del siglo XX, es imposible comprenderla sin vincularla a hechos y procesos que le precedieron, especialmente a finales de los cincuenta y en el conjunto de la década de los sesenta, así como en su continuidad durante la égida neoliberal desde los ochenta.

Lo que es cierto es que ya no resulta suficiente decir que hay que hacer lo contrario a lo que plantee el capitalismo para contar con una propuesta alternativa, porque ahora el mercado “invade” nuestro campo y lo resemantiza, haciendo más compleja la distinción de orientaciones estratégicas.

En las próximas líneas mostraremos estos problemas y los cursos de cambio educativo que ha abierto el modo de producción capitalista, como relaciones sistémicas e interconectadas.

Tercera revolución industrial e internacionalización universitaria

La tercera revolución industrial formó parte de los cambios importantes ocurridos en las rutinas del modo de producción capitalista en las últimas décadas del siglo XX. La crisis de acumulación, el impacto de la escalada de los precios del petróleo en los setenta, el ocaso del fordismo, el surgimiento de modelos de gestión empresarial posfordistas (Gestión de Calidad Total, el Benchmarking, Justo a Tiempo, entre otros), la globalización neoliberal, crisis de la deuda externa y financiarización de la economía, la mundialización cultural hegemónica, el inicio de un ciclo regresivo -que se mantiene hasta el presente- en las conquistas laborales y de seguridad social como parte del proceso de desmantelamiento del Estado de Bienestar Keynesiano, fueron solo algunos de los elementos del contexto. Las conversaciones Nixon-Kissinger con Mao-Deng que abrieron la senda para el retorno al capitalismo en la China Comunista, se complementaron con la degradación burocrática en la economía -y el conjunto de la sociedad- soviética hasta su implosión años después. La educación no podía quedar ajena a cambios de esta magnitud.

Los sistemas escolares y universidades que conocemos, han sido altamente influenciada por los requerimientos del capital, en el marco de las dos primeras revoluciones industriales. Si bien la universidad como institución es previa al auge del capitalismo industrial, el modo de producción capitalista moldeó su institucionalidad, procesos y dinámicas, a partir de la primera revolución industrial.

Eje de la enseñanza y el aprendizaje fundamentado en la apropiación y divulgación del método científico en todas las áreas, la transición del dogmatismo religioso al laicismo, el conocimiento organizado para la enseñanza de manera escalar de lo simple a lo complejo, su estructura curricular por especialidades, los enfoques disciplinares del aprendizaje, la innovación científica que interactuaban con la tradición tecnológica expresada en ciclos largos de novedades, los perfiles de egreso estudiantil como hilo conductor de la formación profesional, entre otros elementos, marcaron la pauta de la educación superior en el marco de las primeras revoluciones industriales.

En el intersticio, la universidad fue increpada por el capital para que impactara mucho más al desarrollo de las fuerzas productivas, el orden social y la gobernabilidad, mientras desde los sectores populares la demanda era por mayor compromiso con la justicia social, lo que llevó -por estas distintas razones- a incorporar la extensión a las labores de docencia e investigación que realizaba. En ese contexto de movilidad sistémica ocurre el advenimiento de la tercera revolución industrial.

Ernest Mandel (1962) define con claridad los rasgos distintivos de la tercera revolución industrial, que deben ser valorados en la larga transición de máquinas hechas manualmente, a máquinas que hacen máquinas, pasando por las máquinas que producen materias primas y alimentos, hasta llegar -en el presente- a las maquinas que construyen ideas y pretenden construirse en régimen de verdad sobre lo humano.

Para Mandel, La tercera revolución industrial se caracteriza por:

  1. tendencia al desplazamiento del trabajo vivo por el muerto;
  2. transferencia progresiva de la fuerza de trabajo dedicada a la producción directa de mercancías a labores de dirección y supervisión de la producción cada vez más automatizada;
  3. traslado de los costos de la incorporación de la maquinaria automatizada al producto final, lo cual genera un crecimiento colosal en valor e, incremento en la aplicabilidad de agregados de maquinaria automática controlada cibernéticamente (pag.232);
  4. cambio en las proporciones apropiadas de plusvalor, generados en la misma empresa y en otras empresas involucradas en la cadena de producción;
  5. incremento de los costos de producción en materia de compra de maquinarias y medios de circulación, mientras decae la inversión en construcción de infraestructura;
  6. reducción de los periodos de producción de mercancías y de circulación de stock (posfordismo);
  7. tendencia al incremento de la investigación para la producción e inicio de la caída en investigación en otras áreas;
  8. periodos más cortos de capital fijo, especialmente de maquinarias, así como la reducción del paradigma de la libre competencia por el de la programación de la producción;
  9. aumento del capital constante en el valor medio de la mercancía, lo cual implica una mayor composición orgánica del capital;
  10. intensificación de las contradicciones en el modo de producción capitalista, especialmente entre la creciente socialización del trabajo y la apropiación privada, el valor de uso y el valor de cambio, la acumulación del capital y su valoración, en este último caso abriendo paso a la financiarización de la economía.

En educación, desde la lógica del capital, esto se expresó en:

  1. demandas de nueva formación profesional y laboral, con perfiles de egreso más polivantes;
  2. incorporación en la formación profesional y laboral para la gestión de procesos, del emprendimiento, autogestión de la vida, inteligencia emocional, resiliencia, empatía que rompiera con la tradición del conflicto para dirimir las relaciones entre patronos y trabajadores. Este proceso se fue dando lentamente y no de manera simultánea, en las seis décadas siguientes al desembarco de la tercera revolución industrial;
  3. El desarrollo de sistemas de clasificación y competencia (escolar y universitaria) que atrajeran la inversión privada a la educación pública, permitiendo el impulso de diversas formas de mercantilización y privatización educativa que transfirieran a los ciudadanos los costos de los cambios en curso;
  4. El auge del modelo de buenas prácticas escolares y universitarias (benchmarking educativo) que fueran abriendo paso a la internacionalización de manera homogénea, especialmente en el modo de entender el trabajo de las instituciones de educación superior;
  5. La conversión del paradigma liberal del derecho humano a la educación a lo largo de la vida, en un derecho para la empleabilidad;
  6. El desarrollo de esquemas de transferencia de los costos de formación profesional a los estudiantes y familias (créditos con intereses, cogestión educativa), como una forma de expandir la lógica del mercado en educación;
  7. Impulso de los esquemas de investigación, docencia y extensión, centrados en la “utilidad” ´para la economía, gobernabilidad y consumo. Eso implicaba reducir o eliminar en los planes de estudio lo que no se vinculaban directamente con la producción, empleo, compra de mercancías, paz social y desarrollo centrado en la acumulación capitalista;
  8. necesidad de superar el paradigma disciplinar por la transdisciplinariedad y/o el pensamiento complejo,
  9. esfuerzo sistemático por superar la curricularización rígida de la enseñanza que limitaba las posibilidades de incorporar lo nuevo en tiempo real y, abrir la etapa de la curricularización flexible y abierta. Esta ruptura con la tradición de los sistemas escolares y universidades, respecto a lo que ocurría en las dos primeras revoluciones industriales, ha sido comprendido de manera muy precaria por las propias burocracias educativas afines ideológicamente a la lógica del capital, por lo que muchas reformas siguen centrándose en el currículo prescrito y cerrado;
  10. surgimiento del paradigma STEM, que centra la labor docente en lo que se debe hacer para acoplar la enseñanza-aprendizaje, a los cada vez más cortos ciclos de innovación científico-tecnológica vinculados a las necesidades del modo de producción capitalista;
  11. superación de los paradigmas taylorista y fordista en la gestión escolar universitaria, impulsando el paradigma posfordista de calidad en la educación;
  12. imposición de la cultura evaluativa neoliberal como operación de la internacionalización universitaria para comprobar los avances en la “actualización” de la educación superior respecto a lo que demanda el modo de producción capitalista;
  13. redefinición de los perfiles de egreso profesional centrándolos ahora en las competencias;
  14. marco homologado de las competencias escolares y universitarias a escala mundial para facilitar la internacionalización universitaria;
  15. estandarización de las políticas de cambio educativo, mediante operaciones institucionales y políticas públicas que hagan eficiente la estrategia de internacionalización universitaria (normalización, sistemas seriados, arbitrados e indexados de publicaciones, acreditación universitaria, rankings académicos, micro acreditación, convenios de reconocimiento de títulos, entre otras);
  16. relanzamiento de las políticas de movilidad estudiantil y académica calificada, para la “racionalización productiva” de la “fuga de cerebros” y el flujo más eficiente de los nuevos paradigmas del centro a la periferia capitalista. En esta estrategia, los órganos nacionales de investigación, ciencia y tecnología, así como los procesos de ascenso académico y asignación salarial en las universidades juegan un rol central.

Estos requerimientos, que parecían abstractos, demandaban una traducción educativa en los territorios e instituciones. La academia y los intelectuales alineados con el sistema fueron convocados para generar investigaciones “confirmatorias”, que legitimaran el cambio en curso. El complejo industrial cultural jugó un papel central en la estrategia comunicacional de implantación y consolidación, usando el término polisémico de la calidad como un comodín multiuso.

Homogenización y estandarización: nueva etapa de la internacionalización universitaria

La estandarización es el proceso mediante el cual se establecen criterios y parámetros, ponderables y comparables a nivel mundial, de entrada y salida, para los procesos de enseñanza y aprendizaje. Por otra parte, la homogenización está referida a las dinámicas y rituales institucionales, mediante los cuales se hacen converger e interactuar estos estándares, para alcanzar la estrategia que responda a determinados intereses correlaciones de fuerza.

La estrategia, en el actual periodo del capitalismo, es la internacionalización universitaria, que procura alcanzar sincronía total entre de las dinámicas de docencia, investigación y extensión universitaria con los requerimientos del modo de producción capitalista en la tercera revolución industrial (y que continúa en la transición a la cuarta revolución industrial). La operación que viabiliza la estrategia es la cultura evaluativa neoliberal.

La cultura de la autonomía universitaria contenía correlaciones de fuerza en la vida académica con las cuales el cambio tenía no solo que dialogar sino alinear.  En las instituciones de educación superior (IES) no se puede forzar, al menos en el corto plazo, una transformación de esta significación sin generar caos, conflicto y elevar exponencialmente las resistencias (narrativas y con los poderes políticos, económicos, religiosos y tecnológicos de facto).

Por esta razón, la construcción de viabilidad implicaba -y sigue siendo así- un largo proceso de construcción de falso “sentido común”, que atenuara la percepción de externalidad en la estrategia y posibilitara el proceso de instauración de la internacionalización universitaria neoliberal. En este camino, había que convencer al mundo universitario de la necesidad de evaluar y clasificar de manera estandarizada y homologada la actividad académica, usando para el ello el paradigma de la meritocracia, lo cual demandó décadas, para que no fuera evidente que esta estrategia capitalista era una violación de la autonomía universitaria.

En la tercera década del siglo XXI, es evidente que el capitalismo ha logrado “naturalizar” la bibliometría, los rankings, la acreditación universitaria, la movilidad profesoral y estudiantil basada en la inmersión en las “buenas prácticas” y la mercantilización de la productividad académica. Este es el mayor triunfo de la cultura evaluativa neoliberal.

La estandarización y homogenización ha sido una tendencia constante en el tiempo histórico de la universidad latinoamericana y caribeña, pero nunca había alcanzado las dimensiones, ni logrado tal grado de cohesión y direccionalidad, como lo ha hecho a partir de la tercera revolución industrial.

Por supuesto, la internacionalización universitaria neoliberal requiere una “adaptación nacional” para poder presentar las acciones que converjan con esta estrategia, como propias y singulares, iniciativas locales que van al encuentro de lo global, cuando en realidad el proceso se ha generado a la inversa.  Al instaurarse a nivel mundial la cultura evaluativa neoliberal -corazón de la internacionalización universitaria- el capitalismo pretende desarrollar una dialéctica entre lo global y lo local, que le permita hacerla más eficiente.

El problema reside en la complejidad de las interacciones sistémicas de las operaciones propias de la estrategia de internacionalización universitaria, que suelen aparecer para las burocracias institucionales y el común, como autónomas, fragmentadas, desconectadas y difusas. Al no captarse la direccionalidad y sentido complementario de las operaciones de la internacionalización universitaria, esto puede conducir a errores de priorización desigual de las mismas o de omisión de alguna de ellas, afectando las posibilidades de logro para la lógica del capital.

Sin embargo, como lo explica Anderson (1991), lo nacional es una comunidad imaginada que comporta subjetividades, porque “los miembros de la nación … no conocerán jamás a la mayoría de sus compatriotas, no los verán ni oirán siquiera hablar de ellos, pero en la mente de cada uno vive la imagen de su comunión” (pág. 24).  En el caso de Latinoamérica, no suele haber una idea de la “educación nacional” diferenciada de manera sustantiva en lo escolar y universitario global de lo externo, como tampoco se está exento de las antiguas y nuevas formas de colonización cultural que impone en materia educativa el sistema mundo capitalista. En consecuencia, la identidad educativa nacional muchas veces suele ser un espejismo, más aún si se combina con la calidad educativa.

Por ejemplo, los órganos nacionales para la promoción de la investigación, ciencia y tecnología, que se fueron creando y extendiendo como una hiedra en la región -después de la segunda guerra mundial y el marco del surgimiento de la tercera revolución industrial- promovidos por la mirada cepalina (naciones Unidas) del desarrollo, hicieron posible que, desde la externalidad del mundo universitario, las ideas de lo nacional en las políticas universitarias estuvieran alineadas a los objetivos que para el sector le imponía el centro a la periferia capitalista.

Se suele pensar el papel de estos organismos para la promoción de la ciencia, investigación y tecnología como apoyos al sector universitario, cuando en realidad su trabajo ha significado formas sui generis de quebrar la autonomía universitaria, debido a tres factores. Primero, el presupuesto asignado a estas instancias debió ser asignado directamente a las propias universidades y, en la medida que se incrementa su porcentaje tiene efectos colaterales de desinversión para las IES. Segundo, la priorización de agendas de investigación, docencia y extensión desde un lugar de enunciación ajeno a la universidad que sufre problemas de precarización presupuestaria, se convierte en una injerencia indirecta en la definición de prioridades, lo cual vulnera la propia autonomía. Tercero, estos organismos crean un referente de autoridad en la gestión universitaria que depende de los gobiernos centrales y, por lo tanto, sus prioridades (docencia, investigación y extensión) no suelen ser las de la academia, sino las de la superestructura política.

En sus inicios, la “mediación” de estos órganos nacionales de ciencia, tecnología e investigación, adquiría especial importancia ante la ausencia -o debilidad institucional- de ministerios dedicados exclusivamente al sector universitario, así como por la precaria experticia y autoridad que sobre la educación superior tenía en sus inicios la UNESCO[2]. Lo cierto es que el desarrollo del multilateralismo de la post guerra, mostró la renovada vocación de internacionalización educativa (dentro de ella la universitaria) que tendría el capitalismo en la tercera revolución industrial.

