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Funding Africa’s Education Revolution

By: Strive Masiyiwa

If Africa’s children are educated and equipped with the skills to succeed in the twenty-first-century economy, the entire continent will prosper. But if they are denied a quality education, Africa’s economic progress will be slowed, stunted, or even thrown into reverse.

In mid-July, former US President Barack Obama used a speech in South Africa to implore the world to invest more in the education of Africa’s youth. A month later, UK Prime Minister Theresa May made a similar plea, predicting that “Africa’s young people could enrich not only this continent but the world economy and society at large.”
trump supporter

Statements like these underscore something Africans have known for a long time: the continent’s future will be determined by the fate of its young people. The question now is whether these statements will help spur the educational revolution that Africa so desperately needs.

Simply put, if Africa’s children are educated, prepared for the modern workforce, and equipped with the skills to be successful entrepreneurs, they will flourish and Africa will prosper. But if our children fall any further behind their peers in developing countries, economic progress will be slowed, stunted, or even thrown into reverse. To ensure the former and prevent the latter, Africa must invest more in education.

To succeed in the twenty-first-century economy, young people will need to solve problems, think critically, and persevere in the face of challenge and failure. At the moment, however, very few African students are learning these skills. This urgent need inspired my wife and I to establish the Higherlife Foundation, which provides tuition and scholarships to some of Africa’s most vulnerable populations.

But philanthropy alone cannot solve Africa’s educational challenges. If current trends continue, Africa will be home to one billion young people by 2050, and as many as a third of them will never achieve basic competency in reading, writing, or math. Closing Africa’s education gap will take time. It will also take more money than donors can provide.

That is why one of the biggest obstacles to fixing education in developing countries is financing. Today, just 10% of official development assistance from OECD countries is allocated to education reform in the Global South. But even if the most optimistic funding targets were met, we would still not have enough capital to ensure that all children are in school and learning. To achieve this ambitious goal, we must completely rethink how to pay for education reforms.

Long reads, book reviews, exclusive interviews, full access to the Big Picture, unlimited archive access, and our annual Year Ahead magazine.

For the last several years, I have served as a commissioner with the International Commission on Financing Global Education Opportunity (the Education Commission). This global group of leaders from government, business, academia, and civil society was brought together to brainstorm new funding mechanisms that could leverage existing commitments and motivate countries to increase their own spending on education. And now, after extensive research and analysis, we have arrived at a solution: the International Finance Facility for Education (IFFEd).

By 2020, the Facility will unlock some $10 billion in grants and loans to help countries strengthen their education systems. This will be accomplished by applying innovations in global finance to help multiply donor funding so that the money raised goes further, creates affordable terms for human capital finance, and incentivizes government participation. To that end, the IFFEd will favor countries that are committed to implementing reforms and monitoring results.

Moreover, by collaborating with countries that are increasing their own investments in education, the Facility will also contribute to meeting universal education targets. For example, the first round of IFFEd allocations will fund some 200 million new school places for children and young people; millions more could follow.

These are not impossible goals; the IFFEd is already endorsed by the World Bank, the G20, regional development banks (like the African Development Bank and the Asian Development Bank), and the United Nations. Last month, during the UN General Assembly in New York, leaders from Bangladesh, Canada, Côte d’Ivoire, Denmark, Malawi, the Netherlands, Norway, Pakistan, the United Arab Emirates, and the United Kingdom strongly supported the creation of the Facility.

I agree with Obama that talent exists everywhere in the world. It’s time to give Africa’s young talent the opportunity to flourish.

