Page 186 of 622
1 184 185 186 187 188 622

[Libro] Afrodescendencias. Voces en resistencia

Reseña: Rosa Campoalegre Septien

Colección Antologías del Pensamiento Social Latinoamericano y Caribeño. 
ISBN 978-987-722-339-2
CLACSO. CIPS.
Buenos Aires.
Julio de 2018

Texto completo en: https://www.lahaine.org/libro-afrodescendencias-voces-en-resistencia

Hemos vuelto para seguir más allá del Decenio internacional de los pueblos afrodescendientes colocando propuestas contrahegemónicas. La finalidad de este volumen no se circunscribe a ser un texto con fines didácticos, es también un instrumento de batallas, en particular referidas al reconocimiento, las autorreparaciones y las alianzas. Es un compartir de saberes que enlazan las academias y el movimiento afrodescendiente, en la pluralidad de voces provenientes de Colombia, Brasil, Argentina, Puerto Rico, Cuba, Estados Unidos y España, con el concurso de diversas y prestigiosas instituciones académicas.

Leer libro completo [PDF 2,8 MB]

 Link de descarga:   https://www.lahaine.org/libro-afrodescendencias-voces-en-resistencia

Comparte este contenido:

Sierra Leone – Quando la dimensione della persecuzione si intreccia con la povertà

Author: Silvia Peirolo

La Sierra Leone è un piccolo paese nell’Africa occidentale conosciuto per grandi (drammatiche) storie: tratta degli schiavi, guerra dei diamanti, Ebola. Nonostante le ingenti somme ricevute dalla comunità internazionale, la Sierra Leone rimane uno dei paesi più poveri del mondo. Nel 2017, l’Italia ha ricevuto 1101 richieste di protezione internazionale da cittadini sierraleonesi di cui 253 sono state rifiutate. Date le condizioni nel paese, il conferimento dello status di ‘rifugiato’ ai cittadini sierraleonesi – ferma restando la valutazione individuale nel merito di ogni domanda d’asilo – non è più giustificato. Ciononostante, le condizioni di fragilità e di vulnerabilità dei cittadini sierraleonesi permangono tutt’oggi. Qual è il ruolo dell’Unione Europea, e dell’Italia, di fronte alle richieste di solidarietà avanzate da persone non ‘perseguitate’ nel senso stretto del termine, ma in condizioni di estrema fragilità e vulnerabilità? Alcuni potrebbero chiedersi: perché l’Unione Europea si dovrebbe interessare alla Sierra Leone? Ci sono 4513 km in linea d’aria che separano la Sierra Leone all’Italia, non sono sufficienti per ignorare i ‘loro’ problemi? Eppure, nel passato, la futura Unione Europea si è interessata molto alla Sierra Leone, prima per la tratta degli schiavi e poi per le risorse naturali.

Le conseguenze della tratta degli schiavi

Le prime navi portoghesi iniziarono a visitare regolarmente il paese intorno al 1460. L’estuario di Freetown era considerato uno dei pochi porti ‘buoni’ della costa occidentale dell’Africa: vennero così costruiti imponenti scali commerciali lungo la costa e gli europei cominciarono a comprare una merce che nei secoli successivi sarebbe rimasta la più preziosa di tutti: gli schiavi. La tratta degli schiavi non fu, come molti pensano, un invenzione degli europei: esisteva già e rimarrà un’attività importante in Sierra Leone fino alla metà del 19° secolo.

La Sierra Leone esportava moltissimi schiavi. Bunce Island è un’isola che si trova a circa 32 chilometri da Freetown. Sebbene sia molto piccola, grazie alla sua posizione strategica al limite della navigazione per le navi oceaniche, è una base ideale per la tratta degli schiavi. Decine di migliaia di africani furono esportati da Bunce Island verso le colonie nordamericane della Carlona del Sud e della Georgia e sono gli antenati di molti afroamericani degli Stati Uniti.

Mappa di Bunce Island

Fonte: www.yale.eduhitchcock.itc.virginia.edu

Bunce Island è il simbolo di un periodo in cui la Sierra Leone si trasformò in una gigantesca riserva per la caccia all’uomo. Sono stati fatti studi interessanti per capire l’impatto della schiavitù sui paesi africani. L’economista Nathan Nunn, dall’università statunitense di Harvard, sostiene che i territori da cui un tempo proveniva la maggioranza degli schiavi sono ancora oggi i più poveri e violenti. Eppure la tratta degli schiavi è stata abolita ormai più di duecento anni fa, com’è possibile?