Cómo en las alternativas anti sistema -diríamos hoy anticapitalistas- el internacionalismo era un principio orgánico, la internacionalización educativa -y universitaria- en muchos casos fue erróneamente valorada como progresista. Aún más, cuando la UNESCO -promotora de la normalización educativa– en el marco de la guerra fría, jugaba el rol de espacio de encuentro entre el mundo capitalista y el socialista soviético. Eso no solo facilitó la legitimación de UNESCO, sino que le dotó de un falso manto de neutralidad, que hoy perdura en amplios sectores del magisterio.

Esto no niega ni procura obviar los esfuerzos autónomos por construir políticas educativas nacionales, las cuales han surgido en el marco de las contradicciones inter burguesas, nacionalistas o de carácter nacional popular, como tampoco lo que significó la revolución cubana (1959) en la región. Lo que pretendemos subrayar es el carácter hegemónico y estandarizado que va tomando la internacionalización universitaria, en la tercera revolución industrial y la fase de hegemonía imperialista de los Estados Unidos.

Discurso político, poder e internacionalización

Lacan (1974) en “Reverso del Psicoanálisis” identifica cuatro niveles de la producción del discurso político en las relaciones de poder, los cuales marcan la dinámica entre opresión y liberación. Estos cuatro niveles son: a) el discurso sin límites del amo castrado, b) el papel de la academia en la construcción de narrativas que legitimen la posición del amo, c) la histeria del común, marcada por los “límites” impuestos por el amo, d) el papel del analista “subversivo” (el saber cómo medio de goce) que intenta construir narrativas que develen esta realidad.

A los efectos de este trabajo, parafraseando a Lacan, nos interesa identificar, en un primer momento, la política del “amo capitalista”, que se expresa en varios y complementarios proyectos económicos simultáneos del capital[3] que, si bien tienen diferencias en las disputas por las ganancias derivadas de los mercados educativos, comparten la orientación estratégica de la internacionalización universitaria.

En un segundo momento, entender el “despiste universitario” sobre la orientación política, económica e ideológica de la internacionalización universitaria que se implementa, generándose con ello una crisis de comprensión sobre el sentido real de la misma y, vacíos en el corpus analítico alternativo, que limitan la capacidad autónoma para pensar y elaborar políticas públicas universitarias sobre la internacionalización. La academia de derechas y vinculada a la lógica del capital, solo atinó a realizar estudios confirmatorios, pero no tuvo la capacidad de abrir caminos para implantar lo nuevo-

Tercero, se ha generado una “histeria” colectiva sobre la calidad educativa, un término polisémico y por lo tanto ambiguo, que asociado a la estrategia de internacionalización universitaria construye falso sentido común sobre lo que la ciudadanía aspira para la educación de sus hijos, la propia y de la comunidad. Esto justifica las políticas educativas asociadas a este fenómeno, limitando las resistencias a la cultura evaluativa neoliberal (competencia, clasificación, estratificación, movilidad) implícita en la internacionalización universitaria.

Cuarto, lo que incomoda a la hegemonía imperante, es la construcción desde abajo y los márgenes, de narrativasprácticas y propuestas colectivas que develen el sistema de relaciones de poder constituidos alrededor y dentro de la internacionalización universitaria.  Lo subversivo es analizar y mostrar, que la internacionalización universitaria tiene como lugar de enunciación la racionalidad capitalista y, no la autonomía académica. La perversión de la reproducción funcional se supera con el goce del saber crítico.

Las metáforas lacanianas nos sirven para ilustrar que lo que está en juego es una disputa sobre los sentidos de la actividad académica y la internacionalización universitaria.

Crisis educativa

En la narrativa capitalista surgen denominaciones  que se usan para construirle viabilidad social a la internacionalización universitaria neoliberal en el marco de la tercera revolución industrial. Las expresiones más usadas son “crisis educativa”, “crisis de la calidad universitaria”, “crisis civilizatoria en la educación superior”.  Estos enunciados se han promovido por el centro capitalista, desde la década de los sesenta del siglo XX (seis décadas), muy especialmente en el decenio 1962-1972 (desde el memorándum sobre educación del Banco Mundial hasta el Informe Faure), periodo en el cual se sentaron las bases conceptuales y operacionales de la internacionalización universitaria capitalista.

Desde la lógica del capital, tres grandes sucesos marcan hitos en la construcción de la idea hegemónica de crisis educativa en general y del sector universitario en particular.  Primero, determinado por la llegada de la tercera revolución industrial y sus demandas específicas y novedosas sobre la actividad académica. Segundo, los debates impulsados desde las instancias de poder mundial del capitalismo sobre la urgencia de un cambio en los sistemas escolares y universidades.  Tercero, la precariedad en la construcción de análisis alternativos contextualizados y en profundidad.

Paradójicamente, también desde el campo popular y revolucionario, la década de los sesenta significó un hito importante en el cuestionamiento de la gestión y orientación estratégica de las universidades. El mayo francés, las movilizaciones antirracistas y contra la guerra de vietnam en los Estados Unidos, el movimiento latinoamericano por la reforma universitaria, las insurgencias estudiantiles en distintos países, planteaban que, ante la crisis de la educación universitaria, había que ser realistas y soñar lo imposible[4].

En consecuencia, la palabra crisis se hizo presente en las dos caras de la moneda, planteando la urgencia de transformar la universidad. En el capitalismo de la tercera revolución industrial se da la paradoja, que desde distintos lugares de enunciación (poder dominante y alternativas), se plantea desde hace seis décadas que hay que cambiar radicalmente la universidad. Las IES, por distintas razones, estaban siendo -y siguen- cuestionadas a nivel global, lo cual fue aprovechado por los impulsores del neoliberalismo para abrir paso a soluciones estandarizadas y homogenizadas en formato de internacionalización universitaria.

Documentos que sirvieron de partida a la internacionalización neoliberal de las universidades

Banco Mundial

Sin pretender simplificar, podemos identificar los principales documentos fundantes de la internacionalización universitaria neoliberal en el marco de la tercera revolución industrial. Estos son:

  1. el memorándum del Banco Mundial,
  2. el informe Coleman (1966),
  3. Los papeles de trabajo y conclusiones de la Conferencia Internacional sobre la Crisis Mundial de la Educación (1967),
  4. la publicación del libro de Philip Coombs sobre la crisis mundial de la educación (1968),
  5. la conformación de la Comisión Internacional de UNESCO que elaboró el informe “Aprender a Ser (1972), mejor conocido como Informe Faure.

Luego, estos documentos serían complementados con una serie de trabajos del Banco Mundial, UNESCO (especialmente el IIPE, CRESALC-IESALC y la Dirección de Educación Superior del organismo multilateral), Banco Interamericano de Desarrollo (BID), Naciones Unidas, entre otros. Entre los documentos posteriores es necesario señalar los que circularon para las tres conferencias regionales y mundiales de educación superior, así como la CRES+5 (2024).

Como precisa Bonilla-Molina (2023) en el trabajo “El Banco Mundial en la educación superior (1962-2000)”, esta instancia de conducción de la política económica mundial, creada en el marco del nuevo orden surgido en las postguerras, desplegó abiertamente su trabajo en materia educativa en 1962, con la aprobación del primer proyecto educativo. La labor crediticia del BM en el sector educación, entre 1962 y 1970 se centró en fortalecer las iniciativas de enseñanza, orientadas a atender las demandas de mano de obra del modo de producción capitalista.

Es a partir de septiembre de 1971, cuando el BM en el documento “Education: sector working paper” comienza a perfilar un trabajo internacional de promoción del cambio educativo, mediante el estudio sistemático de los casos nacionales de las Instituciones de Educación Superior (IES). Este documento del Banco Mundial converge con las conclusiones del libro del norteamericano y técnico del IIPE UNESCO Philip Coombs, titulado “The World Crisis in Education: the view from the eighties”. Se inaugura así, una serie de documentos del Banco Mundial, que aún hoy continúan construyendo un marco normativo neoliberal para el cambio universitario, especialmente en materia de internacionalización universitaria.

En el documento de 1971 el Banco Mundial (BM) plantea:

  1. la necesidad de actualizar la capacidad de gestión del sector universitario a nivel internacional, en sus áreas de organización, planificación, evaluación y supervisión,
  2. esta actualización debe impactar al currículo y los métodos de enseñanza,
  3. el crecimiento de la cobertura universitaria debe fundarse en la identificación de nuevas y diversas fuentes del financiamiento de las IES,
  4. Se necesitan reformas estructurales e integrales y menos cambios sectoriales.

Evidentemente, el BM intentaba alinear las respuestas del sector universitario a los requerimientos de formación, investigación y extensión que emanan del modo de producción capitalista en la tercera revolución industrial. El paraguas sobre el cual construye sus propuestas de cambio es la noción de “crisis educativa”. La estrategia es la internacionalización universitaria con distintas dinámicas convergentes de cultura evaluativa neoliberal.

La intervención abierta del BM en la agenda educativa y, en especial del sector universitario, es una señal inequívoca del interés del sistema en producir un cambio radical en las IES, convocando a todos los actores de la superestructura a esta tarea, procurando eliminar cualquier duda de los gobiernos y los conductores de instituciones al respecto.

Informe Coleman

Después del banderazo de 1962 por parte del BM, el gobierno de la nación imperial surgida de las postguerras mundiales del siglo XX, abre un debate sobre la eficiencia de la educación en su propio patio. De hecho, los intereses estratégicos de los Estados Unidos eran -y son-  los más impactados por la vorágine de aceleración de la innovación científico tecnológica que trajo la tercera revolución industrial. Por ello, el interés en actualizar los sistemas escolares y universidades para alinearlos a la reproducción y consolidación de su rol imperial.

El Informe Coleman (1966) constituye un hito en la caracterización de problemas complejos de los sistemas escolares que afectan la gobernabilidad del sistema, incluido el impacto de lo tecnológico en la concentración de riqueza, con la menor generación de desigualdades sociales en su país. El resultado del Informe Coleman instala la idea que la educación norteamericana está en crisis y se debe promover un cambio de manera rápida y efectiva. El meta mensaje consistía en mostrar que esto no era anomalía ni singularidad, sino que la crisis de la educación en Norteamérica y la necesidad de reformas educacionales en ese país, debería ser una regularidad en el resto de las naciones industrializadas, pero también las dependientes, es decir, en el centro y la periferia del sistema mundo.

Este diagnóstico permeó al movimiento social y mediático de los Estados Unidos que comenzaba a ser sacudido por el movimiento hippie, las protestas por la paz en el sudeste asiático, la solidaridad con los movimientos que cuestionaban la racialización de la sociedad, así como por logro de cupo universal para las juventudes en las universidades. La onda de las ideas libertarias del socialismo, la revolución cubana y los cursos de las independencias nacionales en áfrica, así como la beligerancia de las clases subalternas en Asia contribuyeron al surgimiento del protagonismo estudiantil universitario norteamericano y de los países industrializados, que cuestionaban desde otro lugar de enunciación a las IES. El sistema ve a las protestas estudiantiles, el movimiento libertario hippie y la creciente beligerancia social como un signo claro de problemas educativos que tocan a las universidades.

La idea de una nueva reforma educativa recorre al continente latinoamericano y caribeño, mientras desde distintos flancos se cuestiona la legitimidad y eficacia de la formación universitaria en la nación más ´poderosa del planeta.

Conferencia Internacional sobre la Crisis Mundial de la Educación

Esta construcción de hegemonía para la internacionalización del cambio universitario, tiene un capítulo especial en la convocatoria hecha por el propio presidente norteamericano Lyndon  Johnson, para la celebración de la Conferencia Internacional sobre la Crisis Mundial de la Educación (1967), a la cual asisten 150 delegados de 52 países que acuerdan promover iniciativas para un cambio de los sistemas escolares y las universidades a nivel mundial, dando un paso gigantesco en la reelaboración de las agendas para la internacionalización, conforme las exigencias del ese momento.

La Conferencia Internacional, sacudida por los resultados del Informe Coleman, llega a la conclusión  que la crisis no es exclusiva de los EEUU, sino un rasgo de la educación en el sistema capitalista en su conjunto como resultado de la nueva realidad derivada del impacto de la tercera revolución industrial en el modo de producción capitalista.

Los objetivos centrales de este evento fueron:

  1. diagnosticar la naturaleza, causas y proyecciones de la crisis mundial de la educación,
  2. consensuar una estrategia internacional común para enfrentar y superar las causas de esta crisis.

El documento central del evento fue encargado al IIPE-UNESCO, creado en 1962 y dirigido para ese momento por Philip Coombs, quien había estado al frente del Departamento de Educación de los Estados Unidos en la administración Kennedy.

Para la realización de los debates y la construcción del discurso del poder (los amos en el sentido lacaniano), se establecieron diez grupos de trabajo, cada uno dirigido por especialistas del área:

  1. administración escolar (Dr. King, del departamento de Educación de la OECD),
  2. finalidades y contenidos de la educación (Dr. Beeby, de la Universidad de Londres),
  3. estructura de los sistemas escolares (Dr. Bereday, Universidad de Columbia),
  4. Formación docente (Dr. Butts, Universidad de Columbia),
  5. democratización de la enseñanza (Bowles, Fundación Ford),
  6. Educación Informal (Schwartz, Instituto Nacional de Formación de Adultos de Francia),
  7. Nuevas Tecnologías (Dr. Leussink, Universidad Fridericiana de Karlsrube, Alemania),
  8. productividad de la educación (Dr. Edding, Instituto de Investigación Pedagógica de Berlín),
  9. Investigación para Mejorar la Educación (Dr. Husén, Instituto de Investigación Pedagógica de Estocolmo),
  10. Cooperación Internacional para el Fomento de la Educación (Dr. Quik, Fundación Universitaria de Cooperación Internacional de La Haya).

Las conclusiones, mencionadas por Villa-Gómez (1967) fueron:

  1. promover un Mercado Común Mundial de la Educación,
  2. creación de un Consorcio Internacional para la coordinación de los programas de asistencia técnica y financiera en materia educativa,
  3. duplicar la ayuda internacional en materia educativa en los siguientes cinco años,
  4. Concentrar la cooperación los llamados países en desarrollo,
  5. priorizar el financiamiento para la planificación educativa, innovación tecnológica, cambio en los planes de estudio, racionalización y modernización de la administración educativa,
  6. condicionar la ayuda educativa a los países a cuatro factores:
  7. la estrategia de aplicación de la ayuda debe estar consensuada entre donantes y sector educación que lo recibe,
  8. establecer sistema de evaluación periódica de los cambios (imposición de la cultura evaluativa en la gestión educativa),
  9. la productividad como criterio del apoyo multilateral y de fuentes multinacionales,
  10. el sistema educativo y las IES que reciben ayuda internacional deben estar alineadas a un plan de desarrollo nacional conforme a la división internacional del trabajo. Estos elementos serían centrales en el curso que tomaría la década siguiente la internacionalización universitaria.

The World Crisis in Education: the view from the eighties

Al año siguiente, el señor Philip Coombs, publica en formato de libro, una versión mejorada de los documentos que había trabajado para la Conferencia Internacional, bajo el título “Crisis Educativa Mundial” (1968), en el cual se amplían los conceptos, afirmaciones, debates y conclusiones de la reunión internacional convocada por el presidente Johnson. El libro de Coombs, al ser una figura mundial de UNESCO, saca el debate de la “crisis educativa” de las fronteras norteamericanas y lo coloca en el propio corazón del organismo multilateral creado por Naciones Unidas para el fomento de la educación, cultura y comunicación.