Fuente: https://www.project-syndicate.org/commentary/africa-education-for-all-funding-by-strive-masiyiwa-2018-10

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Se l’Africa fosse un bar Siyanda Mohutsiwa e la storia di un tweet

Di Nora Cavaccini

Con qualche anno di ritardo, mi sono imbattuta nella figura di Siyanda Mohutsiwa, una giovane blogger e scrittrice del Botswana. Vorrei precisare che non sono un’esperta, e nemmeno lontanamente una conoscitrice, della complessa realtà storica e culturale dell’Africa, e che mi sono imbattuta in lei seguendo quel modo bulimico e trasversale tipico di Internet, per il quale, a partire da una curiosità, si finisce di link in link ad arrivare a tutt’altra meta di quella che ci si era prefissi.
Ad ogni modo.
Siyanda Mohutsiwa è diventata nota nel 2015 postando un tweet che, come vedremo in seguito, ha generato un hashtag divenuto virale in tutta l’Africa e non solo. L’eco di questo tweet ha infatti raggiunto molte testate internazionali eppure non se ne è mai parlato in nessun giornale, trafiletto o rivista italiana.
Mi sembrava dunque interessante ripercorrere alcune tappe di questa vicenda, sia perché offre punti di vista interessanti sul modo in cui una piattaforma digitale può essere utilizzata, sia perché Siyanda Mohutsiwa – con i suoi soli 25 anni – è una mente brillante, sia perché, e soprattutto, nel nostro immaginario dell’Africa prevale spesso l’idea di un paese problematico e lontano, con l’emergenza dei rifugiati e della fame da un lato, o dei safari con gli animali esotici dall’altro, quando vi si guarda con interesse turistico.
L’attuale diversità del continente e le speranze politiche della gioventù africana, sono invece appena visibili. E forse non sono la sola a saperne ben poco…

Come Siyanda Mohutsiwa stessa avrà a spiegare durante una conferenza TED ad Amsterdam, tutto è nato con una domanda sul Sud Africa, e a seguito delle continue allusioni di questo paese alla necessità di costruire un’era “post-razziale” dopo i devastanti decenni dell’Apartheid.
In realtà, è bene dirlo subito, Siyanda non proviene dal Sud Africa.
Suo padre è originario del Botswana, un Paese dell’Africa del Sud, democratico e con politiche sociali molto progressiste, e sua madre, invece, è del Regno dello Swaziland, una nazione molto piccola, sempre dell’Africa meridionale, ultima monarchia assoluta rimasta nel continente.
Nata e cresciuta in quest’ultima, come bambina che parlava fluentemente la lingua Swati “e basta”, Siyanda approda in Botswana in età scolare, inserita in una nuova casa e in un’identità culturale che non comprende affatto, incapace anche di capire la lingua che la circonda. Per di più, fa il suo ingresso nel sistema scolastico privato africano, il cui unico scopo, dice, era “quello di toglierti via la tua africanità”.
In questo limbo, dove, sue parole, “appartenevo a due posti contemporaneamente ma non mi sentivo parte integrante di nessuno dei due, e allo stesso tempo mi sentivo parte di tutto ciò che c’era intorno”, Siyanda si forma, studia la letteratura, la politica, la filosofia africana, e nella costruzione della sua identità, comincia a essere ossessionata dall’idea di una cultura africana condivisa. Il mezzo che le permette di approfondire davvero questa sua ossessione arriva nel 2011, ed è  Twitter.
Con una connessione che comincia a farsi più accessibile ed economica per tutti, e con una piattaforma che permette – pur nel limite di 140 caratteri – di esprimere la creatività senza confini e restrizioni, Siyanda si affaccia al mondo, scoprendo persone del Sudafrica, del Ghana, della Nigeria, in un continente immenso e diversificato in cui pure non tutti, ma tanti ragazzi come lei, si chiedono cosa significhi essere un giovane africano oggi.

“Mi sono resa conto di cosa stava accadendo. Mi sono resa conto di essere in mezzo a qualcosa di straordinario, perché, per la prima volta, i giovani africani potevano parlare del futuro del continente in diretta, senza restrizioni dovute ai confini, alla finanza, ai governi”.