Nel 17° secolo all’imperialismo portoghese si sostituì quello britannico. Gli inglesi presero il controllo del paese, fondando nel 1787 la Colonia della Corona Britannica della Sierra Leone, con Freetown come capitale. Il nome ‘Freetown’ (città libera) è ben augurante e voleva essere l’incarnazione della speranza nel futuro di chi era potuto tornare in patria come uomo libero. La capitale sierraleonese venne infatti fondata come un insediamento per gli schiavi che si erano schierati con gli inglesi durante la guerra rivoluzionaria americana. Diventò quindi la destinazione degli schiavi liberati fino al 1885. Anche se originariamente gli schiavi provenivano da tutte le aree dell’Africa, la maggior parte decise di rimanere in Sierra Leone. I discendenti degli schiavi liberati sono quelli che oggi vengono definiti creoli.

La maledizione delle materie prime

Nell’ottocento gli europei costruirono gli imperi coloniali in Africa. Le stive delle navi commerciali non si riempivano più di giovani schiavi, ma di cacao, avorio, caucciù e olio di palma. I commercianti europei dividevano i profitti con un élite africana che era responsabile del controllo del territorio africano. In Sierra Leone, gli inglesi si espansero nell’entroterra promuovendo il commercio e stipulando trattati con capi indigeni. Quando il comportamento dei capi africani non era conforme ai dettami inglesi, intervenivano l’esercito e la marina. Le stesse forze di polizia della Sierra Leone furono fondate nel 1829 dai britannici con l’obiettivo di proteggere gli interessi coloniali. In un certo senso era cambiata la materia prima del commercio ma le dinamiche erano rimaste immutate: questo modello ha caratterizzato il paese anche dopo la fine del dominio coloniale, e persino dopo la conquista dell’indipendenza nel 1961.

Sull’Africa grava una maledizione delle materie prime che si passa di generazione in generazione. Richard Auty nel 1993 usò per la prima volta l’espressione ‘maledizione delle risorse’ per descrivere come i paesi africani, ricchi di risorse naturali, abbiano paradossalmente una crescita economica minore rispetto ai paesi privi di abbondanti risorse naturali. L’idea che le risorse naturali possono essere economicamente più una maledizione che una benedizione lo dimostra la sanguinosa guerra dei diamanti.

L’estrazione e la vendita dei cosiddetti diamanti insanguinati possono facilmente essere descritti come un fattore prolungante della guerra civile protrattasi tra il 1991 e il 2002, come mostra il film Blood Diamonds. Dopo l’indipendenza nel 1961, il nuovo apparato politico sierraleonese si dimostrò debole e incapace di fornire gli elementi necessari al benessere e alla crescita economica e sociale della popolazione, cosicché, quando la guerra civile esplose nel 1991, molti giovani insoddisfatti avevano trovato comprensione nel RUF, il Fronte Rivoluzionario Unito. In questa guerra civile in cui tutti combattono contro tutti, tutti vogliono quei diamanti, che si vendono molto bene negli Stati Uniti e in Europa. Quando ci si trovava a parlare con i mercanti di diamanti nei bar degli hotel per ‘opotu’ (bianchi nella lingua indigena), i commercianti dicevano che trattavano in ‘meloni e banane’. Si riferivano al colore dei diamanti grezzi.

I lavoratori lavorano alla ricerca di diamanti in una miniera gestita dal governo in Sierra Leone. Photo credit: CNN

 