Aprender a ser: la educación del futuro

Esto obligó al organismo de la Plaza Fontenoy de París, a escalar el debate (de los amos del poder) a nivel planetario. En consecuencia, convoca a la conformación de una comisión internacional que estudió el “estado de la educación mundial”. Si bien la convocatoria a la investigación no se alinea inicialmente con la idea de “crisis educativa”, los resultados de la misma si lo harían.

En el apartado “puntos de referencia actuales” de “Aprender a Ser: la educación del futuro” se parte del enunciado que la “sociedad rechaza los productos de la educación” (pag.62) porque la educación que precedía las transformaciones económicas, tecnológicas y culturales ha perdido esa capacidad y, en consecuencia, ha diluido sus posibilidades de prever el futuro inmediato con conocimiento adecuado para cada tiempo histórico.

En el inciso “desigualdades en la universidad” el informe Faure, se crítica el efecto de los paliativos para promover la igualdad de oportunidades, si estos no están vinculados a una estrategia integral de meritocracia que sea capaz de superar los obstáculos internos, que además pueda ser valorada adecuadamente mediante modelos de evaluación institucional.

Lo que confirma el Informe Faure (1973) es la necesidad de un cambio radical de la universidad y los sistemas escolares, que se abra paso mediante una adecuada cultura evaluativa de las IES y el resto de instituciones educativas para lograr recuperar su capacidad de prever y preceder.

A partir de este momento, la máscara altruista y despolitizada de la UNESCO comenzó a caerse, mostrándose como un aparato trasnacional o multilateral alineado a los intereses dominantes, algo que analizamos en profundidad en otros textos.

Las “soluciones” del capitalismo en materia educativa, comenzaron a plantearse abiertamente como mundiales, estandarizadas y comparables, para tratar de producir un giro en los sistemas escolares y las universidades. A esa operación se le dio el nombre de internacionalización y tomó variadas formas: normalización educativa, acuerdos para el reconocimiento de títulos y convalidación de estudios en diferentes países, compatibilidad curricular, sistemas de serialización de publicaciones, mecanismos de arbitraje e indexación, financiamiento de la movilidad académica y estudiantil, promoción de la migración calificada, generación de las categorías e indicadores para la medición y clasificación, sistemas de acreditación universitaria, rankings universitarios, micro acreditación de estudios, diversificación del financiamiento universitario, procesos de neo privatización (diversificación de las fuentes de financiamiento público, transformación digital de la educación) y deslocalización de los centros de enunciación de políticas educativas (filantropía empresarial, empresarios por la educación, otras formas de sociedades económicas).

Como veremos más adelante, las Conferencias Regionales de Educación Superior (CRES 1996, 2008, 2018, CRES+5 2024), las Conferencias Mundiales de Educación Superior (1998, 2009, 2022), los acuerdos multilaterales y las convenciones mundiales fueron instrumentos para su aplicación, cumpliendo además la función de válvulas de escape para las críticas a la tendencia hegemónica.

En este periodo, la internacionalización se asume ya no como una adaptación nacional a las experiencias exitosas ubicadas en otras latitudes -propio de los ciclos anteriores-, sino como una necesidad del sistema mundo de alinear los esfuerzos universitarios en una misma dirección, independientemente de las graduaciones propias del desarrollo desigual y combinado del capitalismo, en un nuevo contexto de nueva división internacional del trabajo, incluido el profesional e intelectual.

La innovación como problema

La pregunta natural que surge es ¿por qué en ese momento el capital redobla su discurso sobre la crisis educativa? ¿Le llegó la hora a la transformación radical de los sistemas escolares y universidades? ¿Por qué el sistema mundo no lo hizo antes? Siempre se dijo desde la teoría crítica que los sistemas escolares y universidades habían servido para la reproducción simbólica y material del modo de producción capitalista ¿que había cambiado entonces?

 

Fuente de la Información: https://luisbonillamolina.com/2024/11/30/la-internacionalizacion-universitaria-de-la-tercera-revolucion-industrial-1972-1980/

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Brasil: Manifiesto de convocatoria para el Tercer Congreso Mundial contra el Neoliberalismo Educativo

Manifiesto de convocatoria para el Tercer Congreso Mundial contra el Neoliberalismo Educativo

 Luis Bonilla-Molina

Manifiesto

La lucha por defender la educación pública ante la ofensiva neoliberal

Documento de política para el Tercer Congreso Mundial Contra el Neoliberalismo Educativo

El derecho a la educación pública universal es un logro del pueblo, arrebatado al capitalismo en décadas de lucha. Sin embargo, las burguesías nacionales e internacionales continuaron intentando mantener los sistemas escolares y las universidades dentro del marco limitado de la empleabilidad y el control social.

En los años sesenta, la Conferencia Internacional sobre la Crisis Mundial de la Educación (1967), convocada por el presidente de Estados Unidos Lyndon Johnson, impulsó un renovado ataque al humanismo pedagógico, estableciendo a nivel global la idea de que la educación estaba en crisis, porque Los sistemas escolares y las universidades han tenido serias dificultades para incorporar la innovación científica y tecnológica de manera oportuna. A esta iniciativa le siguieron múltiples declaraciones y documentos, entre ellos el libro del cofundador del Instituto Internacional de Planificación de la Educación (IIPE-UNESCO) Philip Coombs (1968) llamado “Crisis Mundial en la Educación” (1971) y el Informe Fauré ( 1973). La solución que el capital empezó a proponer para superar esta “crisis educativa” fue la cultura evaluativa, la comercialización y la privatización.

En los años setenta del siglo XX, cuando comenzaron a soplar vientos neoliberales en el mundo, el discurso de la cultura evaluativa tomó forma con la normalización de términos, la estandarización de currículos y prácticas pedagógicas, la indexación de modelos de políticas públicas para el sector. , serialización de publicaciones y bibliometría, pragmatismo didáctico y funcionalismo evaluativo. La comercialización se centró en la construcción de perfiles de formación escolar y universitaria orientados a la empleabilidad y el mercado, mientras que la privatización se basó en la instalación de la noción de que las buenas prácticas educativas sólo podían lograrse si eran posibles distintas formas de privatización.

En la década de 1980, el capitalismo avanzó en la promoción de las cinco categorías evaluativas. para una educación, a partir de la cual construir indicadores y metas de logro, como si los sistemas escolares y las universidades fueran fábricas convocadas para producir mercancías tituladas. Calidad, relevancia, innovación, efectividad e impacto se convirtieron en las ideas que permitieron institucionalizar la lógica comercial de oferta-demanda en la educación.

En el camino, las malas condiciones y salarios de los docentes se agudizaron, mientras que la desinversión en educación se generalizó. La tercerización de servicios, prestación, mantenimiento e incluso infraestructura terminó abriendo caminos para que el presupuesto educativo terminara en manos de los sectores empresariales. El ataque al sindicalismo y al sindicalismo docente se intensificó para reducir las posibilidades de resistencia organizada a la ofensiva capitalista contra la educación.

En la década de 1990, el neoliberalismo popularizó las pruebas estandarizadas para la educación primaria y secundaria, haciendo lo mismo con las clasificaciones estandarizadas para la educación universitaria. La cultura ISO se instaló en la educación, haciendo de la medición la forma de evaluar si la educación estaba saliendo de los parámetros de “crisis”, para reinventarse según las demandas del mercado. El paradigma STEM y las pruebas estandarizadas implementadas por el Laboratorio Latinoamericano de Evaluación de la Calidad Educativa (LLECE – UNESCO) y PISA (OCDE), se convirtieron en los referentes aceptados por el cosmopolitismo empresarial para indicar si salía o no de la crisis educativa, cuando en En realidad, se trataba de combinar la empleabilidad y la comercialización de los procesos de enseñanza y aprendizaje. En la educación superior, los rankings se consolidaron a través de las dinámicas de acreditación, internacionalización, bibliometría, imposición de recaudación de fondos privados para poder realizar investigación y extensión, así como la devaluación de los contenidos humanísticos y el pensamiento crítico; La universidad intentó encapsularse para poder estudiar la realidad sin pisarla.

En el siglo XXI, la estandarización multilateral de la educación (Objetivos del Milenio, Objetivos de Desarrollo Sostenible), la llamada transformación digital de la educación (centralidad de lo digital-virtual) y la creciente influencia de la filantropía corporativa ( Tink Tank que dicen y financian lo que las empresas considerar hacer en educación) continuó intentando alinear los sistemas escolares y las universidades con los propósitos del mercado.

Los Objetivos de Desarrollo Sostenible (ODS) son un terrible esfuerzo de homogeneización educativa a escala planetaria, que busca alinear los sistemas escolares y universitarios y, la adhesión a la transición del modo de producción capitalista de la tercera a la cuarta revolución industrial. Pretenden imponer una visión única de la educación, con indicadores, metas y logros uniformes, como si la diversidad no existiera. Quieren imponer una forma única y controlable de diversidad sexual, negritud, género, nuevas masculinidades y opresión en general, despolitizando diferentes formas de resistencia a la opresión de cuerpos, mentes y clases sociales.

La llamada Transformación Digital de la Educación estuvo acompañada de nuevas formas de privatización. Desde el confinamiento por la pandemia de COVID-19, han sido los estudiantes, docentes, trabajadores de la educación y las familias quienes han tenido que soportar los costos del cambio a modelos educativos virtuales, híbridos, asincrónicos y digitales. El acceso a Internet y planes de datos, la adquisición de equipos de conexión remota y el acceso a plataformas de conexión propias es cada vez más una responsabilidad de la que los Estados buscan eximirse de pagar. La suma individual de esta dinámica privatizadora significa la transferencia de millones de dólares de los bolsillos de los trabajadores a las arcas del capital y de las grandes corporaciones tecnológicas. Sin embargo, la desigualdad de oportunidades, debida al origen social y al poder adquisitivo de muchos estudiantes, también está generando renovadas formas de estratificación y exclusión educativa.

El capital pretende convertir a quienes participamos en los procesos de enseñanza y aprendizaje en simples operadores tecnológicos ilustrados, eliminando la posibilidad de que seamos trabajadores de la educación y estudiantes que reflexionemos sobre las formas tecnológicas que la educación requiere en el presente. Pretenden limitar las demandas de los sectores organizados al suministro de equipos, conexión y mantenimiento de redes y no pensar en tecnologías situadas y socialmente capaces de producir una transformación de las mentes y del medio ambiente.

Como colofón a esta situación, ahora lo digital-virtual, en escuelas y universidades, se convierte en un instrumento de captura de datos, para instalar un régimen predictivo capitalista que permita modelar personalidades según las necesidades del consumidor y del mercado, pero también implementar modelos orwellianos de control en espacios educativos. Esto plantea nuevas exigencias a los sindicatos, sindicatos y organizaciones estudiantiles, que tampoco pueden olvidar los otros aspectos de la ofensiva del capital en la educación.

Cada día son más los llamados “emprendedores unidos por la educación” que quieren marcar la pauta de lo que hay que hacer en educación y utilizan para ello los fondos disponibles en sus fundaciones. Financian think tanks que se convierten en nuevos lugares de enunciación de políticas públicas en educación y controlan el multilateralismo educativo, a través de la llamada gobernanza global de la educación.

Todo esto sucedió – ​​y sucede. con la complicidad abierta o encubierta de los gobiernos. Las políticas públicas en educación estuvieron permeadas por estas perspectivas y prácticas, tratando de construir un sentido común de aprendizaje alineado con la formación como mercancía.

Sin embargo, con lo que no contaba el capital era con la resistencia de los sindicatos, los trabajadores de la educación, los estudiantes y las familias, que estaban construyendo un tejido social nacional alternativo, frenando la ofensiva de la burguesía sobre la educación, pero también construyendo prácticas y propuestas que recuperaran la idea de educación liberadora, de lo común, fundamentalmente la perspectiva de los trabajadores sobre el significado y orientación de la educación.

Estas resistencias gremiales, sindicales y estudiantiles fueron sorteando los aparatos burocráticos que buscaban legitimar el pensamiento mercantil único para la educación y tomando conciencia de que la lucha contra el capital en materia educativa se da en todos los lugares y territorios del planeta. La ofensiva del capitalismo contra la educación pública, libre, popular, laica, científica, democrática y humanista es global y, por tanto, resistirla sólo es posible si quienes resistimos lo hacemos de manera coordinada.

Hoy, las mayores posibilidades de resistencia a la ofensiva del capital se expresan en la alianza de sindicatos y asociaciones de trabajadores de la educación, organizaciones estudiantiles y comunitarias. La alianza del capital contra la educación del pueblo sólo puede enfrentarse con una alianza amplia de sectores populares organizados.

Este es el espíritu que inspira la convocatoria y realización del Tercer Congreso Mundial contra el Neoliberalismo Educativo: en defensa de la educación pública. Del 11 al 17 de noviembre de 2024 luchadores sociales, sindicales y estudiantiles nos estaremos reuniendo no sólo para analizar lo que está pasando y construir un mapa de resistencia, sino para pensar alternativas.

iniciativas pedagógicas y seguir recorriendo caminos de unidad en la diversidad para defender la educación crítica, la creatividad y el compromiso social. La gente humilde de hoy y las nuevas generaciones de hombres y mujeres que viven del trabajo requieren de un esfuerzo redoblado para evitar que el capitalismo logre sus propósitos en la educación.

Te esperamos con los brazos abiertos, con el corazón emocionado y con la conciencia clara del desafío que tenemos por delante. El evento se llevará a cabo del 11 al 17 de noviembre, en la Universidad Estatal de Río de Janeiro, Brasil. Construyamos juntos el futuro de libertad, democracia y justicia social a través de la educación, que nuestro pueblo exige.

Comité Organizador

Fuente de la Información: https://luisbonillamolina.com/2024/10/26/manifiesto-de-convocatoria-para-el-tercer-congreso-mundial-contra-el-neoliberalismo-educativo/

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Elementos introductorios para un abordaje de los video juegos desde las pedagogías críticas

Por: Luis Bonilla-Molina

Por más poderes que tenga Deep-Blue

-su capacidad de anticiparse a 14 jugadas,

vislumbrando un multiverso de posibilidades-,

nunca podrá experimentar el juego

como nosotros

(Edward Ross, 2020)

Resumen

Los video juegos no son solo entretenimiento, sino una propuesta de estructura cognitiva y para el aprendizaje. Por lo tanto, el tema de los video juegos debería ser de especial atención de las pedagogías críticas. Como hemos insistido en otros trabajos, el precario análisis en los temas de la agenda virtual-digital en educación se debe a la brecha epistémica y los problemas para comprender los espacios estriados del capitalismo, conformado por las revoluciones industriales.

En este trabajo procuramos “puntear” algunas ideas para dar cuenta de nuestra perspectiva sobre el particular. Los video juegos no pueden seguir siendo vistos de manera aislada, sino como una nueva fase de la comunicación y en la construcción de hegemonía capitalista. Los video juegos logran hacer converger lógicas comunicacionales de la radio, tocadiscos, televisión, telefonía, internet, entre otras, en nuevas dinámicas que impactan la forma como se aprende y las expectativas de enseñanza.