È in una giornata estiva del 2015, che Siyanda posta dunque questo tweet:

Fuente: http://www.yanezmagazine.com/ifafricawasabar-siyanda-mohutsiwa/

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Entrevista a Ndapewoshali Ashipala sobre la enseñanza del Holocausto y otros genocidios en Namibia

Por: UNESCO/04-07-2018

“Tratamos de utilizar las enseñanzas de la historia como plataforma para enseñar la tolerancia en el seno de la comunidad namibia”

Ndapewoshali Ashipala trabaja para la Asociación de Museos de Namibia. Con su compañera Memory Biwa crearon un proyecto cuyo objetivo es promover la enseñanza del Holocausto y otros genocidios en Namibia, que incluye la primera exposición sobre el genocidio de 1904 contra los Hereros y los Namas, que se presentará en las 14 regiones del país.

¿Por qué es importante enseñar las cuestiones vinculadas con el Holocausto en Namibia?

Es importante porque Namibia vivió una historia similar al Holocausto. Hubo un genocidio en Namibia en 1904 cuando el país era una colonia alemana. Existen numerosas similitudes entre el genocidio judío, fundamentalmente en los campos de concentración, la ciencia racial y la orden de exterminar a un grupo de personas, y mucho más en cuanto a las semejanzas en la manera en que el genocidio se perpetró.

El programa escolar namibio prevé la enseñanza del Holocausto, pero no incluye el genocidio en Namibia. Es por eso que queremos que los alumnos namibios comprendan la historia, en particular hoy, en el contexto de las negociaciones que se llevan a cabo entre el gobierno namibio y el gobierno alemán para obtener compensaciones. Deseamos que los alumnos conozcan esta historia, ya que el namibio medio no sabe casi nada sobre este genocidio – y algunos ni siquiera saben que tuvo lugar. Como los educandos tienen algunos conocimientos sobre los crímenes atroces perpetrados por la Alemania Nazi, queremos vincular los cursos sobre el genocidio en Namibia y el Holocausto, con miras a que los alumnos entiendan mejor lo que sucedió en el país en 1904 y lo que sucede actualmente.

Para nosotros esto significa también una forma de sensibilizar en lo tocante a otras formas de discriminación, de racismo y de tribalismo que han existido también en Namibia, debido a nuestro pasado colonial, en particular durante el gobierno del Apartheid, un régimen que agravó las barreras étnicas. Incluso entre los negros estábamos divididos en tribus y grupos étnicos según enfoques que consideraban que ciertos grupos “se acercaban más a los blancos”. Mientras “más cerca” de los blancos eras considerado, más privilegios tenías. Esto influía en el modo de vida, el trabajo al que se podía aspirar y el tipo de educación que se podía recibir. Todo esto se encuentra, incluso 28 años después de la independencia de Namibia, enraizado en nuestra sociedad. El sistema [colonial] logró convencer a personas que eran más o menos semejantes y que vivían juntos, que debían detestarse y que algunos de ellos eran superiores a los otros.

Esto ha sido siempre un problema subyacente en Namibia. Recientemente, dos miembros del Parlamento tuvieron que dimitir de sus funciones por comentarios de tipo tribal, y ocurrieron ciertos actos violentos, violencia de carácter tribal, en el sur del país. Esto se convierte en un problema grave para la comunidad namibia también, y el conflicto comienza a despuntar otra vez.

Mediante nuestra exposición titulada “El genocidio namibio – Sacar provecho de las lecciones del pasado” tratamos entonces de enseñar el Holocausto y el genocidio [en Namibia] para mostrar lo que puede ocurrir si continuamos respaldando los discursos de tipo “nosotros contra ellos”.

¿Qué papel puede desempeñar la educación al abordar los acontecimientos difíciles y violentos en la historia de Nambia? Y, en este sentido, ¿qué puede mejorarse en el sistema educativo namibio?

Los planes de estudio nacionales namibios no abordan mucho las cuestiones vinculadas con el genocidio en Namibia, pero abarcan los crímenes perpetrados por la Alemania nazi. La historia es una asignatura obligatoria hasta el décimo grado, pero es bastante general y más bien factual, algo así como “tal acontecimiento ocurrió tal día”. Sólo en onceno y duodécimo grados, en donde la historia es una asigantura facultativa, el programa comienza a ser más profundo, obliga a que los educandos participen y exige de ellos una reflexión más crítica.