Leggi anche: https://money.howstuffworks.com/african-diamond-trade2.htm

Nel 1999, nel tentativo di promuovere i negoziati tra il RUF e il governo venne firmato l’Accordo di pace di Lomé. L’accordo mirava a portare la pace assicurando a RUF un’amnistia generale e offrendo posizioni governative ai comandanti. Per esempio, al comandante del RUF venne proposta la vicepresidenza e il controllo delle miniere di diamanti del paese, in cambio della cessazione dei combattimenti. 
Il 19 gennaio 2002, il presidente dichiarò: “war don don”: la guerra è finita. Il bilancio è tragico. 2,6 milioni di sfollati, 50.000 morti, 257.000 vittime di abusi sessuali, 250.000 bambini soldato, 11 capi di accusa per l’ex-Presidente della Liberia, 17.000 caschi blu inviati sotto la cosiddetta “politica di riconciliazione nazionale”. Ishmael Beah, ex-bambino soldato diventato celebre scrittore di Memorie di un soldato bambino, ha avuto l’incredibile fortuna di sfuggire alla guerra dei bambini e, dopo essersi trasferito negli Stati Uniti, ha raccontato la sua storia. Eppure la guerra non ha colpito solo la generazione di Ishmael. Le vittime della guerra non sono solo quelle uccise o mutilate durante il conflitto, ma anche le successive generazioni che vivono sulla propria pelle le terribili condizioni della ricostruzione. La guerra ha avuto un impatto significativo sull’economia, sulla governance, sulla società civile, sull’ambiente, sulla salute e sul sistema educativo, i cui risultati si vedono ancora oggi.

I rifugiati sierraleonesi: da dopo la guerra ad oggi

La guerra civile ha costretto alla fuga circa due milioni di persone, soprattutto in Guinea e in Liberia. Con il ritorno degli ultimi dei circa 280mila rifugiati sierraleonesi rimpatriati dalla fine della guerra civile, si è concluso nel luglio 2004 l’imponente programma di rimpatrio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). Sempre secondo l’UNHCR, nel 2008, le condizioni in Sierra Leone erano tornate alla normalità. Di conseguenza, l’UNHCR ha consigliato agli stati di non concedere più lo status di rifugiato ai cittadini sierraleonesi – ferma restando la valutazione individuale nel merito di ogni domanda d’asilo – poiché le cause che avevano portato all’attribuzione di tale status in passato hanno cessato di esistere. Considerando i cambiamenti importanti e permanenti avvenuti nel paese, il conferimento dello status di ‘rifugiato’ ai cittadini sierraleonesi non è più giustificato.

Il grafico rappresenta l’andamento delle domande di asilo da parte di cittadini della Sierra Leone dal 2000 al 2017. La prima riga azzurra rappresenta il numero totale di domande di asilo. In verde è indicato il numero di richieste accettate e in rosso le domande respinte. È chiaro da subito che le domande di asilo si sono drasticamente ridotte dal 2001, per poi leggermente aumentare negli ultimi anni.

Domande di asilo da cittadini della Sierra Leone dal 2000 al 2017

Fonte: https://www.worlddata.info/africa/sierra-leone/asylum.php

In Italia, nel 2017, 1.101 cittadini sierraleonesi hanno richiesto protezione internazionale. 23 domande sono state accettate, 253 rifiutate. Delle altre 825 domande di asilo non si sa ancora nulla. Tralasciando l’assurdità della lentezza dei procedimenti che lasciano la vita di 825 persone in sospeso per mesi, quelle 253 domande di asilo rifiutate aprono una riflessione. Paolo Naso, docente di Scienza politica all’Università Sapienza di Roma, sostiene che i ‘migranti’ che arrivano oggi in Italia, non sono né migranti economici né rifugiati politici, ma entrambe le cose. La distinzione tra richiedente asilo e migrante economico appartiene ad un periodo storico passato, quello del muro di Berlino e della guerra fredda. Il rifugiato era perseguitato a livello individuale, come ad esempio un dissidente anti-comunista.

Nell’epoca attuale le persecuzioni sono più collettive, sono fatti di massa: dalla crisi ambientale, alla povertà economica, al cosiddetto state failure. Oggi dividere i due aspetti è impossibile. Da qui la debolezza delle politiche che semplicisticamente affermano: “sì ai rifugiati politici, no ai migranti economici”.

I sierra leonesi che richiedono protezione internazionale in Italia riflettono perfettamente questo concetto. La Sierra Leone ha storicamente affrontato episodi di violenza e di conflitto, con una decennale guerra civile che ha distrutto il paese. Eppure, oggi c’è qualcosa che uccide tanto quanto le guerre e le epidemie: la povertà. In Sierra Leone – 181esima su 186 posti nella graduatoria dell’indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite – il 57% della popolazione vive con poco più di un dollaro al giorno, l’aspettativa di vita è di 50 anni, 161 bambini su 1.000 muoiono prima di raggiungere i 5 anni di età e 1 donna su 100 muore partorendo. Oggi la dimensione della persecuzione, della sofferenza, s’intreccia con quella della povertà.