En este artículo intentamos ubicar el campo de los video juegos en un momento histórico concreto del capitalismo, en el cual el sistema-mundo de dominación se plantea por primera vez la posibilidad, no solo de privatizar, sino de disolver la educación presencial. En consecuencia, defender la escuela-universidad presencial demanda una reactualización de paradigmas que nos permita integrar presencialidad-mundo digital como un binomio educativo contemporáneo ante el cual, desde la docencia, hay que construir alternativas conceptuales, teóricas, operativas y pragmáticas. Los video juegos son parte de estas dinámicas que impactan directa e indirectamente a los sistemas escolares.

Abstract

Video games are not just entertainment, but a proposal for a cognitive structure and for learning. Therefore, the subject of video games should be of special attention to critical pedagogies. As we have insisted in other works, the precarious analysis of the issues of the virtual-digital agenda in education is due to the epistemic gap and the problems in understanding the striated spaces of capitalism, shaped by the industrial revolutions.

In this work we try to «point» some ideas to account for our perspective on the subject. Video games can no longer be seen in isolation, but rather as a new phase of communication and the construction of capitalist hegemony. Video games manage to converge communicational logics of radio, record players, television, telephony, internet, among others, in new dynamics that impact the way learning is done and teaching expectations.

In this article we try to locate the field of video games in a specific historical moment of capitalism, in which the world-system of domination considers for the first time the possibility, not only of privatizing, but of dissolving face-to-face education. Consequently, defending the face-to-face school-university demands a re-updating of paradigms that allows us to integrate the face-to-face-digital world as a contemporary educational binomial before which, from teaching, it is necessary to build conceptual, theoretical, operational and pragmatic alternatives. Video games are part of these dynamics that directly and indirectly impact school systems.

Palabras claves: Pedagogías críticas – video juegos – transformación digital – escuela pública presencial – brecha epistémica

  1. Introducción

Los sistemas escolares y la formación docente (inicial y continua) han tenido serias dificultades para otorgarle la valoración que corresponde a los video juegos en la construcción y comprensión de las nuevas formas de sociabilidad, aprendizaje, conocimiento, moral, economía, política, reproducción cultural, perspectiva científica y la propia ética de la especie humana.

Si miramos la producción teórica de figuras consideradas representativas de las pedagogías críticas y educaciones populares, encontramos una precaria o nula producción al respecto. Esto no se debe a problemas generacionales, sino a una especie de somnífero cognitivo que nos impide contar con mayor plasticidad epistémica en un marco de aceleración exponencial de las innovaciones científico-tecnológicas que impactan a todas las dinámicas sociales. La crítica al capitalismo sin el abordaje de los pliegues y giros que imponen las revoluciones industriales impide comprender el rizoma lúdico de los video juegos en un contexto de reestructuraciones integrales del modo de pensar, actuar, crear y apropiarnos del capitalismo en el siglo XXI.

En la perspectiva de Deleuze y Guattari (1988), pareciera que una parte muy importante de los análisis críticos en materia educativa están atrapados en el espacio liso de las reformas educativas, la maquinaria de privatización-mercantilización y las lógicas narrativas de las autoridades educativas nacionales. Análisis que tienen dificultad para entender los espacios estriados que hoy se convierten en determinantes: la brecha epistémica, el atasco de los sistemas escolares en los paradigmas de las dos primeras revoluciones industriales y el riesgo de disolución de las instituciones educativas presenciales. Parafraseando a UNESCO (Faure,1973) esto reflejaría los problemas de los sistemas escolares para preceder el desarrollo económico y proveer el conocimiento y los profesionales que requiere el modo de producción capitalista en la actual coyuntura.

En este pequeño artículo, intentaremos contribuir al impulso de debates que permitan formular análisis desde un lugar de enunciación radicalmente distinto al que ha sostenido en las últimas décadas la teoría crítica en educación. Es parte del esfuerzo por posicionarnos críticamente frente a la llamada transformación digital de la educación, convencidos que es posible re-enamorar a los y las trabajadoras de la educación para producir el salto pedagógico requerido, sin caer en la colonización de un modo único de pensar lo virtual-digital.  Lo que planteamos está orientado por la teleología del cambio radical emancipador de las condiciones y procesos de enseñanza-aprendizaje en los cuales hoy los hijos e hijas de la clase trabajadora, campesinado y proletariado urbano participan.

  • Máquina y conocimiento en el capitalismo

En los Grundrisse (1857-1858, pp. 226-227) Marx señalaba que cuando el capital haya alcanzado un nivel superior en el cuál la máquina sea el sentido común y, logrado capturar la esencia de todas las ciencias, la invención se convertirá en una rama de la economía y la ciencia aplicada que incitará a la novedad. Es en ese momento cuando la máquina adquiere el estatus de poder que aliena la conciencia de la clase trabajadora. Dialécticamente, el desarrollo de la ciencia-tecnología implicará una reducción de la necesidad de trabajo material, como lo plantea la cuarta revolución industrial con sus fábricas 4.0 y, ello en términos marxistas potenciaría un proyecto emancipador. Lo que ocurre es que la burguesía no se quitará ni cederá el poder, y si la correlación de fuerzas no hace posible un cambio radical, el capitalismo como lo estamos viendo ahora, construirá nuevas formas de dominación y de explotación a través del trabajo y la producción inmaterial.

En ese camino la integración inter-subjetiva de la máquina con el ser humano, se reelabora con lo virtual-digital y tiende a objetivarse de manera inusitada, en la medida que se sostiene la actual aceleración de la innovación. No se trata de una máquina allí y el trabajador acá, sino de la vida humana ahora convertida en procesos de máquinas individuales y sociales que tienden a la fusión y la construcción de un nuevo cuerpo social-tecnológico.

Es como si la profesión docente por el impulso esquizoide de las políticas neoliberales en educación se hubiese convertido en un Cuerpo sin órganos (CsO). El órgano formación docente (inicial y permanente) vaciado de su capacidad de formar para el presente y futuro inmediato se ha convertido en un requisito inútil que conduce a silenciosas y consecutivas derrotas en el aula. Los sindicatos y gremios docentes operan como un órgano de sobrevivencia debilitado en su capacidad de convertirse en intelectual colectivo. El órgano literatura pedagógica a pesar de contar con numerosos ISBN del año actual y artículos en Scopus, sus líneas nos narran un presente con claves del pasado. Se trata de un CsO que comienza a ver la jubilación como una liberación, como una utopía de emancipación de la esquizofrenia de la práctica escolar repetitiva e incesante.

Esto hace más que reelaborar la propia dominación presente en la historia y psiquis del individuo no como toma de conciencia transformadora sino como fatalidad que opera contra la posibilidad y la voluntad de cambio, como diría Herbert Marcuse. El CsO de Deleuze y Guattari, mirado desde el corpus teórico de Marcuse analizando a Freud, se convierte en un misil dirigido a una de las bases de la sociedad y la cultura moderna: el concepto de individuo autónomo. El principio de autoridad y represión no es disuelto por las máquinas viejas y nuevas, sino reproducido y ampliado, restringiendo las posibilidades de construcción del sujeto crítico, solo que ahora ese proceso es presentado con imágenes, de manera lúdica, como intento de sujeción del CsO a la máquina de juegos.

En consecuencia, la relación del ser humano con la máquina de video juegos no puede ser vista solo como un tema lúdico, ni como un asunto de diversión infantil y juvenil, sino como resultado de un nivel superior de dominación capitalista en el cual las innovaciones y las ciencias han convertido al ser humano en factor económico, para lo cual la ideología del trabajo alienado y el ocio generador de plusvalía, vacían al cuerpo social de voluntad, disolviendo sus órganos. Constituir al sujeto critico significa plantear la posibilidad de sujetar la máquina a sus designios y no al revés como ocurre en el presente como resultado de la hegemonía de la ideología capitalista. El sujeto crítico es el único que puede analizar, comprender y modificar la lógica de repetición incesante de la máquina de dominación.

Esto implica la creación de formas variables de construcción de conocimiento, que expresen la contradicción dominación-resistencia en distintas intensidades y tonalidades, que para Beradi no son otra cosa que “la subjetividad de las millones de mentes conectadas alrededor del mundo, y la subjetividad de los cuerpos que buscan afecto, contacto sensual y amistad” (2019, p.211).

No hay máquina neutra, pero toda tecnología puede repensarse desde una epistemología de ecología política. No se trata de un eclecticismo grosero sino de explorar siempre como colocamos la ciencia al servicio de la vida. Por supuesto que hay cosas que podemos hacer y otras que no; por ejemplo, pensar que lo virtual-digital va a desaparecer si hacemos campaña contra ella, es cuando menos ingenuo, pero sí podemos reducir su impacto dañino y reconfigurarla a favor de la emancipación humana.

Alegría, esperanza, ilusión, disfrute de jugar, solidaridad, ética por encima de las probabilidades de ganar, constituyen rasgos de la humanidad que subsisten al CsO y que pretenden ser apropiados con máquinas de felicidad, entre ellas los video juegos, pero también a través de las redes sociales y la fantasía de la necesidad perpetua de conectividad. El problema es que a diferencia de otras tecnologías que tienen su correlato en tecnologías propias e inventiva alternativa, el terreno de los video juegos está prácticamente hegemonizado por la lógica del capital, incluso muchas propuestas que corren en los bordes lo hacen desde la epistemología de la máquina digital-virtual capitalista. Por ello, no se trata de patentar una máquina alternativa sino de deconstruir su episteme y re-construirla con una epistemología próxima a las narrativas liberadoras.

Una reflexión crítica potente sobre los video juegos debe fundamentarse en un apropiado manejo de la lógica del sistema-mundo capitalista como una máquina que de manera incesante produce mercancías (materiales e inmateriales) y que se replica en todo el sistema de máquinas. Sin las premisas de comprensión-resistencia y de análisis desde los espacios estriados de las revoluciones industriales y su impacto en lo educativo, corremos el riesgo de solo rasgar la superficie. Adentrémonos pues en aguas profundas con pupila de artesanos.

  • La cajita lúdica que transforma la pantalla

La primera cajita comunicacional fue la radio. Cuando Ricardo Marconi realizó el 14 de mayo de 1897 la primera transmisión de radio, seguramente no pensó como ello reconfiguraría la sociabilidad humana. El capitalismo de las dos primeras revoluciones industriales encontró en la radio un mecanismo complementario a las instituciones escolares para construir hegemonía de consumo, democracia representativa y ciencia como motor de la vida empresarial y con ello de la empleabilidad.

La radio novela constituyó una herramienta para la homogenización de la cultura. “Los tres Villalobos” (1943), tuvo un rol fundacional respecto a lo que sería la saga de producciones dramáticas difundidas por radio, entre las cuales resultan emblemáticas Tamakún, Capitán Espada, KalimánEl Derecho de Nacer, entre otras. En Venezuela fue especialmente popular “Martín Valiente: el ahijado de la muerte” (1962), mientras que la música y los noticieros se constituían en la centralidad de las actividades radiales. Era increíble como las transmisiones de “la vuelta a Venezuela” o la “vuelta al Táchira”, clásicos de ciclismo venezolano, eran narrados de una manera magistral a tal punto que la imaginación podía visualizar los pinchazos, los sprint, las escapadas, las metas volantes y los premios de montaña. La radio también servía para estimular la industria de las apuestas hípicas y las loterías, quien no recuerda las hazañas del gran “Cañonero”, caballo que en sus patas y con la astucia del jinete, mostraban la tenacidad venezolana. El melodrama novelesco y el “hit parade” acompañaron el proceso de masificación de la segunda y tercera cajitas lúdicas: el tocadiscos y la televisión.

En 1854 Alexander Graham crearía el teléfono y con él, una nueva caja comunicacional en casa. Esta servía para acortar distancia y hablar con otras personas ubicadas a kilómetros. La telefonía fue evolucionando hasta llegar al equipo inalámbrico analógico y luego la telefonía celular. El Teléfono marcó el inicio del obituario de los telegramas, cartas y postales, algo que ocurría definitivamente siglo y medio después. El celular inteligente constituye un complemento y otro mecanismo para el tránsito a la centralidad de lo virtual-digital en la cuarta revolución industrial.

Si bien se considera que el tocadiscos fue inventado en 1877 por Thomas Edison, evolucionando del fonógrafo al gramófono, es en realidad en 1925 cuando la llegada de la tercera caja, el tocadiscos eléctrico, lo populariza. Los formatos de acetato de 33 revoluciones por minuto (RPM), se complementaron con los de 45 RPM y 78 RPM, garantizando mayor fidelidad. Conseguir la aguja adecuada para navegar en los surcos del disco se convirtió en un desafío cotidiano. El cassette (cajita en francés) con sus grabaciones e cinta magnética y el Compact Disc (CD) hicieron que los tocadiscos tuvieron complementos para estos formatos. La llegada del Discman, un equipo portátil de reproducción de CD significó una revolución que dio paso a una serie de innovaciones que nos trajeron hasta el pendrive musical, la música en la nube y el modelo de reproducción en múltiples aparatos a través de plataformas como Spotify y Apple Music, entre otras plataformas.

La cajita de televisión ya no fue solo sonido, sino que contenía imagen. Del blanco y negro de la transmisión de la llegada del Apolo 11 a la luna, se pasó al color, las telenovelas, los “enlatados” de series policiales y comiquitas.  Los noticieros fueron pasando de grabaciones y ediciones en estudio a transmisiones en micro ondas y luego satelitales. Los Reality Show fueron convirtiéndose en las citas preferidas de la audiencia mientras el deporte fue tomando una inusitada centralidad en las solicitudes de transmisión. La televisión en vivo fue rompiendo con la monotonía de lo editado y haciéndola más auténtica. La Televisión se fue tornando en una ventana privilegiada para el cine comercial, el que reproduce más fielmente al sistema. Así llegamos a los canales de películas y series, tipo Netflix, HBOMax, Apple TV, entre otros

Mientras la radio, tocadiscos, teléfono y luego la televisión construían hegemonía comunicacional y eran las cajitas más anheladas en los hogares, fue surgiendo la industria del video juego, como parte de la transición entre la tercera y cuarta revolución industrial. Muchas de las inventivas en el largo camino de los video juegos fueron usadas en la mejora de la radio y la televisión, mientras la quinta cajita comenzaba a invadir los hogares. En cada etapa de estos “artefactos cajita” la publicidad y el comercio tuvieron que reestructurase y adaptarse a las nuevas mediaciones.

El problema es que hemos centrado una parte importante de los análisis y críticas a los efectos de la radio, televisión, celular, video juegos, pero hemos hecho menores estudios sobre las epistemologías narrativas-operacionales de estas máquinas y sobre otras posibilidades epistémicas de desarrollo en estas tecnologías.