El sistema educativo namibio se centra fundamentalmente en las materias STEM tales como ciencias, tecnología y matemáticas. Es el modelo que nuestro país ha seguido para propiciarnos la independencia económica. Por ello, la historia se considera como ese tipo de asignatura que sólo escogen los niños que no pudieron seguir los estudios en materia de STEM. La historia es a menudo la última opción de la mayor parte de los educandos. Sólo un pequeñísimo número escoge la historia en onceno o duodécimo grados y, por consiguiente, descubren nuestro pasado de violencia. No obstante, estos cursos se centran principalmente en nuestra lucha por la independecia y menos en el Holocausto o el genocidio en Namibia.

[Con nuestro equipo de la ICEH] tratamos de completar el programa de historia. Es por ello que colaboramos con diferentes entidades, tales como el Instituto Nacional de Educación y Desarrollo (NIED, por sus siglas en inglés), que se encargan de elaborar el programa escolar namibio. Colaboramos con ellos para que nuestra exposición deje de ser algo que se visita “y nada más” para convertirse en algo que se integre a las aulas.

¿Qué medidas toman en colaboración con su equipo de la ICEH 2017 para contribuir a la promoción de la enseñanza del Holocausto y otros genocidios en Namibia?

El equipo de antes había preparado ya una exposición [sobre el genocidio contra los hereros y los namas en Namibia]. Lo que hacemos ahora es actualizarla, ya que hemos recibido contibuciones de parte del gobierno. Dado que se trata de una época y de un tema muy sensibles, debemos garantizar la utilización de la terminología adecuada y lograr que la exposición se ajuste a las exigencias legales del gobierno y los donantes. Acabamos de participar en un taller con las personas responsables de la elaboración del plan de estudios y los responsables de la educación en todo el país, y revisaron nuestro contenido. Asimismo, introdujeron algunas modificaciones, por lo que estamos trabajando en estos ajustes antes de que reimprimamos la documentación sobre la exposición.

Disponemos de la financiación del Ministerio de Relaciones Exteriores y de Cooperación para que nuestra exposición recorra todo el país, al mismo tiempo que la exposición “Deadly Medicine” (La Medicina Mortal) del Museo Conmemorativo del Holocausto de Estados Unidos. Habrá una presentación oficial en cada una de las 14 regiones de Namibia. Invitaremos a los docentes y a los alumnos a visitar la exposición. Cada docente que visite la exposición recibirá un manual que contiene la versión impresa de la exposición y preguntas suplementarias para debatir en las clases. El manual también estará a disposición de los departamentos regionales de educación y será de mucha utilidad para completar el programa escolar actual hasta que nuestros materiales pedagógicos queden integrados al plan de estudios oficial. Por último, es posible que la exposición regrese a la Asociación de Museos de Namibia, donde la prestaremos para eventos puntuales. No obstante, nuestro objetivo es, ante todo, presentarla en todas las regiones, y como nuestro país es muy extenso nos llevará aproximadamente dos años recorrerlo.

¿En qué medida la iniciativa conjunta de la UNESCO y el USHMM les ayudaron a realizar su proyecto?

El genocidio de 1904 es un tema muy sensible para el público, en particular actualmente en el contexto de las negociaciones entre el gobierno namibio y Alemania. Debido a los debates actuales necesitamos tiempo para crear la exposición. El apoyo y patrocinio de la UNESCO y del USHMM nos ha ayudado a darle legitimidad internacional a la exposición y ahora debemos recibir el respaldo oficial del gobierno namibio para presentarla.

¿Qué resultados esperan obtener con este proyecto?