Considerazioni conclusive

Quello che serve oggi all’Unione Europea non solo nuove politiche di respingimento o di accoglienza-integrazione dei migranti, non sono dibattiti sulla condizione di solidarietà tra gli Stati membri sul piano finanziario o sulla redistribuzione dei migranti e delle loro famiglie secondo precisi standard.

La domanda che dovremmo porci è: Quale potrebbe e dovrebbe essere la risposta dell’Unione Europea alle richieste di solidarietà avanzate da persone in condizioni di estrema fragilità e vulnerabilità?

Le cause di fragilità e vulnerabilità nei paesi di origine non sono un problema ‘loro’, ma un problema ‘nostro’. Quando ci dimentichiamo questo dettaglio, ricordiamoci che è stata la futura Unione Europea ad avere un ruolo centrale nel colonialismo, che ha saccheggiato paesi dalle proprie ricchezze naturali e sottomesso popoli mantenendo dittatori sanguinari. Sono state due potenze alla base dell’Unione Europea a ridisegnare la carta geografica mondiale con gli accordi di Sykes-Picot, inventando stati, e cancellando, prima con una matita e un righello, e poi con le armi, comunità intere. E, se vogliamo guardare ancora più vicino, l’Italia, nel periodo che va dal 1993 al 1997, è stato il principale fornitore di armi leggere ed esplosivi alla Sierra Leone. Secondo i dati del commercio estero Istat, nei primi undici mesi del 1997 sono stati venduti circa 1.600.000 bossoli per fucili.

Abbiamo preso le persone, quando ci faceva comodo. Abbiamo preso le risorse naturali, quando ci faceva comodo. Abbiamo venduto le armi, quando ci faceva comodo. E ora che cosa ci fa comodo?

Silvia Peirolo
Agosto 2018

Fonti consultate:
Baker, B. (2008). Beyond the Tarmac Road: Local Forms of Policing in Sierra Leone & Rwanda. Review of African Political Economy, 35(118), 555-570.

Baker, B., May, R. (2004). Reconstructing Sierra Leone. Commonwealth & Comparative Politics, 42(1), 35-60.
Berghs, M. (2010). Coming to terms with inequality and exploitation in an African state: Researching disability in Sierra Leone. Disability & Society, 25(7), 861-865.

Berghs, M. (2011). Embodiment and emotion in Sierra Leone. Third World Quarterly, 32(8), 1399-1417.

Berghs, M. (2016). War and embodied memory: Becoming disabled in Sierra Leone. Routledge.Berghs, M., & Dos Santos-Zingale, M. (2011). A comparative analysis: everyday experiences of disability in Sierra Leone. Africa Today, 58(2), 18-40.
Boas, M. (2001) Liberia and Sierra-Leone: Dead Ringers? The Logic of Neopatrimonial Rule, Third World Quarterly, Vol. 22, Issue 5, pp. 697 – 723
LA VOCE di Ferrara Comacchio, Aprile 2000, pag.2
Simoncelli, M. (2001) Armi leggere guerre pesanti. Il ruolo dell’Italia nella produzione e nel commercio internazionale, Rubbettino Editore, 190-192

Sull’autrice
Laureata in Scienze Internazionali dello sviluppo e della cooperazione all’Università di Torino (Italia) e in Scienze internazionali con una specializzazione in Aiuto Umanitario all’Università di Wageningen (Paesi Bassi). Si interessa alle questioni legate alla migrazione, ai diritti umani e alla difesa e sicurezza con un focus geografico sull’Africa. Parla fluentemente inglese e francese.

Fuente: http://www.meltingpot.org/Sierra-Leone-Quando-la-dimensione-della-persecuzione-si.html#.W2wz2NJKjMw

 

 

 

Comparte este contenido:

Sudáfrica y Namibia celebran el Día Mujer

África/Sudáfrica/09 Agosto 2018/Fuente: Telesurtv
«La libertad no puede lograrse a menos que las mujeres se hayan emancipado de todas las formas de opresión», Nelson Mandela.

Miles de mujeres actualmente en Suráfrica y Namibia se enfrentan a la discriminación y la violencia generalizada y maltratos que muchas veces no son denunciado ante las autoridades.