Como señala Edward Ross en Gamish (2020) los video juegos, la quinta cajita en casa, partieron de un rasgo que atraviesa toda la historia humana: la lúdica, tanto individual como social. Alan Turing, el descifrador de los códigos nazi, sería un personaje muy importante en la vinculación de la cultura lúdica con el emerger de los ordenadores en la transición a la tercera revolución industrial. Finalizada la segunda guerra mundial Turing comienza a interrogarse sobre las posibilidades que los computadores pudieran responder preguntas, principio que sería determinante en el curso del naciente campo de la inteligencia artificial y los video juegos. En 1950, en la exposición nacional canadiense se presentaría un juego informático de “triki” o tres en raya, al que le seguiría NIMROD un juego de NIM. Turing junto a David Champernowne crearían en 1952 Turochamp un programa capaz de jugar ajedrez nivel principiante. En 1955 Arthur Samuel desarrollaría un programa de “Damas” que permitía aprender de sus errores. Habían nacido los video juegos. Los avances en circuitos interconectados permitirían crear en 1971 Computer Space y Galaxy Game, los primeros aparatos independientes de video juegos. Ralph Baer presentaría a comienzos de los setenta del siglo XX Odyssey, la que sería la primera consola casera de video juegos que podía usar la televisión como pantalla, con doce propuestas, en ella se podía jugar pin pong, shooting gallery y otros entretenimientos. La creación de Pac-Man revolucionaría las consolas comerciales que disponían de traga monedas para que quien pudiera pagar las usara por un tiempo determinado. La recién creada Nintendo se animaría en la década de los ochenta a incursionar con fuerza en las consolas recreativas, familiares y la novedosa cajita portátil de video juegos. Seguramente muchos jugamos en Nintendo 32 y Nintendo 64, consolas que se fusionaron con el televisor casero, usando una convergencia de dinámicas de las cajitas que le precedieron: imagen, sonido, historia, capacidad de juego simultáneo de varias personas. La llegada del internet re-impulsó la industria del video juego hasta llegar entre 2005-2012 a las plataformas Xbox360, PlayStation 3, Wii, Zeebo, entre 2012-2020 a Wii U, PlayStation 4, One, Ouya y,  a partir de 2020 predominan Xbox Series X y Series S, PlayStation 5, Nintendo Switch, Atari VCS 2020, Steam Deck. Estas últimas posibilitan jugar en línea con usuarios de distintos países o territorios, independientemente de su origen social, género o color de piel. Ahora se puede jugar, conversar por chat o video llamada con los(as) otros(as) jugadores.

Los video juegos de última generación vienen con «moda historia» que permite que el jugador construya sentido narrativo de la experiencia, y pueda entrar al modo libre resolviendo los problemas que se le presentan. La realidad inmersiva en los video juegos es la tendencia en el siglo XXI, una experiencia que si no es usada adecuadamente se corre el riesgo de producir un quiebre en el sano equilibrio entre objetividad y subjetividad. La realidad inmersiva es la columna vertebral del Metaverso, un tema sobre el cual ya escribimos otro artículo.

Según Sillas-gaming un portal especializado en estadísticas de video juegos, la edad promedio de los(as) jugadores(as) es de 34 años de edad, la mayoría de ellos cuenta con una casa propia e hijos, pero además el 70% de los y las jugadoras(es) son mayores de 18 años, datos que rompen el estereotipo que los video juegos son para niños, niñas y adolescentes y para vagos.

Existen más de 2.500 millones de video juegos en el mundo lo cual muestra que es una industria floreciente que espera obtener en 2022 la suma de 180.1 mil millones de dólares de ganancias. Un dato curioso es que el 60% de los estadounidenses usan videojuegos diariamente, de los cuales el 45% son mujeres. El número de usuarios de videojuegos en el mundo alcanza los 2.5 billones de personas.

Los diez videojuegos más populares en 2022 son: Minecraft (Lanzado en el año 2009), Grand Theft Auto V (GTA V – Lanzado en el año 2013), The Sims 4 (Lanzado en el año 2014), Fortnite (Lanzado en el año 2017), Among Us (Lanzado en el año 2018), Animal Crossing-New Horizons (Lanzado en el año 2020), Call of Duty-Warzone (Lanzado en el año 2020), Madden NFL 22 (Lanzado en el año 2021), Call of Duty-Vanguard (Lanzado en el año 2021), NBA 2K22 (Lanzado en 2021). Llama la atención que el número 1 es un juego que entra en el rango de ventas como educativo.

Un dato curioso es el que revela el estudio de este portal, al señalar que el 70% de los padres de hijos e hijas jugadoras consideran que los videojuegos influyen positivamente en la vida de sus hijos e hijas. Este dato es especialmente relevante a la hora de indagar la valoración que tiene la sociedad de la escuela-universidad a partir de la pandemia, expresado en la presencia de dinámicas digitales-virtuales en general y de video juegos en particular, dentro de las instituciones educativas.  No se trata de un tema de esnobismo pedagógico, sino que esta desvinculación está comenzando a ser usada con fuerza por la industria tecnológica y el complejo industrial cultural para construir el imaginario social que la escuela está obsoleta, como preludio a la ofensiva contra los planteles presenciales.

Todos estos videojuegos procuran contribuir a un nuevo estado de la ciencia al servicio de la economía en la cuarta revolución industrial, implican nuevas de construcción de cuerpos sin órganos, una nueva erótica del ser humano con la máquina casi de fusión sexual continua, pero no por ello debemos de pensar lo alternativo en este terreno.

  • Áreas problematizadoras

Una parte importante de las críticas que se hacen a los video juegos no tiene base objetiva y responden más a las resistencias a incorporar en la cotidianidad personal y pedagógica dinámicas digitales-virtuales, fundamentalmente porque fuimos formados como docentes de un mundo analógico. Pero veamos cuales son reales.

Primero, la desterritorialización de los usuarios, quienes pasan más horas en los video juegos que en la realidad, lo cual es innegable. Esto es parte de un alejamiento con la realidad que les resulta opresiva, negadora de su derecho a ser, mientras la inmaterialidad del juego les permite estar en lugares donde las reglas se pueden transgredir, donde los problemas se resuelven “pasando de nivel”, donde las consecuencias y culpa se “resetean”. En consecuencia, esto lo que está demostrando son problemas en la vida material que los hace “anclarse” en la fantasía de la virtualidad. Cuando este problema no ocurre, se puede construir un sano equilibrio de mundo real respecto a los ratos de ocio digital. Entonces revisemos que pasa en el entorno familiar y escolar del niño, niña y joven para que éste se subsuma de manera irracional en los video juegos.

Segundo, el quiebre de referentes éticos: ciertamente en muchos video juegos la exageración opera como una ruptura de límites morales, de horizonte ético. Golpear con furia inusitada, matar y ser muerto una y otra vez, apostar de manera irresponsable, estar en antros de prostitución donde el machismo, homofobia y mercantilización de la vida se convierten en cotidiano, son solo expresiones de estas rupturas. Pero esto ocurre en el cine, la televisión, radio, prensa, entre otros, la diferencia es que aquí el papel pasivo cede al activo, se deja de ser observador de lo éticamente oscuro para ser co-constructor de formas distópicas de vida. El jugador lo que hace es recrear fenómenos que están presentes y muchas veces legitimados en la realidad. Entonces, el problema no son los video juegos, sino que ellos nos “restriegan en el rostro” que, en el mundo real cada vez más, es alguien cercano quien traspasa la línea –ética-moral- mientras las instancias de administración de justicia (policía, jueces, jurados) y referencia social (religiosos, banqueros, políticos) hace tiempo que han saltado esos límites. Los videojuegos no cuestionan estos quiebres morales, sino que democratizan la posibilidad de hacerlo multiplicando exponencialmente la doble moral conservadora en la sociedad. Esto implica la necesidad de construir un marco bioético básico para el desarrollo de video juegos, un debate muy incipiente aún.

Tercero, disuelven la separación entre lo público y lo privado, no solo porque los audios, chats y videos invaden el espacio íntimo con múltiples miradas, sino fundamentalmente porque “el/la jugador(a)” se muestra sin tapujos, tal cual como es, y, en consecuencia, la disputa de los límites ético-morales en lo virtual invade el mundo real. Esto ocurre porque el video juego lo que hace es re-imaginar la tensión público-privado, con una plasticidad de límites más allá del consenso social sobre lo equivocado tolerable.

Cuarto, existe un riesgo de desvaloración de la vida: algunos video juegos de guerra, enfrentamiento o violentos, se fundamentan en la eliminación física del adversario, pero sin pena moral, porque al reiniciar el juego el “eliminado” vuelve a aparecer. Esta noción de la muerte como una circunstancia reparable puede ser peligroso cuando se rompe el equilibrio entre la objetividad y subjetividad como resultado de un uso abusivo de los mismos. Pero ello no es exclusivo de los video juegos, sino de la vida real. Siempre los niños y jóvenes jugaron a la guerra y ello ciertamente actuaba como legitimación de las opresiones por vía de la fuerza. En mi caso, considero que los videojuegos violentos deberían tener una edad mínima de uso y una cantidad máxima de horas de acceso, mediante despliegue interno de sistemas de control con análisis de metadatos e inteligencia artificial.

Quinto, la competencia y problemas para la ética solidaria: mucha de la lógica de los video juegos está fundamentada en la competencia, en la narrativa de la novela Stephen King de los ochenta “La Larga Marcha”. Esto es un problema no solo de los video juegos sino de toda la sociedad capitalista que actúa como una máquina de competencia. Suelo decirles a los colegas que argumentan esto que deberíamos trabajar mucho más los conceptos escolares analógicos de suma cum laude, eximido, cuadro de honor, alumno destacado que en la presencialidad rompen con la cultura solidaria y que tienen un complemento en los videojuegos. Pero también existen videojuegos que no promueven la competencia, aunque aún son los menos. Por ello, no se trata de un debate solo sobre los video juegos sino sobre la perspectiva pedagógica de las instituciones educativas y de la posibilidad de uso de los video juegos en las dinámicas de enseñanza-aprendizaje.

  • Video juegos y caminos posibles: Ni tan calvo ni con dos pelucas

Intentaremos analizar desde el punto de vista pedagógico (currículo, didáctica, evaluación, planeación y gestión) los video juegos, así como su correlación con finalidades del sistema escolar.

La estructura “curricular” de los video juegos se centra en ir de lo simple a lo complejo, incrementando la dificultad en la medida que se supera un nivel. La resolución de los problemas, cada vez más complejos, demanda mayor manejo de herramientas y habilidades en la medida que se avanza, pero también la correlación de los aprendizajes. En un primer momento los aprendizajes y el desarrollo de habilidades se van haciendo por áreas, pero luego las distintas áreas tienden a fusionar sus fronteras.

Desde el punto de vista didáctico el aprendizaje suele ser repetitivo y memorístico. Hasta que no se domina el mínimo posible de una habilidad no se pasa de nivel, y en el siguiente nivel se debe aprender lo que le faltó en el anterior. Incluso, para transitar las opciones o caminos, previstas en cada nivel de estos, ello demanda una apropiación del conocimiento y desarrollo de habilidades para poder progresar. Las nuevas generaciones de video juegos pueden generar variantes que se correspondan con el perfil del participante, privilegiando aquellos donde la respuesta es débil, lo cual resulta una contextualización del mismo.

A nivel evaluativo, los videos juego centran las valoraciones en el logro de aprendizajes esperados, donde existe un límite de errores aceptables para pasar al siguiente nivel (aprobar) o tener que repetir el nivel (reprobar). Es un tipo de evaluación sumativa y punitiva a la usanza del sistema escolar.

A nivel de la planificación, se estructura por unidades de aprendizaje (niveles), con criterios evaluativos y una meta a alcanzar (perfil de egreso) cuando se logre llegar a la meta. La planificación es externa, hecha por el programador, aunque permita algunos grados de participación en la elección de vestuario, herramientas, escenarios, pero manteniendo el “sistema” la autoridad del hilo conductor.

En cuanto a la gestión del juego, el programador (docente-sistema) define los grados de libertad máximos y mínimos y el jugador (estudiante) es el encargado de ejecutar el ritmo de su aprendizaje.

Esta estructura es la más conocida, sin embargo, la nueva generación de video juegos con autonomía de uso de inteligencia artificial puedo hacer que se genere algunas modificaciones adjetivas en el desarrollo de los mismos. Nos interesa es el ejercicio de ver la ruta de los video juegos en su similitud con la cultura escolar, fundamentado en los paradigmas de las dos primeras revoluciones industriales y que comienzan a mutar de los enfoques exigidos en la tercera revolución  industrial a los propios del tránsito a la cuarta revolución industrial.

  • Video juego y pedagogías

¿Es posible pensar en videos juegos alternativos?  Claro que sí.  Pero en la mayoría de casos, cuando se conversa al respecto, los y las docentes suelen señalar que esto exige contar con capacidades informáticas y de programación. Desde nuestro punto de vista, en efecto se requiere conocimiento en la materia, pero más que manejo operativo lo que se necesita es tener claridad sobre la lógica funcional, operacional y epistemológica de los video juegos. Si entendemos esa lógica podemos iniciar los debates sobre qué tipo de juegos requiere el hecho educativo, su “secuencia pedagógica” y aproximarnos a una construcción alternativa, es decir desde las pedagogías críticas.

No estamos comenzando de cero, ya existen video juegos educativos como MinecraftEduHakitzu: Code of the WarriorsProyecto KokoriDragon BoxCap OdysseySimCity EduSimple MachinesNaraba World, Immune Atack y Discover Babylon.  Todos ellos han sido elaborados por empresas comprometidas con la lógica del mercado. Lo que se requiere es comenzar a valorarlos con mirada educativa, evaluando sus beneficios y tomando nota respecto a los aspectos que se deberían mejorar, eliminar o complementar.

No podemos tampoco pecar de ingenuos, una vez cubiertas estas primeras fases, se requiere la conformación de equipos técnico-pedagógicos, con capacidades informáticas y de programación, pero con la mirada pedagógica como elemento que lo precede. La política pedagógica al mando del mundo de los video juegos.

  • Conclusión

Los videojuegos son una realidad. Están presentes en nuestras sociedades, aunque su consumo sea más de la clase media profesional y la burguesía. Aunque la clase obrera y sus hijos(as) usan menos estas cajitas de reproducción cultural, el abordaje de los mismos por parte de la escuela, con una mirada de pedagogías críticas resulta fundamental en la actual disputa entre escuela presencial versus virtualización de lo educativo.

No se trata de convertir la escuela en un salón de videojuegos, sino de re-pensar estas producciones virtuales-digitales desde una perspectiva pedagógica. En consecuencia, la invitación es a imaginar y construir viabilidad a proyectos de videojuegos que sirvan de apoyo en los procesos de enseñanza-aprendizaje en matemáticas, física, biología, historia, ciudadanía, en general, para el hecho educativo.

Tomamos distancia de quienes consideran los videojuegos solo como lúdica ajena a las posibilidades escolares. La gamificación pedagógica permite pensar una integración de estos a los procesos del aula presencial como parte de la defensa de la escuela pública presencial en el presente.

Lista de referencias

Arnau, Didac (2013) los 10 mejores videojuegos educativos. Ediciones Tiching. España.

Bonilla-Molina, L (2022) ¿Qué es la brecha epistémica en educación? Ediciones OVE. Caracas. Venezuela. Disponible en el siguiente enlace https://luisbonillamolina.com/2021/11/28/que-es-la-brecha-epistemica-en-educacion/

Berardi, F (2019). Futurabilidad: la era de la impotencia y el horizonte de posibilidad. Editorial Caja Negra. Argentina.