Nuestro proyecto y nuestra exposición se titulan “Learning from the past” (Sacar provecho de las lecciones del pasado) y es esto lo que esperamos lograr. Tratamos de utilizar la enseñanza de la historia como plataforma para enseñar la sensibilidad y la tolerancia en el seno de la comunidad namibia. Y no sólo la tolerancia con respecto a la raza, sino también sobre otras cuestiones sujetas a debate en nuestras comunidades, tales como la violencia basada en cuestiones de género, el sexismo, la homofobia y toda forma de “ismo” o de fobia. Tratamos de sanar una comunidad que se encuentra muy dividida sobre las cuestiones religiosas y tradicionales. Es por ello que tratamos de construir una comunidad que se perciba como un todo, antes que dividida en “nosotros contra ellos”; una comunidad que comprenda la belleza de la diversidad en lugar de exacerbar las diferencias. Tratamos de construir una comunidad multicultural, en la que cada cual desempeñe un papel. En este contexto, hablar de enseñar “la tolerancia” es incluso poco, ya que se trata de enseñar a apreciar al otro por su diferencia y a querer sus diferencias antes que convertirlas en objeto de miedo o de odio.

*Fuente: https://es.unesco.org/news/tratamos-utilizar-ensenanzas-historia-como-plataforma-ensenar-tolerancia-seno-comunidad-namibia

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UA prepara conferencia sobre innovación educativa en África

África / 10 de junio de 2018 / Autor: Redacción / Fuente: Prensa Latina

La Unión Africana (UA) trabaja hoy junto a instituciones interesadas con miras a organizar la Conferencia sobre Innovación Educativa en África, considerada una plataforma multisectorial para compartir experiencias que aborden los desafíos del sector en el continente.

 

El evento, que se celebrará en Dakar, Senegal, del 27 al 29 de septiembre próximos, también tiene como objetivo aumentar la visibilidad de las prácticas más recientes en este campo a fin de ser respaldadas, mejoradas, replicadas o desarrolladas.

De momento, según un comunicado emitido por el bloque comunitario, se evalúan cuestiones logísticas y los temas a discutir, entre los que destacan la educación y la capacitación como cimientos del empoderamiento humano, la prosperidad inclusiva y el desarrollo progresivo.

Para la UA, los beneficios que aporta el aprendizaje no llegan por casualidad; deben ser parte de una estrategia de adopción de prácticas atemperadas a los retos de la contemporaneidad.

Las tendencias demográficas actuales en África vieron la expansión de los sistemas educativos sin necesariamente experimentar una mejora simultánea de la productividad y la eficiencia, particularmente con respecto a mejores resultados en calidad y equidad en las oportunidades de acceso al conocimiento, reseñó el ente en un comunicado emitido al respecto.

Es preciso tomar en cuenta que los mecanismos de capacitación actuales se caracterizan por un crecimiento exponencial de la tecnología de la información y la globalización, añadió el texto difundido.

Para lidiar con esos problemas, recomendó la UA, es preciso desarrollar enfoques nuevos e innovadores en todos los niveles, desde las políticas gubernamentales hasta los métodos de enseñanza en el aula y el aprendizaje informal, con el objetivo de capacitar a los estudiantes para que se adapten a los entornos cambiantes.

Esto debe hacerse urgentemente para alcanzar los objetivos fijados en la Agenda 2063, tal como se detalla en la Estrategia Educativa Continental para África, para satisfacer las competencias, las habilidades, la innovación y la creatividad requeridas para nutrir los valores fundamentales y promover el desarrollo sostenible a nivel nacional, subregional y continental, continuó el ente comunitario.

De ahí la pertinencia de esta Conferencia, como reafirmación de que el sector debe seguir siendo relevante y adaptable ante los rápidos cambios sociales, concluyó el organismo.