Cada 9 de agosto se celebra en el mundo el Día Internacional de Solidaridad con la Lucha de la Mujer en Suráfrica y Namibia, hecho que se da luego de que en esa fecha pero en 1956 al menos 20 mil mujeres sudafricanas protestaran en contra de tener que llevar pases para ciudadanos negros que eran otorgados en la época del Apartheid.

Luego de esta masiva manifestación la  Asamblea General de las Naciones Unidas en la Resolución 36-172 invitó a todos los gobiernos y organizaciones a que observen anualmente este evento.

Esta determinación de la ONU surge debido a la preocupación por la opresión de millones de mujeres y niños bajo el régimen del apartheid, manifestado en asesinatos, hambre y la ruptura familiar.

En 1994 el entonces presidente de Sudáfrica, Nelson Mandela (Madiva), aseveró que «la libertad no puede lograrse a menos que las mujeres se hayan emancipado de todas las formas de opresión».

Actualmente las mujeres de Suráfrica y Namibia cuentan con los abales de avances importantes consagrados en la Constitución , proporcionando de así el derecho a la igualdad; libertad y seguridad, control sobre su propio cuerpo, medidas para mejorar la calidad de vida de todas las mujeres, el derecho a la educación, derecho a una vivienda adecuada, servicios de atención médica; suficiente comida y agua; y seguridad social.

Pese a que Suráfrica el 15 diciembre de 1995  firmó un convenio con la ONU con su mejor intención de elevar los derechos de las féminas y  eliminar todas las formas de discriminación en su contra, la lucha ha sido fuerte por erradicar la violencia de género.

Cancillería 🇻🇪@CancilleriaVE

Día Internacional de Solidaridad con la lucha de la Mujer en Sudáfrica y Namibia. Hoy como hace 62 años, la mujer es protagonista en su lucha por la inclusión y liderazgo como célula fundamental de la familia y del Estado, así como garante de las libertades y derechos en igualdad

Muchas mujeres son maltratadas aun en Suráfrica, miles aún no disfrutan de los avances constitucionales que Madiva conquistó para ellas debido a las causas racistas. Por este hecho la exministra sudafricana, Barbara Hogan, pidió que se hagan útiles y funcionales los sistemas destinados a la protección de las mujeres.

«Nuestra tarea futura es comenzar a comprender cómo podemos llevar la lucha contra la violencia de género a otro nivel», dijo Hogan tras remarcar la importancia de entender las causas que provocan los abusos contra el sector femenino.

Ver imagen en TwitterVer imagen en TwitterVer imagen en TwitterVer imagen en Twitter

Rodulfo H. Pérez H.@rodulfohumberto

Cada 9 de agosto se celebra el Día Internacional de la Solidaridad de la Lucha de la Mujer en Sudáfrica y Namibia instituida en 1994 y también es día de los pueblos originarios nuestra americanos. Dos cultura y una misma resistencia ! Dos raíces de nuestra estirpe cultural !

Hogan afirmó, «sabemos que hay un silencio que permite su continuación, pero cuáles son los temores que provocan el silencio, qué es esa invisibilidad «.

Por su parte, el presidente, Cyril Ramaphosa, ofrecerá una conferencia sobre el centenario de la luchadora antiapartheid Albertina Sisulu, esposa de su del también activista Walter Sisulu.

Fuente: https://www.telesurtv.net/news/dia-solidaridad-lucha-mujer-surafrica-namibia–20180809-0016.html

Comparte este contenido:

Etiopía y China estrechan vínculos en materia de educación

África/Etiopía/09 Agosto 2018/Fuente: Prensa Latina
Etiopía y China estrecharon los vínculos en materia de educación, con la apertura de nuevas becas de estudio para alumnos de este país en Beijing, confirmaron hoy fuentes oficiales.

El intercambio académico incluye postgrado en universidades chinas tanto en disciplinas de ciencias sociales como naturales, y la mayoría de ellos se prepararán para realizar sus estudios de doctorado.

De acuerdo con Samuel Kifle, viceministro etíope de Educación, el programa representa ‘una de las mejores alianzas en el mundo en todos los ámbitos, tanto diplomáticos como culturales y económicos’.

‘Continuaremos teniendo esta fuerte relación, porque enviaremos en varios grupos a estudiantes destacados que marcarán la diferencia en el futuro’, refirió Kifle.

Tomando nota del compromiso del Gobierno en el fortalecimiento del acceso a la enseñanza superior, el alto funcionario también elogió el apoyo chino para llenar el vacío en ese sentido.