Deleuze & Guattari (1988) Mil mesetas; capitalismo y esquizofrenia. Editorial Pre-Textos. España

Faure, E y otros (1973) Aprender a ser: la educación del futuro. Alianza Editorial. Madrid. España. (publicado originalmente en 1972 por UNESCO como informe final)

Marcuse, H. (1983)  Eros y Civilización. Editorial Sarpe. Madrid. España
Marx, Karl (1857-1858). Elementos fundamentales para la crítica de la economía política. Vol.2. Ediciones Siglo XXI. México

Ross, E (2020) Gamish: una historia gráfica de los video juegos. Reservoir Books. España

Sillas-Gaming.com (2022) 24 datos de la industria de los video juegos. Disponible en https://sillas-gaming.com/industria-videojuegos-estadisticass/


[1] Doctor en Ciencias Pedagógicas. Investigador del Centro Internacional de Investigaciones Otras Voces en Educación (CII-OVE). Premio Internacional de Justicia Social otorgado por la Universidad de Chapman (EEUU). Directivo de CLACSO. Integrante de CLADE, Kairos, ALAS. Profesor invitado de universidades en Latinoamérica.

 

Fuente de la Información: https://luisbonillamolina.com/2022/09/14/elementos-introductorios-para-un-abordaje-de-los-video-juegos-desde-las-pedagogias-criticas/

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Educación en el mundo – Lógica del Mercado en la Educación: Un Análisis Crítico

Lógica del Mercado en la Educación: Un Análisis Crítico

 Luis Bonilla-Molina

Para poder entender el ensamblaje de lo escolar, universitario y educativo al circuito de producción (plusvalía, rentismo, financiarización) y reproducción (social, cultural, simbólica) capitalista en el presente, asumimos la perspectiva de las pedagogías críticas. En este sentido, nos resulta útil el enfoque de capitalismo caníbal (Fraser,2023), que procura develar la morada oculta,en este caso de la enseñanza y el aprendizaje, así como del mundo del trabajo pedagógico. A continuación, intentaremos abordar algunas de las formas escolares y universitarias que adquiere la lógica del capital en la era neoliberal

Momentos de la lógica del capital en educación

Esta construcción de la lógica del capitalismo en educación ha tenido momentos complementarios. El primero, el largo periodo de pragmatismo educativo iniciado en la primera revolución industrial (1760) hasta el surgimiento de las propuestas de racionalización de la gestión educativa (1910). El segundo, con el fayolismo y el taylorismo (1910) hasta el surgimiento del fordismo (1929). El tercero, la llegada de la tercera revolución industrial y el ocaso del fordismo (1970). El cuarto, con el emerger de los modelos posfordistas (Gestión de la Calidad Total, Justo a Tiempo, Benchmarking, Quinta Disciplina y otros), hasta la generalización a escala mundial del neoliberalismo en la década de los noventa del siglo XX. El quinto momento (actual), de consolidación de la lógica del mercado en educación (1994-2024). Un sexto momento pareciera abrirse camino, desde los márgenes, a partir del surgimiento de la Inteligencia Artificial, el metaverso y todo lo virtual-digital, pero aún no se constituye como un momento hegemónico. La consolidación, en el presente, de la lógica del capital en educación se evidencia en varios elementos que intentaremos analizar.

Propiedad privada

El primer elemento, la hegemonía de la propiedad privada[2] (formal y paradigmática) como elemento constitutivo del discurso y la acción de las clases dominantes, mediante el rediseño de la arquitectura institucional de los procesos de gestión de la enseñanza y aprendizaje, especialmente sobre las fuentes de presupuesto educativo que puedan ser usadas para la generación, acumulación y concentración de la riqueza.

Nuestra perspectiva parte de considerar que los proyectos del capital para lo escolar y universitario, independientemente de sus contradicciones y particularidades, han venido abandonando, en distintos grados y medidas, la idea de lo público en educación -si es que algún día la tuvieron- fundamentalmente al identificar el potencial de los sistemas escolares y universidades para generar riqueza en un contexto de larga caída tendencial de la tasa de ganancia.

En ese sentido, los distintos sectores del capital en disputa, coinciden en los aspectos generales (plusvalía ideológica[3], alienación, lógica de mercado), pero como veremos más adelante, desarrollan sus propias iniciativas de privatización, mercantilización, ganancia, rentismo y financiarización que dan origen a particulares contradicciones inter capitalistas alrededor del “negocio educativo”.

Esto genera múltiples centros de presión económica sobre las agendas educativas nacionales y locales. Los niveles de alta gestión de los sistemas escolares y de formulación de políticas educativas, suelen resolver este “problema” diseñando propuestas de cambio que tienen puntos de encuentros y vínculos con los diferentes sectores del capital que se disputan el mercado educativo. Esto termina generando un comportamiento epiléptico y esquizoide de los sistemas escolares y universidades, que deben aprender a alinearse a múltiples centros económicos en permanente movimiento y, para colmo, enfrentados por los intereses de la ganancia.

Esta fractura teleológica crea un ambiente de anarquía producida por el propio capital, porque nadie le puede servir con eficiencia a varios amos.  Este caos es maquillado con el término de “crisis educativa” que esconde los verdaderos orígenes del problema. La muestra más evidente de esta realidad se expresa en lo institucional, mediante la instalación de una idea política fuerza que se usa para lograr “superar” la “crisis educativa”: la educación privada es mejor que la pública.

No se trata solo de privatizar la educación, que es un gran componente de la estrategia discursiva, sino de procurar que lo público copie el performance de lo privado, que haga suya la eficacia, eficiencia, rentabilidad, relevancia, impacto, innovación y pertinencia del mercado. Así logran que incluso, los sistemas escolares y universidades que forman parte de lo público, tributen a la lógica de acumulación del capital, abriendo sus procesos y dinámicas a las lógicas e intereses empresariales.

Se desarrolla un enorme esfuerzo de la gobernanza capitalista en educación, para producir ese alineamiento, mediante la aceptación de indicadores, metas, estándares de rendimiento y modelos de elaboración de los mecanismos de evaluación. Sin embargo, todo está diseñado para lograr que los mejores resultados los obtengan aquellas instituciones que favorecen la gestión privada sobre la pública.

A partir de ese momento, las buenas prácticas, los mejores resultados en las pruebas estandarizadas, las calificaciones y distinciones docentes sirven de marco de referencia para introducir los discursos y experiencias de competitividad y mejora continua (calidad/excelencia), que en realidad son narrativas para la adaptación incesante de los sistemas escolares y las universidades a la lógica del lucro, al encuadre con el mercado.

Lo que viene después es carpintería mediática, consistente en acostumbrarnos a los espectáculos de presentación de resultados de evaluaciones escolares y clasificaciones universitarias, en los cuales lo público suele salir perdiendo, construyendo un “sentido común educativo” sobre la supuesta superioridad, en procesos y resultados, de la gestión privada en lo escolar.

Cuando se construye hegemonía sobre las bondades de la propiedad privada, se abren las compuertas a los distintos modelos de privatización que analizaremos en otro artículo. Esta hegemonía en lo institucional, del marco referencial privado, se soporta sobre en el paradigma de lo público como ineficiente y lo privado como propicio para obtener mejores resultados educativos (Banco Mundial, 1991). Estaríamos ante la construcción de un habitus educativo bourdiano, centrado en reproducir la idea de la propiedad privada como referente para alcanzar calidad, eficacia, impacto, innovación, pertinencia y productividad escolar.

Este paradigma, auspiciado por los distintos sectores del capital en disputa, se va esparciendo progresivamente por el tejido social, mediante el uso del complejo industrial cultural mediático. No obstante, su aplicación suele generar resistencias de diversa índole (denuncias, oposiciones y conflictividad en las calles) tanto de trabajadores de la educación como estudiantes y comunidades organizadas. En muchos casos, estas resistencias logran frenar o disminuir los avances del paradigma de la propiedad privada en la educación, pero en estos casos, el metabolismo del capital genera mutaciones en sus formulaciones, incorporando elementos discursivos, simbólicos e imaginarios de quienes resisten, como formas renovadas para la construcción de “consensos” respecto a la implementación de lo privado. De allí la importancia de la perspectiva contingente y situacional de las resistencias anti sistémicas.

La idea ciudadana de lo público en educación, en gran medida despolitizada, entiende a los sistemas escolares y las universidades como instituciones aparentemente ajenas a las leyes del mercado. Esto obliga al capital a elaborar una ruta transicional, que se enmascara con dosis progresivas, permanentes y escalonadas de caos pedagógico en las políticas públicas del sector y la gestión, instalando en la sociedad la noción de crisis educativa, tanto en los primeros niveles de enseñanza como en lo universitario. En tanto, se presenta a la educación privada como exenta de esos males. El propósito, es convertir y consolidar a la educación privada como marco referencial de lo que hay que hacer para salir de la crisis que el propio sistema propició.

En esta transición forzada, cada componente del presupuesto público para la educación es valorado como un segmento de mercado a controlar. Ahí se rompen los consensos del gran capital y se desatan los demonios de las disputas inter burguesas sobre la agenda educativa, reconfigurándose de manera móvil la idea de valor de uso, procurando que el valor de cambio sea el mecanismo de ocultamiento de la ganancia. Lo que sirvió ayer en las aulas hoy es considerado obsoleto, lo válido en términos educativos en el presente está sometido a la tormenta de la aceleración de la innovación que hace aparecer lo nuevo con fecha de corta caducidad, los elementos centrales de la tradición pedagógica se bambolean según las correlaciones de fuerzas del capital en el sector educativo. Todo ello, para ingeniar variadas formas de transferir el presupuesto público de la educación al sector privado, con el manto de ganancia obtenida por servicios prestados.

Libre competencia en educación

El segundo elemento, el libre mercado laboral en educación. En este sentido, lo primordial es instalar la competencia como columna vertebral de los sistemas escolares y universidades. La competencia se vincula a la calidad, es decir mientras más cerca se está del podio del triunfo en la disputa por mayores puntuaciones en la enseñanza y el aprendizaje, los individuos, departamentos, escuelas facultades, escuelas y universidades tienen mayores o menores estándares de desempeño y resultados, que constituyen el campo difuso de la calidad educativa.

La competencia abarca toda la enseñanza y el aprendizaje, inicialmente mediante las estratificaciones de rendimiento (muy alto, alto, medio, bajo, muy bajo, pésimo) y luego mediante enrevesados sistemas de cumplimiento (cumplo y miento), así como la tributación a los resultados institucionales (producción intelectual, patentes y resultados de investigación, logro de financiamiento para proyectos de extensión, aportes a la solución de problemas del mercado y el consumo, etc.).

La competencia se inicia en los concursos de ingreso de trabajadores de la educación o selección de estudiantes, continúa a lo largo de la carrera profesional y del alumnado y, tiene como pináculo las condiciones en las cuales se egresa, ya sea por jubilación u obtención de título. La competencia se ha naturalizado en los sistemas escolares y las universidades, a tal punto que resulta difícil abrirles paso a propuestas de trabajo cooperativo, solidario, a la reconstrucción del tejido comunitario en los ambientes educativos.

La participación en la competencia se estimula mediante los sistemas de premio y castigo, que pueden ser simbólicos (jerarquías y categorías de clasificación), económicos (salarios diferenciados por clasificaciones) o morales (buen o mal docente, trabajador o estudiante según los estándares que alcance en las clasificaciones). Dinámicas como las becas de estudio, pasantías de trabajo, publicación de trabajos, internacionalización de la educación superior forman parte de los sistemas de premio y castigo que tributan a la lógica del mercado, a la par que justifican y construyen “sentido común” a los sistemas de estandarización, homologación y logro, que demanda el sistema capitalista para los sistemas escolares y las universidades.

Estamos conscientes que la competencia existirá mientras permanezca cualquier tipo de Estado, pero la experiencia de las resistencias escolares anticapitalistas ha enseñado que es posible construir nichos alternativos en lo social y educativo. Las caracolas zapatistas en las selvas mexicanas, la escuela campesina del Movimiento Sin Tierra en Brasil, las experiencias de las escuelas libertarias anarquistas, las iniciativas educativas cooperativas en distintos lugares, muestran un camino alternativo y evidencian que es posible resistir a la homogenización educativa del capitalismo dominante.

Es urgente derrotar la resignación desesperanzadora en educación que han evidenciado muchas de las gestiones del progresismo en Latinoamérica. Si bien, en estas experiencias gubernamentales se ha promovido de manera significativa la inclusión educativa, es decir que muchos más niños y jóvenes ingresen a escuelas y universidades, la construcción de otro sentido pedagógico ha quedado atrapado en los límites del modelo, paradigmas y prácticas escolares diseñadas por el capital. El progresismo, vaciado de agenda educativa anticapitalista, no solo ha sido incapaz de romper con los modelos de competencia, premio-castigo, sino que en algunos casos ha construido “otras” narrativas para justificarlo y reproducirlo.

La competencia escolar y universitaria son dinámicas que rompen la cultura pedagógica colaborativa y quiebran -de distintas maneras- la estabilidad laboral docente, mostrando la opresión del capital sobre los trabajadores de la educación. La bibliometría, rankings, resultados de pruebas estandarizadas, clasificaciones de planteles educativos conforme al rendimiento académico alcanzado, las pruebas estandarizadas, la acreditación e internacionalización, operan como catalizadores del espíritu de competencia, propio de la lógica del mercado educativo.

Valor Educativo

El tercer elemento, lo constituye la construcción de valor educativoCalidadpertinenciaeficaciainnovación e impacto son las categorías que construyen valor educativo, tanto en la cotidianidad de los procesos de enseñanza y aprendizaje (valor de uso), como en su capacidad para generar ganancias (valor de cambio), en el tránsito de lo público a lo privado (mercado).

El carácter polisémico y difuso del término de calidad educativa lo convierte en un paraguas, en el cual caben distintas iniciativas y políticas educacionales que conducen a centrar la cuantificación del valor en el producto, en la mercancía educativa. Calidad y excelencia son sinónimos que se usan para introducir, consolidar o actualizar las políticas educativas neoliberales. La calidad puede ser de proceso y de producto, y se plantea la mejora incesante para acoplar las instituciones educativas a la lógica del capital.

La pertinencia educativa capitalista, se centra en la relación con el contexto y la utilidad -para el capital- del conocimiento, habilidades y saberes adquiridos. El contexto no aparece como vínculo comunidad-educación, sino como dinámicas de oferta y demanda para satisfacer necesidades que promueven modos de vida mediados por el consumo. La utilidad se orienta por el mercado laboral y la empleabilidad que reproduzcan y amplíen el metabolismo del capital.

La eficacia educativa se refiere a la capacidad de los sistemas escolares y universidades para cumplir los objetivos establecidos por los sectores económicos y empresariales dominantes, los cuales son legitimados con la denominación de actores educativos. El alcance de los efectos y productos esperados se convierte en un valor educativo.

La innovación educativa es la denominación síntesis que ha asumido el capital para convertir en valor educativo la actualización de lo que se enseña, respecto a los conocimientos científicos y saberes de última generación. A las clases dominantes no les interesa que los hijos de la clase trabajadora se apropien del conocimiento para su emancipación, sino que “el estar al día” permita una mejora incesante del modo de producción capitalista, elevando sus posibilidades de obtener mayores márgenes de plusvalía.  El conocimiento innovador pasa a ser una valía en permanente fluctuación, dependiendo de su vínculo con la producción material y simbólica.