Fuente de la Noticia:
http://www.prensa-latina.cu/index.php?o=rn&id=178512&SEO=ua-prepara-conferencia-sobre-innovacion-educativa-en-africa
Fuente de la Imagen:
http://www.wanafrica.com/destacados/ua-prepara-conferencia-innovacion-educativa-africa/
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Más de 900 alumnos africanos piden ayuda para aprender español

África / 20 de mayo de 2018 / Autor: Andrés Correa / Fuente: El Diario

Quieren estudiarlo porque es uno de los idiomas más populares en el mundo, pero no se enseña en su país

Más de 900 estudiantes africanos están solicitando ayuda para continuar sus estudios voluntarios de español, según la Academia Norteamericana de la Lengua Española (ANLE), representante de la Real Academia Española (RAE).

Luego de ser contactado por una escuela de alumnos pobres en un pequeño pueblo de Camerún, el Secretario de ANLE, Jorge Ignacio Covarrubias, está promoviendo un programa de ayuda a estudiantes del Tercer Mundo en países no hispanos, donde saben que el español es una lengua popular en el mundo, pero no tienen acceso educativo a ella.

El programa de enseñanza en Camerún se desarrolla en Touboro, un pueblo cerca de la frontera con Chad, a unos 900 kilómetros de la capital. “Se debe al tesón de Wassom Lambert, quien se desempeña como docente voluntario en tres escuelas secundarias“, apunta ANLE.

También otra escuela en Katmandú, Nepal, conduce una iniciativa de enseñanza de español por iniciativa de un matrimonio.

El plan de apoyo de ANLE consiste en enviar libros donados de español, tanto textos de enseñanza como literarios, para ayudar a los estudiantes, en su mayoría muy pobres y con escaso acceso a publicaciones en ese idioma y también limitados recursos para Internet.

En Nepal se estudia nepalés e inglés, y en Camerún francés e inglés, además de lenguas nativas, pero el analfabetismo es altoEl español está muy poco extendido en ambos países y eso les hace más difícil conseguir apoyo local. 

ANLE donará $250 dólares para lanzar el proyecto, cuyo costo inicial se calcula en $750 para los gastos de envío de libros a las dos comunidades. Para ello están solicitando las donaciones de fondos.

También la Academia de Guinea Ecuatorial de la Lengua Española, la única en su tipo en África, ha prometido apoyo.

En su carta, el profesor Lambert dice que aprendió español gracias a un docente voluntario, labor que ahora él repite. Quiso además viajar a México para perfeccionar sus conocimientos del idioma, pero no pudo hacerlo por falta de recursos.

“Trabajando como voluntario con todo mi pasión, hoy en mi escuela tengo una inscripción total de novecientos treinta (930) alumnos de español con un rango de edad de 10 a 18 años. Menos de 5% de estos alumnos” tienen libros en ese idioma, pero quieren aprenderlo porque “es uno de los idiomas más populares en el mundo, y es la raíz del latín que está cerca de su francés”, escribió Lambert desde Camerún.

Los interesados en ayudar pueden escribir al correo jicovarrubias@yahoo.com

https://eldiariony.com/2018/05/15/mas-de-900-escolares-africanos-piden-ayuda-para-aprender-espanol/
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Learning from Liberia’s educational partnerships

By: Marcus S. Wleh/ newtimes.co.rw/ 16-05-2018

MONROVIA – Around the world, some 263 million children remain out of school, and of those who do attend classes, 330 million are receiving substandard education. As a result, an estimated 617 million school-age children are unable to read at grade level.

The problem is a global one, but it is particularly acute in Sub-Saharan Africa, where 88% of young students– some 202 million boys and girls – are not achieving a sufficient level of reading proficiency. And it is also here where solutions are being tested.

African governments and international donors have long paid lip service to improving educational outcomes, especially in basic skills like reading, writing, and math. At a financing conference for the Global Partnership for Education in February, developing countries vowed to increase spending on education by $110 billion, and wealthy donors pledged an additional $2.3 billion to improve school systems in poor countries.

But as important as these commitments are, Africa’s education crisis will not be overcome by donations and pledges alone. A new approach is needed to strengthen struggling schools, train teachers, and ensure that every child can obtain the necessary skills to succeed. One pilot programme being tested in my country, Liberia, has shown considerable promise.