‘A medida que invertimos en nuestro capital humano, la contribución de China, principalmente en términos de concesión de becas, es inmensa. Me gustaría agradecer a la gente y al Gobierno de esa nación por apoyar todos nuestros esfuerzos de desarrollo’, dijo.

Tan Jian, embajador chino en Addis Abeba, reiteró el compromiso de apoyar los programas de los territorios africanos en el sector educativo.

También dijo que la cooperación en el sector es ‘un trabajo muy significativo e importante’.

El representante diplomático hizo además un llamado a los becarios para que sirvan como puentes de conexión en el reforzamiento de los lazos integrales y estratégicos

Fuente: http://www.prensa-latina.cu/index.php?o=rn&id=201434&SEO=etiopia-y-china-estrechan-vinculos-en-materia-de-educacion
Comparte este contenido:

Los maestros son clave en el desarrollo de África, asegura la UA

África/09 Agosto 2018/Fuente: Prensa Latina

La Unión Africana (UA) resaltó hoy la importancia de los maestros y del personal de enseñanza en el moldeado positivo de las nuevas generaciones y su consiguiente aporte al desarrollo continental.
‘El pan-africanismo y la unidad importan en nuestro avance como pueblo, de ahí la necesidad de tener un personal en las instituciones de enseñanza consecuente con los principios y valores de integración, que ayuden a la sociedad en su crecimiento sostenible’, detalla un comunicado de la UA.

La declaración fue emitida con motivo de la reunión de la Confederación de Principales de África (ACP, siglas en inglés), que reúne en Mombasa, Kenya, a más de mil 200 líderes destacados en el sector del aprendizaje a nivel regional e internacional, con miras a crear políticas al interior de los centros educativos adecuadas a las necesidades actuales.

La ACP pretende lograr que todos los países africanos se sumen a la institución, para eventualmente convertirse en miembros observadores de la UA.

En opinión de la organización, ello será clave en la formación de directrices de educación óptimas, a través del diálogo directo con el ente comunitario.

Fuente: http://www.prensa-latina.cu/index.php?o=rn&id=201264&SEO=los-maestros-son-clave-en-el-desarrollo-de-africa-asegura-la-ua
Comparte este contenido:

Too Little Access, Not Enough Learning: Africa’s Twin Deficit in Education

By Kevin Watkins

 

Africa’s education crisis seldom makes media headlines or summit agendas and analysis by the Brookings Center for Universal Education (CUE) explains why this needs to change. With one-in-three children still out of school, progress towards universal primary education has stalled. Meanwhile, learning levels among children who are in school are abysmal. Using a newly developedLearning Barometer, CUE estimates that 61 million African children will reach adolescence lacking even the most basic literacy and numeracy skills. Failure to tackle the learning deficit will deprive a whole generation of opportunities to develop their potential and escape poverty. And it will undermine prospect for dynamic growth with shared prosperity.

If you want a glimpse into Africa’s education crisis there is no better vantage point than the town of Bodinga, located in the impoverished Savannah region of Sokoto state in northwestern Nigeria. Drop into one of the local primary schools and you’ll typically find more than 50 students crammed into a class. Just a few will have textbooks. If the teacher is there, and they are often absent, the children will be on the receiving end of a monotone recitation geared towards rote learning.

Not that there is much learning going on. One recent survey found that 80 percent of Sokoto’s Grade 3 pupils cannot read a single word. They have gone through three years of zero value-added schooling. Mind you, the kids in the classrooms are the lucky ones, especially if they are girls. Over half of the state’s primary school-age children are out of school – and Sokoto has some of the world’s biggest gender gaps in education. Just a handful of the kids have any chance of making it through to secondary education.

The ultimate aim of any education system is to equip children with the numeracy, literacy and wider skills that they need to realize their potential – and that their countries need to generate jobs, innovation and economic growth.

Bodinga’s schools are a microcosm of a wider crisis in Africa’s education. After taking some rapid strides towards universal primary education after 2000, progress has stalled. Out-of-school numbers are on the rise – and the gulf in education opportunity separating Africa from the rest of the world is widening. That gulf is not just about enrollment and years in school, it is also about learning. The ultimate aim of any education system is to equip children with the numeracy, literacy and wider skills that they need to realize their potential – and that their countries need to generate jobs, innovation and economic growth. From South Korea to Singapore and China, economic success has been built on the foundations of learning achievement. And far too many of Africa’s children are not learning, even if they are in school.