El impacto educativo está relacionado a los efectos previstos y no planificados de los procesos de enseñanza y aprendizaje. El capital procura que este impacto tenga dimensiones laborales (mano de obra calificada, actualizada e integrada a la lógica de competencia, premio-castigo), de consumo (ganancia orientada hacia los modelos de consumo hegemónicos), sociales (integración y disminución de conflictividad), culturales (modo único de entenderse en el mundo), tecnológicas (prótesis que aumenten la productividad y nuevo régimen de verdad con la Inteligencia Artificial) y humanas (la vida como mercancía).

Mercado educativo

El cuarto elemento, la legitimación del mercado educativo. Esto se promueve por la vía de la externalización de los referentes de valor educativo. En el caso de la educación preescolar, primaria, secundaria y superior, lo que tiene valor (uso y cambio) viene determinado por las financieras globales (BlackRock, Morgan Stanley, JP Morgan y otras), el multilateralismo (Convenciones de UNESCO[4], UNICEF[5], otros), las pruebas estandarizadas aplicadas por el LLECE[6] y PISA[7], las orientaciones del IIPE[8], OIE[9], los rankings universitarios, las clasificaciones de publicaciones normalizadas y estandarizadas, los marcos de negociación laboral (OIT[10]-UNESCO) y las definiciones de la OMC[11], BM[12], FEM[13], OCDE[14], BID[15], CAF[16] y otros.

Además, la cotidianidad de lo educativo, marcado por la gestión, ejecución y control presupuestario se convierte en definitorio de lo académico. Es decir, en los sistemas escolares y las universidades lo académico termina adaptándose a lo presupuestario y, no al revés como debería ser.

El presupuesto desglosado en rubros o áreas termina siendo un marcador de insumos, productos y mercancías a adquirir. En la medida que se decide una u otra orientación política educativa, las prioridades pueden variar y eso impacta en los flujos de inversión y ganancias.  Así, por ejemplo, cuando se decide impulsar la acreditación universitaria, eso tiene unos costos de inscripción en el sistema, pago de aranceles, cubrir honorarios y viáticos de evaluadores, desarrollo de sistemas informáticos, adecuación institucional a los parámetros de evaluación. Igualmente, cuando se decide participar en las pruebas estandarizadas, los sistemas de ranking o los circuitos bibliométricos ello implica transferencia de recursos públicos al sector privado, porque todas estas agencias suelen estar inscritas en la institucionalidad supranacional privada.

Durante la pandemia del COVID-19 los Estados Nacionales y sus ministerios de educación impusieron un modelo de neo privatización sin precedentes, que implicó la transferencia de un volumen muy importante de recursos públicos, pero también de los ciudadanos a las cuentas de las grandes corporaciones tecnológicas. Se normalizó que fueran estudiantes, docentes y familias quienes cubrieran el costo de la transición de lo presencial a lo virtual, mediante el pago de internet, planes de datos, compra o actualización de equipos de conexión remota y acceso a plataformas. A la vuelta a clases presenciales, se modificaron reglamentos y normativas para permitir regularizar las clases híbridas y/o virtuales que continuaba abonando ganancias en el mercado educativo.

Las clasificaciones escolares y universitarias, fundamentadas en los indicadores de calidad, pertenencia, eficacia, innovación e impacto, establecieron criterios de plusvalor, mediante las evaluaciones estandarizadas (primaria y secundaria) y los rankings (universidad). Las buenas prácticasproductividad académica e internacionalización abrieron paso a novedosas formas de plusvalía ideológica, en la cual los propios docentes y estudiantes fueron convertidos en motores incesantes de las clasificaciones.

Trabajadores de la educación y estudiantes pasaron de ser parte del precariado (Standing, 2014) en sus condiciones materiales de labor y vida para realizar el oficio de pensar, enseñar, aprender, hacer trabajo comunitario e investigar, a un cognitariado (Berardi, 2021) alienado por el esfuerzo perpetuo de alimentar los sistemas de clasificación que dotan de plusvalor a las universidades.

Todo aquello que no tributa al sistema de clasificaciones educativas, se convierte en un excedente que produce costos y no ganancias. El conocimiento se convierte en una mercancía que se produce contra demanda, determinada ésta por las agendas nacionales de investigación que promueven los órganos nacionales de ciencia y tecnología, así como las llamadas líneas de investigación institucional, cada vez más determinadas por quienes están al frente de la gestión universitaria y escolar, que por parte de investigadores y docentes. El excedente se reorienta (“reinvierte”) para que tribute al sistema de clasificaciones.

En la carrera por asegurar que los sistemas escolares y las universidades tributen a la lógica del capital, se produce una expansión del valor monetizado en el sector. Cada vez más los Ministerios de Educación (Básica y Universitaria) y de Ciencia, destinan mayor presupuesto ordinario, auxilios financieros, incentivos para la investigación y creación de prototiposbecas para trabajo comunitario y otras formas, que tributen a las clasificaciones universitarias y las buenas prácticas escolares. La ampliación del valor monetizado se da por la vía de venta de servicios universitarios al sector privado y gobiernos, la comercialización de patentes, las asesorías técnicas, la realización de estudios de implantación, viabilidad y escalamiento. Muchas universidades humanistas, con vocación de carreras como educación, psicología, medicina, arquitectura y otras afines, están cada vez siendo más transformadas en instituciones que entran por distintas vías a los circuitos de monetización, especialmente mediante los llamados proyectos productivos.

Esto implica concentrar el trabajo asalariado en los procesos de creación de plusvalor y monetización del conocimiento, lo cual pasa por limitar y eliminar la vocación de vinculación de las universidades y escuelas con la transformación social radical, aquella que confronta el dominio de la burguesía sobre las clases subalternas. La extensión se convierte en formas de ahorro de inversión estatal por la vía de la promoción del trabajo voluntario (no remunerado) que permita reorientar parte del presupuesto público destinado a la agenda social hacia el llamado sector productivo. Las labores de docencia e investigación se “encapsulan” en las aulas y recintos institucionales, para garantizar que la energía de producción intelectual se oriente a los sistemas de clasificación endógenos, despolitizados y ajenos a las luchas entre clases sociales.

Incluso, se procura que las publicaciones de gremios y sindicatos docentes tributen a estos sistemas de clasificación, independientemente que en ellas se critique a estos modelos, la privatización o la mercantilización educativa.  Es decir, la captura del trabajo asalariado procura que nada de la energía laboral del cognitariado quede fuera de la lógica del capital en la educación.

Sin embargo, el tiempo libre se presenta como un problema para el desarrollo y consolidación de la lógica de mercado en la educación. En consecuencia, se traza una estrategia para producir la apropiación material del trabajo no remunerado (tiempo aparentemente libre) de los trabajadores de la educación y estudiantes. Esta apropiación ocurre por la vía de los incentivos materiales (sistemas de puntaje en las evaluaciones) a los morales (promoción de la idea del buen trabajador y estudiante, la vocación de servicio y el compromiso institucional). Una parte importante de la producción intelectual y material de los trabajadores de la educación y estudiantes, se hace en el tiempo no remunerado, garantizando con ello que la creación de valor (objetivo y subjetivo) no cese.

Esto convierte al sujeto educativo (docentes, estudiantes y personal que coadyuva al hecho educativo) en una prolongación de la lógica del mercado.  El sujeto deja de ser un sujeto colectivo, para individualizarse en un movimiento común de muchas mentes y cuerpos que tributan a una misma dinámica. El mercado se convierte en el nuevo sujeto teológico (Dios) al que todos se deben, desprovisto de su identidad popular (hegeliana), de clase (Marx) o de opresión biopolítica (Foucault), psicopolítica (Byung-Chul) o predictiva (Bonilla-Molina).

La ocupación y preocupación central de la academia y los sistemas escolares hoy, es tributar a los sistemas de clasificación. Así lo hemos visto en distintos países, en sectores docentes y estudiantiles, quienes no solo se oponen a las luchas reivindicativas huelgarias, porque ello resta energía productiva vinculada a las clasificaciones, sino que incluso se convierten en esquiroles de las aspiraciones de mejoras para ellos mismos y sus iguales, porque necesitan “producir” artículos, tesis, investigaciones que serán valoradas en los sistemas de recompensa. El sujeto pasa a ser parte del mercado.

Los sistemas de clasificación naturalizan la mercantilización de la vida escolar y universitaria.  Se construyen un “adentro” donde lo normal es formar parte de los sistemas de clasificación y el “afuera” oponerse a ello. En estos sistemas de estratificación el tema financiero juega un papel central. Dentro del “adentro”, cada vez toma más cuerpo la “obligación” de los académicos de procurar “captar” fondos externos, del sector privado, a ser usados en investigaciones o como parte de proyectos de servicio, desarrollo de patentes o cualquier otra modalidad. Muchas universidades han alcanzado el 50% o más de su presupuesto por esa vía, construyendo hegemonía a la mercantilización de la educación. Esto es acompañado por la desinversión estatal en el sostenimiento de la educación pública que crea las condiciones de posibilidad para que se consolide esta mercantilización.

Como parte de la ideología del mercado, la competencia va creando formas diversas e inusitadas de despojo mercantil en la educación. Los Grupos de Trabajo (GT), líneas de investigación (LI), Grupos de Tarea y otras formas asociativas de construcción de conocimiento académico, conformados por docente y estudiantes de distintas categorías y jerarquías en los escalones institucionales, tienden a reproducir la apropiación centralizada y diferenciada en su impacto, de los resultados de este trabajo. El reconocimiento del trabajo estudiantil en este campo es más simbólico, mientras que el del resto de los trabajadores de la educación es material. Igual sucede con la distribución institucional de los incentivos presupuestarios otorgados por los logros en las clasificaciones, que se suelen distribuir de manera inequitativa entre autoridades y la base universitaria. Esta apropiación y despojo sobre los productos finales (mercancías), se convierte en reproducción ampliada de la lógica del mercado.

Al despojo mercantil se le añade la apropiación por desposesión. David Harvey (2016) retoma la formulación marxista sobre las prácticas del capitalismo como sistema, en sus orígenes, que implicaba la expulsión de los propietarios proletarios de las tierras, la eliminación de variadas formas de propiedad para adaptarlas a la lógica del nuevo mercado, la absorción y reinterpretación de las culturas de las clases sociales subalternas, entre otras prácticas. La universidad clásica, que había tenido una función social de democratización del conocimiento científico, la cultura y las artes, es ahora despojada de esta función y realineada de manera progresiva a la lógica del mercado, mediante los sistemas de clasificación, competencia, premio-castigo. La universidad y las escuelas han sido despojadas en la era neoliberal de su función social básica, convirtiéndolas en fábricas de competencia, rentabilidad y metabolismo de consumo. Esta apropiación por desposesión no ha terminado, sino que se profundiza con la llamada transformación digital de la educación, la ola neoconservadora y las orientaciones multilaterales centradas en logros por etapas.

En los noventa se inició un proceso de expropiación y transferencia de las instituciones de enseñanza, aprendizaje y producción de ciencias, a los centros empresariales de concentraciónacumulación uso mercantil del conocimiento, dinámica que aún hoy no se ha detenido.  Los sistemas de clasificación, bibliometría y patentes permitieron ir focalizando y ampliando la captura de los “cerebros” y equipos de investigación que hacían vida en las universidades y centros de investigación, cuya producción era relevante para la mejora del modo de producción capitalista. De esta manera, evitaron -y evitan- la dispersión de esfuerzos y terminan vaciando a las instituciones de educación y ciencia, del talento que pueda ser usado para proyectos de emancipación. Además, reduce el impacto de la producción, actualización e innovación universitaria y de los centros de investigación públicos, lo cual termina justificando la desinversión de lo público en el sector y la necesidad de entrar en la carrera de la disputa por la inversión privada.

La lógica del mercado en la educación termina exacerbando las contradicciones sobre las finalidades de la educación, los sistemas escolares y las universidades. El proceso de mercantilización, ha instalado la idea que el único propósito de estudiar es trabajar, no aprender a vivir, convivir, aprender a aprender, compartir, construir sociedad y vida. A tal punto se ha consolidado esta desposesión simbólica y material, que la propia UNESCO, en su conferencia mundial de educación superior, celebrada en Barcelona, España, en 2022, convirtió el paradigma del derecho humano a la educación a lo largo de la vida, en el derecho a la educación para la empleabilidad.

Breve conclusión

Este proceso se construcción del mercado educativo no es nuevo, por el contrario, ha adquirido distintas formas en la medida que muta el modo de producción capitalista. Sin embargo, en las últimas décadas los sistemas de clasificación le imprimen rasgos muy particulares que desdibujan su misión histórica y le dan un sentido radicalmente distinto al que históricamente tuvieron los sistemas escolares y las universidades. Comprenderlo es fundamental para el diseño de estrategias de resistencia y la construcción de alternativa


[1] Profesor invitado de la Universidad Federal de Sergipe, Brasil. Miembro electo del Comité Directivo del Consejo Latinoamericano de Ciencias Sociales (CLACSO) y Coordinador del GT CLACSO “Capitalismo digital, políticas educativas y pedagogías críticas” (2023-2025). Miembro del Secretariado del Congreso Mundial contra el Neoliberalismo Educativo (Río de Janeiro, Brasil, octubre 2024). Integrante de la Campaña Latinoamericana por el Derecho a la Educación (CLADE), la Fundación Kairos y la Asociación Latinoamericana de Sociología (ALAS). Investigador del Centro Internacional de Investigación Otras Voces en Educación (CII-OVE). Investigador asociado al eje “trabajo docente” de la CRES+5 a realizarse en Brasilia, Brasil, abril 2024. Contactos: luisbonillamolina.62@gmail.com

[2] No entraremos aquí en el debate sobre los límites de lo público y lo privado, sino que a efectos pedagógicos (a riesgo de ser criticados de simplismo conceptual) entenderemos la gestión, financiamiento y control  gubernamental de la educación por parte de los gobiernos como lo público y, lo privado como lo que es gestionado por sectores con capital propio (con capital propio, subvencionado o no, concertado o no), que tienen un tratamiento diferenciado (algunas veces no declarado) de lo público en materia de control, supervisión y seguimiento.

[3] Ver Ludovico Silva en Plusvalía Ideológica (2017)

[4] Organización de las Naciones Unidas para la Educación, Ciencia, Cultura y Comunicación

[5] Organización de las Naciones Unidas para la Infancia

[6] Laboratorio Latinoamericano de Evaluación de la Calidad Educativa, adscrito a la Oficina Regional de Educación de la UNESCO con sede en Santiago de Chile.

[7] Programa Internacional de Evaluación de Estudiantes

[8][8] Instituto Internacional de Planeamiento Educativo. Sede principal en París, Francia, con sub sede en Buenos Aires Argentina.

[9] Oficina Internacional de Educación de la UNESCO con sede en Ginebra Suiza.

[10] Organización Internacional del Trabajo

[11] Organización Mundial de Comercio

[12] Banco Mundial

[13] Foro Económico Mundial o Foro de Davos

[14] Organización para la Cooperación Económica de Europa

[15] Banco Interamericano de Desarrollo

[16] Corporación Andina de Fomento

 

Fuente de la Información: https://luisbonillamolina.com/2024/10/06/logica-del-mercado-en-la-educacion-un-analisis-critico/

 

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Un olvido imperdonable para la izquierda ¿cómo está la clase trabajadora en Venezuela?