Because low-income countries rarely have enough money to implement needed education reforms, pooling public and private resources is an attractive alternative. Since 2016, Liberia’s education ministry has merged select public schools with various independent operators in an effort to increase educational quality in a tight budget environment. Early results are impressive.1

For example, at the free public schools currently managed by expert contractors participating in the program, learning outcomes improved by 60% in the first year. At the 25 schools operated by my employer, Bridge Partnership Schools for Liberia, average student test scores doubled in just nine months. Parents and pupils have embraced these reinvigorated schools, with many calling them the best they have ever experienced. As a result, the previous government expanded the program, and the current one is committed to continuing support.

One of the most powerful components of a Bridge Partnership School is the pedagogy. For every lesson in every subject across every grade, educators have access to detailed lesson plans developed by academics. These plans help teachers prepare and deliver instruction to maximise learning outcomes. By assisting in classroom planning, Bridge ensures a degree of standardisation across schools, and helps teachers focus more attention on individual students.

At first glance, Liberia’s school system might seem a poor fit for such an innovative experiment. Today, some 58% of Liberian children are out of school, the literacy rate is among the lowest in the world, and teachers are in short supply. Moreover, the current government budgets just $50 annually for each child attending elementary school. The average in the OECD in 2013 was $9,200.

But programmes like these are attractive for two reasons: they deepen a country’s access to educational expertise, and, more important, they open up new funding streams.

Developed countries have already recognised the value of strong public-private partnerships in education. Notably, the United Kingdom’s 2018 education policy encourages the expansion of such programs because they have been found to “improve access to education for poor and marginalized children.”

Not everyone will agree; partial partnerships with the private sector and NGOs in education generates considerable controversy, and there is little doubt that in Liberia, the Bridge model remains a work in progress. (A new impact analysis is due in the next academic year.)

But while costs were high, they are quickly falling. And continuous teacher training for those who are part of Bridge PSL is helping to increase the quality of instruction. As test results in Liberia demonstrate, children are learning more than ever. With the support of prominent global investors, our schools are achieving outcomes that were previously unthinkable.

From my perspective, the public-private partnership model has revolutionised education in Liberia, and I am confident that it can work in other parts of Africa, too. In countries where learning outcomes continue to lag, governments need collaborative solutions. And, as past failures have demonstrated, education systems in much of the Global South cannot succeed alone.

To achieve “education for all” by 2030, the target set by the UN Sustainable Development Goals, educators must embrace bold solutions like Bridge Partnership Schools. With millions of children still being denied the right to an education, the world can no longer afford the status quo.

The writer is the country director of Bridge Partnership Schools for Liberia.

*Fuente: http://www.newtimes.co.rw/opinions/learning-liberias-educational-partnerships

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África: Las OSC instan a la CFI a deshacerse de la cadena de escuelas con fines de lucro

África / 6 de mayo de 2018 / Autor: Gustavo Alzugaray (traducción) / Fuente: Bretton Woods Proyect

En una carta abierta de principios de marzo, 88 organizaciones de la sociedad civil (OSC), incluida la the Initiative for Social and Economic Rights (ISER) de Uganda y el East Africa Centre for Human Rights de Kenia, instaron a la Corporación Financiera Internacional (CFI), el brazo del sector privado del Banco mundial, y a otros inversionistas, a dejar de apoyar a Bridge International Academies (BIA), proveedor multinacional de educación de bajo costo con fines de lucro. BIA tiene más de 500 escuelas en India, Kenia, Liberia, Nigeria y Uganda. La carta sigue a una convocatoria abierta realizada en agosto de 2017 por 174 OSC para que los inversores dejen de apoyar a BIA (vésase el Observador de Otoño de 2017). El comunicado de prensa documentó preocupaciones planteadas por numerosas fuentes independientes, como la ONU, que incluyen “mayores costos que los anunciados por la empresa, falta de registro de escuelas, uso de un plan de estudios no aprobado, incumplimiento de los requisitos de certificación docente e impactos discriminatorios”. BIA respondió con una declaración pública afirmando que “la mayoría de los informes y pruebas recopilados para esta carta (del 1 de marzo de 2018) han sido refutados previamente”.