The Center for Universal Education at Brookings/This is Africa Learning Barometer survey takes a hard look at the available evidence. In what is the first region-wide assessment of the state of learning, the survey estimates that 61 million children of primary school age – one-in-every-two across the region – will reach their adolescent years unable to read, write or perform basic numeracy tasks. Perhaps the most shocking finding, however, is that over half of these children will have spent at least four years in the education system.

Africa’s education crisis does not make media headlines. Children don’t go hungry for want of textbooks, good teachers and a chance to learn. But this is a crisis that carries high costs. It is consigning a whole generation of children and youth to a future of poverty, insecurity and unemployment. It is starving firms of the skills that are the life-blood of enterprise and innovation. And it is undermining prospects for sustained economic growth in the world’s poorest region.

Tackling the crisis in education will require national and international action on two fronts: Governments need to get children into school – and they need to ensure that children get something meaningful from their time in the classroom. Put differently, they need to close the twin deficit in access and learning.

Source of the article: 

Comparte este contenido:

Poverty, Inequality and Africa’s Education Crisis

Por Julius Agbor

The Africa Learning Barometer, a new interactive produced by our colleagues at the Brookings Center for Universal Education, indicates that only about half of sub-Saharan Africa’s 128 million school-aged children currently attending school are likely to acquire the basic skills needed for them to live healthy and productive lives. The center’s research further suggests that if you are a poor, female child currently attending school in a rural region you are far more likely to not be learning the critical skills, such as reading, writing and math. While these gender, income and regional learning gaps exist in most sub-Saharan African countries, they are most salient in South Africa, Uganda, Malawi, Zimbabwe, Lesotho and Botswana.

Taking aside the legacy of colonialism and racial and ethnic inequalities in some of these countries, a number of other factors explain the continuing disparities in learning between rural and urban schoolchildren in sub-Saharan Africa. Considering the significance of rural poverty across the continent, it should come as no surprise that rural schoolchildren are the most disadvantaged from a socioeconomic perspective when it comes to access to a quality education. Rural schools generally have less qualified teachers and not enough teachers for the number of children enrolled in school. This is clearly evident in the low teachers-per-school ratios and teacher-to-pupil ratios in most rural African regions. The reasons for these low numbers in rural Africa are many and very much linked to poverty and other inequalities and socioeconomic conditions. For example, teachers generally prefer urban to rural schools because urban areas offer greater opportunities and higher incomes. There is also a better quality of life in urban areas, with better access to good infrastructure, other services (such as healthcare) and general public goods.

In contrast, rural areas in Africa are often characterized by poor or nonexistent infrastructure and little or no provisions for other critical social services. This in turn negatively impacts the quality of education for rural-area children since even getting to school is a more difficult challenge and illness of a pupil or a family member may force the pupil to drop out of school entirely. Students in rural regions of Africa are further disadvantaged by the fact that their parents are generally uneducated. Again, we see that other socioeconomic conditions and inequalities greatly impact the quality of education in rural areas compared to urban centers.

To address Africa’s education crisis, African governments must implement policies that reduce poverty in rural areas, such as improving infrastructure, health and sanitation conditions, and modernizing the agricultural sector. While urbanization is certainly good for Africa’s industrialization and economic growth, a synergy between rural and urban development needs to be maintained if the quality of education in rural Africa is to be improved. African governments can also provide incentives, such as an additional bonus for teachers who accept positions to teach in rural schools. For their part, Africa’s development partners could support initiatives and programs that specifically target rural schools in order to help improve learning outcomes in those areas.

The continent’s education crisis is serious and it adversely affects rural areas more than urban ones. African governments and their development partners should not underestimate the long-term consequences of continued poverty and socioeconomic inequalities in rural areas. These conditions will only continue to exacerbate the education and learning gaps between rural and urban African schoolchildren. And in turn, poor quality education in rural areas will only continue to perpetuate long-term poverty in the region. It is a vicious cycle that African countries and international donors must work together to solve.

Source of the article: https://www.brookings.edu/opinions/poverty-inequality-and-africas-education-crisis/

Comparte este contenido:
Page 186 of 622
1 184 185 186 187 188 622