Un olvido imperdonable para la izquierda ¿cómo está la clase trabajadora en Venezuela

Luis Bonilla-Molina

Cuando a un marxista revolucionario se le consulta sobre la situación de un país, tiene tres marcos referenciales y categoriales para responder. El primer marco, básico y elemental, previo y determinante respecto a las restantes, está referido a las condiciones de la clase trabajadora, especialmente a su situación material de vida y trabajo (salarios, inflación, poder adquisitivo, acceso a servicios básicos y seguridad social) y el régimen de libertades políticas en la cual se produce su proceso de toma de conciencia como clase (libertad de organización sindical, libertad de formular contratos colectivos, introducir pliegos conflictivos, derecho a huelga, derecho a movilización, posibilidades de organizarse en partidos políticos revolucionarios, libertad de opinión y de producción intelectual, entre otros).

El segundo marco, las condiciones en las cuales la burguesía y las clases (y castas) dominantes se apropian de la riqueza, el modelo de acumulación capitalista imperante, las características del modelo de representación política que expresa la dominación burguesa y el régimen de libertades políticas que tienen los ricos para hacerse cada vez más ricos.

El tercer marco, la relación de las burguesías nacionales con las naciones imperialistas y los centros del capitalismo mundial, lo cual implica un debate actualizado sobre los tipos de antiimperialismo, dentro de los cuales está los reacomodos de las burguesías nacionales y sus sistemas de relaciones que pueden causar fisuras temporales con los lazos históricos con el centro imperialista y, que son presentados como antiimperialismo. No toda contradicción temporal o circunstancial es antiimperialismo. Hoy, el antiimperialismo consistente y de larga duración es anticapitalista.

Es imposible avanzar en la comprensión integral del segundo y tercer marco de análisis categorial, sin una correcta definición del primero.

A partir de la madrugada del 29J-2024, cuando el presidente del Consejo Electoral Nacional (CNE) de Venezuela, Elvis Amoroso, anunciara los resultados electorales de los comicios realizados el día anterior, se ha desatado una polémica sobre la transparencia y confiabilidad de los datos que soportaban el anuncio. Esta situación ha generado un debate y fisura en la izquierda internacional en tres grandes polos: el primero, de la geopolítica, el segundo de la negociación para salir de la crisis de legitimidad y, el tercero de la perspectiva del mundo del trabajo.

El bloque mayoritario, de la geopolítica, plantea todo en términos de “izquierda en el gobierno” versus derecha y ultraderecha en la oposición. Las categorías de derecha e izquierda son significantes vacíos si no parten de la conformación y confrontaciones entre clases sociales, los procesos de acumulación de capital y las relaciones de opresión o liberación con las clases subalternas, especialmente la clase trabajadora.
Los partidarios de la geopolítica no mencionan los procesos de conformación de una nueva burguesía en el proceso bolivariano evidenciada en eventos como la crisis bancaria de 2009 (cierre de bancos creados con capitales generados a partir de las relaciones con el gobierno) o la develación de la mega corrupción del caso PDVSA-Cripto que involucró a un centenar de dirigentes del PSUV, entre ellos uno de los integrantes del buró político (se habló de 3.000 millones de dólares, luego de 15.000 y últimamente de 23.000 millones de dólares).

No basta con sostener una narrativa de izquierda para ser de izquierda, si esto encubre la incubación de un sector burgués y el sostenimiento del modelo rentista de acumulación burguesa. Los programas y ejecutorias de gobierno deben ser valorados más allá de las formalidades discursivas, para ello es importante confrontarlos o relacionarlos con la lógica de acumulación y distribución de la riqueza nacional.

El bloque de la geopolítica omite esto. No consultan a la izquierda histórica venezolana PCV-auténtico, PPT real, Tupamaros históricos, entre otros para conocer si hay coherencia y consistencia entre la definición gubernamental de izquierda y su práctica.

El peor de los “argumentos de la “izquierda geopolítica” es que si “cae” el gobierno venezolano eso tendrá un efecto desastroso en la conformación y avance de la izquierda en su país, desconociendo el creciente desprestigio social continental y mundial del madurismo en sus países, que es lo que realmente les afecta.

Pero, además, en el mejor de los casos esta definición “geopolítica” implica una solicitud de sacrificio de la clase trabajadora venezolana, de aceptación sumisa de sus condiciones de explotación y opresión en el propio país, para que esas otras izquierdas a nivel internacional puedan, como un corcho, mantenerse a flote.  Terrible pensar solo en pedir este sacrificio a la clase trabajadora venezolana.

El segundo bloque es el de la negociación, del acuerdo para salir de la crisis. En este esfuerzo ubicamos a los gobiernos de Brasil (Lula), Colombia (Petro), hasta hace poco México (AMLO) y de manera intermitente Chile (Boric). Este sector pareciera inspirado en evitar un deterioro social mayor y que se pueda generar un ambiente de conmoción y guerra civil en el país.  A pesar de sus loables y buenas intenciones, sus gestiones tienen el problema que omiten dos cosas fundamentales: 1) la situación material y de libertades de la clase trabajadora venezolana y 2) que la auténtica izquierda venezolana (PCV, PPT, Tupamaros, y otras agrupaciones a las que no se les ha permitido legalizar sus partidos) esta proscrita, no tiene posibilidad de conseguir personalidad jurídica ni participación autónoma en el marco electoral. Esta omisión no es un tema menor.

Recientemente este sector ha propuesto (Lula y Petro) la celebración de nuevas elecciones nacionales, como salida al impase generado por la negativa gubernamental a mostrar las actas que respaldan la declaración de triunfo de Maduro, mientras la oposición ha publicado en un sitio web propio más del 81% de copias de actas que el gobierno acusa de no ser auténticas. Esta propuesta de nuevas elecciones tenemos que entenderla como un camino de continuidad a las políticas de acuerdo inter burgués (vieja y nueva burguesía) impulsadas por el gobierno de Maduro entre 2018-2024, que no lograron cerrarse por la resistencia de un sector de la vieja burguesía de la cual forma parte y representa María Corina Machado (MCM).

Unas nuevas elecciones evidentemente no podrían ser el corto plazo porque resultarían en un nuevo impase, sino que tendrían que ser en el mediano plazo (dos años o más), precedidas por la conformación de un gobierno de cohabitación, consenso o integración que construya viabilidad a una eventual transición (leyes que protejan al madurismo evitando que vayan a la cárcel, garantías para la nueva burguesía de respeto a sus riquezas y posibilidades de seguir acumulando). MCM rápidamente salió a oponerse a esta propuesta porque ella representa a un sector liquidacionista de la nueva burguesía, que va por un formateo de todo lo ocurrido -y acumulado por la nueva burguesía- en los últimos veinticinco años.

Es decir, la cuestión central hoy -para salir del impase coyuntural desde la lógica del capital- es un acuerdo inter burgués, sin embargo, alcanzarlo no significa la resolución de la crisis del modelo de acumulación burgués y de representación política iniciado en 1983, pero abre caminos en este sentido. Las políticas de arrase a la burguesía madurista o el sector burgués que representa Machado, comienzan a inquietar a la burguesía latinoamericana, porque ello puede crear una situación que se salga de control; la mediación de los presidentes progresistas de la región procura contribuir a conjurar este riesgo, construyendo un camino de encuentro para los sectores burgueses en disputa.

El tercer bloque, está conformado por los distintos tonos de la izquierda que parten de los análisis de clase. Este sector, minoritario en sus relaciones partidarias a nivel internacional, encuentra dificultad para posesionar sus argumentos, ante la vorágine mediática que instala la idea de polarización en dos bloques antagónicos (derecha versus izquierda, obviando la pugna inter burguesa y la existencia de organizaciones a la izquierda del madurismo).
La izquierda venezolana no madurista, es la que mejor entiende lo que ocurre estructuralmente, pero suele tener dificultades para plantear los análisis en un lenguaje que resulte comprensible para la mayoría de la población, que logre superar la mirada panfletaria, el sectarismo o el ultraizquierdismo e incluso la “política del hígado”.  Este sector necesita refrescar sus narrativas para poder tener mayor impacto en el debate y contribuir a clarificar la situación en la las organizaciones sociales y políticas de la clase trabajadora internacional.

La supremacía de las narrativas que plantean lo que existe en Venezuela como una contradicción entre derechas o izquierdas, o que incluso ante los errores del madurismo hay que privilegiar su “independencia” respecto al imperialismo norteamericano, conforma un amplio espectro que se denomina como el campismo.
Lo que resulta un olvido imperdonable de la izquierda campista (que plantea todo en términos de blanco y negro) es que su lugar de enunciación, comunicación y toma de posición, no sea la situación material de la clase trabajadora venezolana y las múltiples causas de la misma, que incluya el efecto del bloqueo norteamericano, pero también las políticas neoliberales y anti obreras del gobierno de Maduro.


[1] Profesor universitario e investigador en pedagogía y ciencias sociales. Integrante del Consejo Directivo del Consejo Latinoamericano de Ciencias Sociales (CLACSO), integrante de la Campaña Latinoamericana por el Derecho a la educación (CLADE) y director de investigaciones de Otras Voces en educación

Fuente de la Información: https://luisbonillamolina.com/2024/09/15/un-olvido-imperdonable-para-la-izquierda-como-esta-la-clase-trabajadora-en-venezuela/

 

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Mundo de las Ideas: ¿Por qué hablar de brecha epistémica y sus componentes?

¿Por qué hablar de brecha epistémica y sus componentes?

 Luis Bonilla-Molina

 

Tendríamos que comenzar por precisar el concepto que unifica la problemática que nos ocupa. La Brecha epistémica es la distancia que existe entre nuestras ideas e interpretaciones sobre los factores determinantes y asociados a la situación actual, tanto de los sistemas escolares como de las universidades, y lo que realmente ocurre. Se trata de una pérdida de perspectiva, sentido y profundidad teórica, que impide valorar y ponderar adecuadamente los nudos problemáticos, sus lugares de enunciación, así como las rutas de abordaje propositivo de las expectativas sociales sobre la educación y la noción de crisis educativa.

Se suele hablar de brecha tecnológica, cultural, económica, material, entre otras, pero no es común mencionar la epistémica, lo cual limita al campo de actuación de las resistencias anti sistémicas en educación, pero sobre todo la construcción de alternativas adecuadamente situadas. Si algo ha trabajado el capitalismo en las últimas décadas es la destrucción sistemática de las condiciones materiales[1], conceptuales[2] y paradigmáticas[3] que podrían evitar que exista esa brecha epistémica en la academia, sindicatos y gremios magisteriales, organizaciones estudiantiles y de la sociedad civil.

La fragmentación de la realidad y carrera desenfrenada de la bibliometría (Jiménez y otros,2024) por adaptarse a la cultura evaluativa, ha promovido el estudio de partes inconexas de la realidad, cada vez más delimitadas, a tal punto que resulta complicado entender las conexiones de los resultados de muchas pesquisas que intentan adentrarse en la telaraña de los problemas educativos.

Este trabajo va en vía contraria, intentando identificar los temas más relevantes (no son los únicos) de la Brecha Epistémica: a) incomprensión del impacto de las revoluciones industriales en la educación, los sistemas escolares, la universidad y la industria educativa, (desfase creciente desde la tercera revolución industrial, surgimiento de la paradoja del cambio), b) desconocimiento de las diferencias, similitudes, puntos de encuentro y desencuentro de los proyectos del capital en educación,  c) agotamiento del régimen biopolítico y subordinación de las expresiones de éste, al nuevo régimen predictivo de reproducción capitalista (social, cultural, simbólico, material), d) atasco del paradigma disciplinar, problemas para la implantación de los paradigmas transdisciplinario y complejo, incapacidad sistémica para encarar la convergencia transdisciplinaria (en todo el sistema escolar y la universidad, la construcción de conocimiento y la formación profesional),  e) despedagogización (despolitización, curricularización, cancelación de la idea de la docencia como actividad intelectual orgánica, docencia como administración curricular, lógica del operario ilustrado, pérdida de sentido social del aprendizaje, paradigma del aprendizaje a lo largo de la vida, coaching educativo), f) fosilización de los arquetipos institucionales educativos (Comenio en el siglo XXI, el tamaño institucional sí importa, los diseños profesionales como producto, la investigación como eje real en tiempos de aceleración de la innovación), g) limitado estudio de la relación de los modelos de gestión empresarial con los modelos de gestión escolar y universitaria, h) incomprensión de la deriva neoliberal de la UNESCO (la UNESCO como proyecto del orden mundial derivado de las post guerras, las seis reformas de la constitución de UNESCO, del rol progresista de la UNESCO al vampirismo educativo capitalista),i) El know-how docente en el presente, j)El tránsito del Apagón Pedagógico Global (APG) al estallido de la burbuja educativa, k) problemas epistémicos para entender las implicaciones educativas de la transformación digital de los sistemas escolares; l) la cultura evaluativa en educación, ll)  Estos doce elementos forman parte de un proyecto ambicioso de estudio, análisis, comunicación y organización alternativa que hemos decidido emprender para contribuir a la resolución de la brecha epistémica; en este trabajo nos limitaremos a estudiar elementos constitutivos del segundo de los elementos de la brecha epistémica, esperando contar con las energías necesarias para concluirlo y lograr los apoyos institucionales necesarios para poder culminar esta tarea.

Un proyecto de investigación permanente

Lo descrito forma parte de un proyecto ambicioso de estudio, análisis, comunicación y organización alternativa que hemos decidido emprender para contribuir a la resolución de la brecha epistémica. En este trabajo nos guiamos por el paradigma INVEDECOR (Lanz,1994) que plantea que todo proyecto de transformación con perspectiva radical de teoría crítica debe contener por lo menos cuatro dinámicas simultáneas, convergentes y en permanente diálogo; estas son: investigación desde la práctica para ir al encuentro de la teoría, educación mediante la socialización de los resultados de investigación y reflexión participativa, comunicación desde abajo, en modelo de redes autónomas no jerárquicas que permita difundir las experiencias alternativas y, finalmente organización de quienes trabajan, investigan, socializan, enseñan y aprenden, para construir tejido social que posibilite no solo resistir sino construir alternativas raizales (Fals Borda,1982)

 


[1] La llamada sociedad de la información ha producido una intoxicación de información superflua e irrelevante que crea una tupida maleza que dificulta el acceso a información debidamente fundamentada. La sociedad de la información no ha significado una mayor democratización del conocimiento científico, crítico y transformador.

[2] Los discursos posmodernos, por ejemplo, son una narrativa que procura confundir los análisis de resistencia anticapitalista. Recomiendo leer a Jameson (1992) Posmodernismo: la lógica cultural del capitalismo avanzado.

[3] La superposición de paradigmas y el ocultamiento de la creación del mercado educativo como espacio de disputa inter capitalistas que va acompañado de caminos no siempre coincidentes para los sistemas escolares y universidades, eleva exponencialmente la falta de referentes perdurables y la confusión analítica de quienes actúan de manera desprevenida, en una sociedad de dominación cada vez más compleja.

Fuente de la Información: https://luisbonillamolina.com/2024/06/18/por-que-hablar-de-brecha-epistemica-y-sus-componentes/

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