A fines de marzo las OSC reaccionaron a la respuesta de BIA, pidiendo a los inversionistas que revisen la evidencia presentada en la carta original y “cesen de financiar a cualquier empresa cuyas acciones dañen gravemente el derecho a la educación y socaven las leyes nacionales e internacionales sobre derechos humanos”.

La primera carta de la OSC de marzo criticó la “complicidad en el arresto y detención sin evidencia de un investigador independiente” de BIA en Uganda y el uso, por parte de BIA, de “acciones legales contra el Sindicato Nacional de Maestros de Kenia (KNUT, por su sigla en inglés) que derivó en una orden de mordaza que impide la unión de mencionar públicamente a BIA mientras se espera el juicio”. El caso de BIA contra KNUT fue desestimado el 20 de febrero. La carta destacó aun más las controversias en Uganda y Kenia, donde subrayó que BIA ha estado operando escuelas ilegalmente y no cumple con los estándares nacionales de educación (véase el Observador de Verano de 2016), incluso después de que las autoridades ordenaron el cierre de las escuelas Bridge. En Kenia, BIA “no cumplió con las solicitudes de inscripción de escuelas del Ministerio de Educación”, utilizó un plan de estudios no aprobado y no cumplió con los estándares de certificación docente. Esto llevó a un cierre ordenado por la corte de las escuelas Bridge y muchos otros casos judiciales. En Uganda, después de 18 meses de diálogo con BIA, el gobierno confirmó en febrero que BIA “no podrá abrir/operar durante este año escolar (2018)” al no haber cumplido con la solicitud del Ministerio de Educación ugandés de alcanzar los estándares legales y educativos. Salima Namusobya, de ISER en Uganda, comentó: “Bridge no ha alcanzado los estándares básicos y no cumple sus promesas, y el gobierno actualmente está cerrando escuelas ilegales. Sin embargo, la empresa todavía cuenta con el respaldo de inversores en el extranjero que nunca aceptarían esa situación en su propio país. Los inversores serán cómplices de este desastre si no eliminan su apoyo”.

No existe evidencia consistente de que las ecuelas privadas produzcan resultados de aprendizaje mejores que los de las públicasInforme sobre el Desarrollo Mundial 2018

La CFI defiende el desempeño de BIA

La CFI respondió el 19 de marzo respaldando su inversión en BIA, citando: “El buen desempeño de los alumnos de Bridge … y las ganancias de aprendizaje en Liberia”. Haciendo referencia a la misma evaluación independiente realizada por el programa de escuelas de participación público-privadas del Centro para el Desarrollo de Liberia en el que se basaban las afirmaciones de la CFI, la carta de las CSO enfatizaba la conclusión de la evaluación de que “BIA gastó más de 13 veces el presupuesto estatal por alumno y rechazó escolares para reducir las proporciones alumno-docente, con el objetivo de obtener resultado de aprendizaje mejorados artificialmente”, aunque logrando, de todas formas, bajos resultados en términos absolutos”(véase el Observador de Otoño de 2017).

Aunque la carta de la CFI hacía referencia al Informe sobre el Desarrollo Mundial (IDM) 2018, no reconocía la conclusión del IDM de que “no hay pruebas consistentes de que las escuelas privadas ofrezcan mejores resultados de aprendizaje que las escuelas públicas”. El IDM también observó que en los países en desarrollo “los gobiernos pueden considerar más sencillo proporcionar una educación de calidad que regular una colección dispar de proveedores que pueden no tener los mismos objetivos”. A la luz de estos hallazgos y las continuas preocupaciones sobre el desempeño de BIA, llama la atención que la CFI continúe invirtiendo en escuelas de bajo costo con fines de lucro.

Fuente de la Noticia:

Las OSC instan a la CFI a deshacerse de la cadena de escuelas con fines de lucro

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